Malia Delrai, dal self publishing alla fondazione della Delrai Edizioni

La Delrai Edizioni nasce nel 2016 per opera di Malia Delrai, autrice proveniente dal campo del self publishing che ha deciso di mettersi in gioco anche nel mondo della piccola editoria. La sua casa editrice ha l’obiettivo di arrivare al lettore privilegiando la passione e le esigenze dei suoi scrittori, e non limitandosi alla mera parte commerciale. La Delrai Edizioni pubblica, senza chiedere alcun anticipo agli autori, vari generi letterari: dal romance al thriller, dall’erotico al fantasy. Abbiamo incontrato l’autrice-editrice che ci ha raccontato delle sue passioni e anticipato alcune novità riguardanti la Delrai Edizioni che sarà presente al Salone del Libro di Torino del prossimo 18 maggio.

 

 

Malia Delrai nasce come scrittrice e approda all’universo dell’editoria. Come sono nate queste due passioni? Quando hai capito la necessità di scrivere e quando hai maturato la voglia di metterti al servizio di altri autori?

La passione per la scrittura è nata una decina d’anni fa, direi quasi per caso. Cercavo a tutti i costi qualcosa che mi identificasse e che potesse dar senso alla mia vita. Sorrido quando penso che la scrittura non fosse la mia prima opzione, ho provato un corso di disegno e anche uno per fare a maglia, ma poi è stato inevitabile che non riuscissi a combinare niente di buono, non erano adatti a me. Sono entrata in un sito dove all’epoca si scrivevano fan fiction e ho tentato, così per gioco, e non è più finita. In realtà pubblicare per se stessi, da soli, non è poi granché per me, nel senso che dà tante soddisfazioni, questo certo, ma se ami lavorare insieme agli altri, condividere le tue passioni con altre persone, arriva il bisogno di impegnarsi in questo, perciò ho maturato il desiderio di aprire una casa editrice e di condividere i miei scrittori con i lettori. Sai qual è la cosa più bella? Appassionarsi ad altre storie, viverle dentro come se fossero proprie, riconoscere la bravura di altri autori e cercare di fare il meglio per loro. È qualcosa che va al di là di qualsiasi soddisfazione personale, ed è molto molto più gratificante.

 

Cosa consigli a chi sta provando ad emergere come scrittore? Meglio il self-publishing oppure affidarsi all’esperienza e all’appoggio di una casa editrice?

Non potrei mai dire cosa sia meglio, perché tutto parte da punti di vista differenti, obiettivi diversi. Se un autore punta a un guadagno immediato, o comunque a un percorso “solitario”, allora di sicuro è meglio il self-publishing, ma se invece vuole e desidera coltivare il lavoro di squadra, il rapporto con altri autori e con un editore, cercare insieme insomma una risposta alle sue esigenze insieme ad altri che lavorano nel campo, allora è bello anche affidarsi a un editore. Per certo so che il mondo dell’editoria non è così facile, perché c’è di tutto nel calderone, ma non credo che il mondo del self sia poi tanto differente.

 

Cosa consigli invece a chi ha il sogno di aprire una piccola casa editrice? In Italia ne nascono moltissime ogni giorno eppure l’impero editoriale è comandato sempre dalle stesse ‘big’. Ne vale la pena? C’è la possibilità di farsi conoscere e creare qualcosa di proprio e indipendente dai grandi colossi? Cosa ricordi dei primi passaggi per aprire la Delrai Edizioni?

Io mi sono affidata a persone competenti, da sola sarebbe stato impossibile. Non è solo questione di passaggi da fare, ma di persone che ovviamente ti seguono in questo percorso: è necessario un commercialista, un legale, una persona competente che possa dirti come effettivamente ci si deve muovere. Se ne vale la pena? Dipende dagli obiettivi che si hanno, dal tempo che ci si vuole dedicare. A volte penso di impazzire, altre invece mi sento soddisfatta. Aprire una casa editrice è qualcosa che si fa per passione all’inizio, si pensa: Ehi, i libri mi piacciono! E poi ci si scontra col resto e si capisce che “il libro” è “solo una” delle cose che si deve creare. Il resto: la logistica, la burocrazia, gli eventi… è tutto da gestire e lo si deve fare, non si può abbandonare. È tutto importante, tutto. Il comando delle big è naturale perché hanno un grande capitale da investire e tanti soldi per potersi permettere quello che hanno, un piccolo editore invece questa possibilità non ce l’ha. Ma a volte mi domando se siano i soldi che fanno la differenza, se veramente servono questi e basta per poter essere definiti “grandi”. Spero che ci sia la possibilità di farti conoscere e creare qualcosa di proprio a prescindere dai grandi editori, spero di riuscirci, lo vedrò nei prossimi anni, ora è presto, per ora cerco di fare del mio meglio e mettercela tutta.

 

Descrivi Malia Delrai in tre parole.

Sole, cuore, amore. 😛

 

Qual è l’autore che non hai pubblicato e che vorresti pubblicare?

Uberto Ceretoli. Lo considero un grande del fantasy e dello steampunk, però non pubblica con me, purtroppo. Credo che sia uno dei più grandi che ultimamente io abbia letto e che mi è rimasto nel cuore. Lo trovo un autore di grandissimo talento. Tu pensa che invece forse si avvererà il mio sogno di pubblicare una persona che stimo, ma per ora non faccio nomi. Finché non succede, non ci crederò.

 

Quali sono le tue letture preferite?

Amo tantissimo lo steampunk, è uno dei generi che preferisco, ma anche il fantasy non mi dispiace. Poi ovviamente c’è il romance, l’erotico… diciamo che amo parecchi generi. Ho letto anche thriller che mi hanno lasciata senza parole. Sono piuttosto onnivora come lettrice, spesso però mi rendo conto che ricerco anche io, come molti, una realtà per ruggire dalla mia. Non perché la mia non mi piaccia ovviamente, anzi, ma perché mi piace vivere diverse vite e sognare diversi mondi.

 

Per finire, sei stata alla fiera di Milano e sarai a quella di Torino. Cosa dobbiamo aspettarci come novità firmate Delrai?

Oh, non so nemmeno io cosa aspettarmi. Tutto sta succedendo molto velocemente, troppo velocemente, e io fatico a stare dietro a ogni cosa. Ho conosciuto persone meravigliose, davvero meravigliose, che mi stanno sostenendo, che lavorano con me, ed è bello. Vorrei poter vivere di questo lavoro, anche se per ora non è possibile, mi impegno e do il massimo perché è un grande amore. Cosa aspettarsi dalla Delrai? Tanti nomi, di autori bravi, capaci, che ce la stanno mettendo tutta, che ci credono ancora, che non pensano che i lettori siano solo numeri, che con umiltà cercano ancora di farcela. Io non posso mollare, per me loro sono tutto, sono importantissimi. Vorrei poter far nomi, ma è prematuro. Però… io penso in grande!

 

 

Adriano Gabellone, fondatore dell’Onirica Edizioni

Adriano Gabellone è il fondatore dell’ Onirica Edizioni, casa editrice nata nel 2010 per dare spazio a giovani talenti emergenti. Nel 2016 al progetto iniziale si unisce anche il marchio editoriale <<Il Puntino>>, totalmente dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi. Adriano Gabellone ci ha parlato delle origini della sua casa editrice, di come vede il mercato editoriale oggi e di come il ruolo dell’editore può sopravvivere al fenomento sempre crescente del self publishing.

 

1. Salve, Adriano Gabellone, comincio con il ringraziarla di aver accettato questa intervista per ‘900 letterario. Propongo di iniziare dal principio, ovvero: come è nato il progetto della sua casa editrice ‘Onirica Edizioni’?

Ho sempre avuto la passione della lettura e dell’informatica fin da ragazzo e diversi anni fa, assieme a un collega di lavoro, creammo un sito web dove aspiranti scrittori potevano proporre al pubblico le loro opere e commentare quelle pubblicate dagli altri utenti. E’ un po’ quello che oggi facciamo attraverso Facebook, solo che correva l’anno 2001, quando il termine social network non era ancora stato coniato. Comunque, con il passare degli anni questo sito web si evolse e fu da spunto per nuovi progetti, che, grazie anche alla fondamentale collaborazione di alcune persone a me vicine in quel periodo, videro nella fondazione di una casa editrice, il più importante passo finale.

 

2. Qual è stato il primo titolo che ha pubblicato per “Onirica Edizioni”?

Le nostre prime due pubblicazioni furono le due raccolte antologiche nate grazie al contributo degli autori che frequentavano il nostro sito di scrittura creativa, una di poesie, e una di racconti sulla tematica del raptus. Se sono scettico su un libro difficilmente lo pubblico, e quelle volte che mi sono fatto convincere i risultati non sono stati differenti dalle aspettative. Causa anche il periodo di crisi e incertezza, è più facile che accada il contrario. Ma è anche capitato di scommettere su alcuni titoli che per fortuna hanno incontrato il favore del pubblico.

 

3. Quali sono, a suo parere, gli elementi base che un buon libro deve avere per entrare nel mercato editoriale e accattivare l’attenzione del lettore?

Sicuramente il punto cardine è avere una buona storia da raccontare. Non necessariamente un argomento di cui nessuno abbia mai parlato, purché si sia in grado di raccontarlo in maniera differente. Quindi ci vorrebbe una particolare cura per lo stile. Un libro deve catturare il lettore fin dalle prime righe, quando i personaggi e la trama ancora non hanno preso forma, catapultandolo da subito nella storia. Spesso ci capita di iniziare dei libri che abbandoniamo dopo una decina di pagine (e anche meno) proprio a causa di uno stile povero che propone una lettura incespicante e priva di fluidità, banale e noiosa, benché alla base possa esserci una storia interessante.

 

4. Cosa significa pubblicare un libro al giorno d’oggi? Ovvero com’è cambiato il ruolo dello scrittore con la nascita del self publishing e com’è cambiato il ruolo dell’editore? Molti pensano che ebook e siti di print on demand abbiano iniziato un processo di disintermediazione che elimina gradualmente figure professionali come l’editor, il grafico e il copywriter. Lei come si pone in questo dibattito?

Il self publishing è una strada adatta solo a poche persone dotate di uno spiccato senso commerciale, tant’è che i casi di successo si contano sulle dita di una mano. Spesso si tende a pensare che il ruolo dell’editore ormai sia superfluo, ma il successo di un libro dipende anche dai quei “piccoli” accorgimenti che si possono acquisire solo grazie ad anni di esperienza nel mercato editoriale. E infatti, a eccezione dei casi isolati citati all’inizio, la maggior parte delle persone che seguono la strada del self-publishing tornano in un secondo momento a cercare la strada della pubblicazione “tradizionale”.

 

5. ‘Il Post’ del 22 Settembre scrive: “Non ci sarà un unico salone del libro tra Torino e Milano”. Come commenta la polemica che va avanti da tutta l’estate circa la locazione della fiera del libro più grande d’Italia?

Partecipo alla maggior parte delle fiere dedicate all’editoria presenti nel centro-nord, ma mi sono sempre rifiutato di partecipare al Salone del libro in quanto è una kermesse che va a solo beneficio dei grandi gruppi editoriali, mentre i piccoli editori faticano a rientrare dell’investimento necessario per prender parte a un evento di tale portata. La speranza è che a seguito di questo dibattito possa nascere qualcosa di buono anche per la piccola editoria indipendente, anche se ne dubito fortemente.

 

6. Andiamo un po’ più sul personale, qual è il suo libro preferito? E qual è il libro che avrebbe voluto pubblicare con la sua casa editrice?

Oddio, scegliere solo un libro per me sarebbe davvero impossibile, perché ogni libro che ho letto in qualche modo mi ha lasciato qualcosa. Ma essendo io un tipo abbastanza sedentario e riflessivo, prediligo spesso le letture avventurose e ricche di mistero. E, visto che il primo amore non si scorda mai, penso che Moby Dick resti il mio romanzo preferito in quanto è stato quello che ha dato il via a tutto facendomi innamorare della letteratura.
Il libro che avrei voluto pubblicare l’ho pubblicato, ma il titolo non ve lo dirò mai. Lascio a voi il piacere di scoprirlo leggendo i libri della nostra piccola casa editrice.

 

7. “Leggere è…” come continuerebbe questa frase?

La fonte dell’eterna giovinezza, perché significa nutrire la mente, e salire su un treno diretto verso mondi inesplorati.

Il guanto di sfida di “Racconti edizioni”

Ai più attenti e curiosi frequentatori dello scorso Salone di Torino, non sarà sfuggito, nei pressi dell’Incubatore, spulciando tra i volumi di alcune piccole case editrici, il bancone della neonata Racconti edizioni che lì esponeva i tre libri del suo catalogo. Abbiamo posto alcune domande ai giovani editori: di seguito riportiamo le loro risposte “corali”.

D: Racconti edizioni è una realtà che personalmente ho conosciuto al Salone e che mi ha colpito immediatamente per il suo spirito. Ma quando nasce Racconti edizioni? E chi c’è dietro questo nome?

R: È un progetto che si concretizza formalmente a ottobre 2015 ma che comincia a delinearsi almeno due anni prima a partire dall’incontro tra i futuri, e a quel tempo ignari, editori Stefano Friani ed Emanuele Giammarco al Master di Editoria della Sapienza. Tutto nasce dalla passione smodata per la letteratura, e in particolare per la forma breve, e la classica pinta di troppo tra amici che ha trasformato un’idea solo coccolata nel cassetto in realtà. La consapevolezza che il sistema editoriale italiano avesse dimenticato la short story e che un intera nicchia di mercato fosse del tutto inesplorata ha fatto il resto. Senza calcolare che per due giovani che si affacciano al mondo editoriale probabilmente sarà più facile aprire una casa editrice che lavorare in qualche altro modo. Sembra un paradosso, ma è una delle conseguenze della crisi economica.

D: “Varrebbe la pena chiedersi perché, in tutti questi anni, non siano state impiegate e concentrate energie soltanto nel racconto. Perché la brevità, un limite ma anche uno stimolo per lo scrittore e la sua creatività letteraria, non sia stato considerato allo stesso modo uno sprone per la creatività editoriale. Abbiamo provato a rispondere e non ci siamo riusciti”: questo scrivete nella sezione “Chi siamo” del sito. Ecco, proviamo a rispondere oggi in questa sede: perché il racconto (tanto quanto la poesia in verità) in Italia trova così poco spazio e lettori?

R: I motivi sono diversi e ancora non del tutto chiari. Provando a rispondere si potrebbe accennare a una certa ritrosia endemica nei confronti del racconto, a quel dogma per cui le short story in Italia non venderebbero (da qui il nostro hashtag ironico #iraccontinonvendono). Questa convinzione ha generato un cortocircuito per cui gli editori non investono risorse per promuovere in modo adeguato le raccolte di racconti e di conseguenza ne dilapidano il grande potenziale. D’altra parte gli scrittori fanno fatica a emergere se nessuno crede in loro e se, una volta pubblicati, rischiano di finire nel dimenticatoio nel giro di poco tempo per mancanza di attenzioni. Tutto ciò genera una convinzione generale che la forma breve sia un qualcosa di minore, facilmente trascurabile. Fin qui la nostra esperienza ci insegna che non è così. I lettori di racconti esistono e sono tanti. Ma semplicemente l’offerta non soddisfa la domanda.

D: Voi avete esordito con un catalogo composto da soli tre libri (Sono il guardiano del faro di Éric Faye; Lezioni di nuoto di Rohinton Mistry; Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh). A posteriori è stata questa una scelta coraggiosa o azzardata? Ha ripagato?

R: Se consideriamo l’ottima stampa e i consensi dei lettori raccolti dai nostri titoli si può affermare di sì. Chiaramente è un aspetto che potrà chiarirsi più in là nel tempo quando avremo uno storico di almeno un anno. In ogni caso quel che conta è che, essendo Racconti una casa editrice di progetto, le scelte sono molto chiare e per forza di cose devono seguire l’idea originale in tutti i suoi aspetti. Una delle prerogative è proprio quella di essere una casa editrice di catalogo e quindi proporre ai lettori un’ampia gamma di scelta, nel caso specifico un’illuminazione panoramica su una forma che versava nell’oblio editoriale. I primi tre titoli ne sono un esempio: Appunti da un bordello turco è il rilancio in Italia di un autore già noto e premiato nel mondo anglosassone ma dimenticato nel nostro paese. Mistry, autore di Lezioni di nuoto, è uno scrittore di fama internazionale già pubblicato in Italia da Fazi. Anche Eric Faye, autore del numero 3, è un nome di assoluta garanzia soprattutto nel suo paese d’origine, la Francia.

Il simbolo della casa edititrice “Racconti”, uno scarafaggio, “protagonista” della Metamorfosi di Kafka

D: Sul vostro sito si legge che il prossimo libro in uscita sarà Karma clown di Altaf Tyrewala. Come mai a oggi non avete un italiano fra i testi in catalogo? E contate di far entrare qualche autore nostrano nella vostra scuderia?

R: Karma clown è un libro davvero godibile, l’autore riesce ad abbinare la freschezza della scrittura a una vena ironica e critica allo stesso tempo. Una volta scovato ci è sembrato necessario lanciarlo in queste tempistiche proprio per seguire quel discorso di catalogo a cui si accennava prima. Essendo un libro che segue per ambientazione e vissuto dell’autore la traccia del numero 2, Lezioni di nuoto, ma che se ne discosta per stile e struttura pensiamo possa puntellare il nostro catalogo. Per quanto riguarda gli autori italiani abbiamo intenzione di pubblicarne a partire da ottobre 2017. Abbiamo deciso di prenderci del tempo per esplorare in modo accurato il mare magnum della produzione di racconti. Proprio per i problemi legati allo status della forma breve e alla condizione degli autori nel nostro paese. Non volevamo partire col piede sbagliato ed essendo ancora una piccola realtà non potevamo essere frettolosi. Siamo convinti che sia una scelta seria e oculata.

D: Domanda di rito: quali sono le sfide della piccola editoria italiana? E qual è secondo voi la direzione da prendere per superare con successo l’impasse di questo periodo storico?

R: Le sfida principale è banalmente quella di ridare linfa dal basso a un settore in piena crisi che ormai, salvo poche e virtuose eccezioni, segue delle logiche di mercato insostenibili e controproducenti. Questa osservazione è applicabile ai diversi elementi della filiera editoriale. Risollevare il settore probabilmente vuol dire ripartire dal particolare, dalle piccole librerie, dalla cura per l’oggetto libro e quindi dal rispetto del lettore che troppo spesso viene sottostimato e di conseguenza ingozzato di proposte scadenti. Per citare una meravigliosa serie tv, Boris, il motto potrebbe essere Qualità o morte! Guardando i numeri ci si può deprimere facilmente: in Italia si legge pochissimo. Ma vuol dire anche che ci sono moltissimi lettori potenziali da conquistare. Questa deve essere la direzione, ma vanno cambiate molte cose. Le piccole case editrici devono proporre qualcosa di diverso. Noi ci stiamo provando con un’operazione avventurosa ai limiti dell’harakiri: pubblicare soltanto raccolte di racconti. Ma d’altra parte ci piace anche perché è una sfida spericolata.

D: In molte realtà estere autori grandi e piccoli possono vivere dignitosamente di scrittura pubblicando su riviste specializzate i propri lavori (racconti brevi, a puntate ecc.). Penso a quanto si può leggere, ad esempio, in On Writing di Stephen King, ma gli esempi sono molteplici. Perché qui in Italia le riviste che pubblicano racconti non pagano? È solo colpa di una crisi dell’editoria che sembra non avere fine?

R: Il fatto che le riviste non paghino è principalmente legato all’andamento economico generale e a quello del settore. È un tendenza negativa che vale anche per altre professioni che hanno a che fare con la scrittura. Non stupisce che riviste tutto sommato di nicchia non abbiano le disponibilità necessarie per valorizzare il lavoro di qualcuno che invece lo meriterebbe. Probabilmente questa incapacità è vissuta male in primis da chi si ritrova costretto a subirla e infliggerla a qualcun altro. Per quanto riguarda la nicchia nella nicchia, la forma breve, la morsa è ancora più stringente, ma ciò non vuol dire che la pubblicazione di un racconto su una rivista sia tempo perso. Tutt’altro. C’è un fermento importante attorno al racconto. Nel semi-deserto di nuove proposte dell’editoria tradizionale nascono piccole riviste, portali, osservatori che si occupano di incentivare la short story e in cui sono impegnati giovani o navigati, personaggi noti e meno noti, autori, editor e altre figure. La comunità che fa perno attorno alla forma breve insomma sta crescendo in fretta. Penso a esperienze come Cattedrale o Effe. Da parte nostra, il blog collegato alla casa editrice Altri Animali (link) si pone proprio in questa prospettiva. Per esempio ogni martedì pubblichiamo un racconto selezionato dalla nostra redazione nella rubrica “Il racconto del martedì”.

‘SuiGeneris’: Oriana Conte e la sua editoria

Dopo una piccola pausa estiva riprendiamo a conoscere la piccola editoria: questa volta abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere virtuali con Oriana Conte, che dirige la piccola ma intraprendente SuiGeneris, casa editrice nata nel 2014 in quel di Torino.

D: Cominciamo dalle basi: chi siete voi e cosa è SuiGeneris?

R: SuiGeneris è una casa editrice indipendente, aperta da me nel novembre del 2014. Al momento abbiamo sette pubblicazioni: Racconti Gialli, Carmen, Tutto relativo tranne… il Vento, Talita Kum, IlMorandazzo, Storia della filosofia a sonetti, Al cuore non si comanda, ai dipendenti sì. Tutti gli autori della casa editrice sono esordienti. Si può scegliere di pubblicare testi di successo sicuro e immediato, commerciali o si può scegliere di rischiare e di fare un lavoro di ricerca per scovare talenti ancora poco conosciuti. Questa seconda opzione è quella che mi appassiona e stimola di più.

D: Si dice spesso che l’editoria è in crisi, che poche persone leggono, che solo le grandi catene vanno avanti. E allora come vi è venuto in mente di aprire una nuova casa editrice? Cosa vi ha spinto e, soprattutto, quale obiettivo vi ha animati?

R: Quando qualcuno mi chiede se sono pazza ad aver aperto una casa editrice a ventitré anni, data la crisi ecc. ecc., io rispondo che non sono pazza e che ho con me in redazione Napoleone e Shakespeare. Perché poi risponda proprio questi due non so.

Le grandi catene hanno costruito i loro anelli, devono pur aver iniziato anche loro. Qualcuno potrebbe sorprendersi a scoprire che Moravia pubblicò in un primo momento a pagamento e che i racconti di Kafka furono stampati in 1000 copie e l’editore Kurt Wolff affermava di non aver venduto neanche quelle 1000 finché Kafka era in vita. Neo edizioni, aperta da pochissimo, ha già avuto un suo libro tra i candidati allo Strega.

Insomma con l’accelerazione dovuta al meccanismo dei best seller ci si è dimenticati che nella letteratura “grandi ci si diventa”.

L’editoria è in crisi perché è falsata. Il libro trattato come un prodotto qualsiasi è diventato liquido: il lettore è un consumatore. La casa editrice di catena punta sulla quantità, invade gli scaffali. Per il lettore è difficile districarsi, riconoscere tra i tanti il libro che incontra i suoi gusti. Molti non si fidano dei contemporanei e dicono di preferire i classici, sono sicuri che leggendo il Dostoevskij che hanno nella libreria di famiglia non perdono tempo. La casa editrice piccola non ha bisogno di pubblicare 400 titoli l’anno, includendo nel suo catalogo libri di dubbia qualità. La casa editrice piccola può garantire una stretta selezione. Mi ha spinto ad aprire la mia casa editrice l’entusiasmo, e l’obiettivo è avere un approccio umano con gli autori e i lettori, conquistare la loro fiducia pubblicando testi validi, originali, ironici, fuori dai canoni.

D: Mi pare di capire che il vostro catalogo non è suddiviso in collane, e anche il motto della casa – Ogni autore è un genere a sé – lo suggerisce. Come mai questa scelta?

R: Il catalogo è in realtà diviso in tre collane. La prima è Racconti d’ogni genere, dove si vuole dare spazio alla narrativa breve. Sono meno i lettori di racconti rispetto ai lettori di romanzi. Si devono abituare i lettori a scoprire le potenzialità delle narrazioni brevi. C’è poi Pierre Dumayet, dove si pubblicano i testi che vorremmo vedere anche tra i banchi di scuola. SuiGeneris infatti collabora con le scuole, sia Carmen sia Storia della filosofia a sonetti sono stati adottati da alcuni licei. Infine Ciampa e la corda pazza, dove si pubblicano i testi ironici, comici e grotteschi.

D: Quali sono le sfide che avete affrontato dal 2014, e quali quelle attuali? In che modo è cambiato il vostro percorso in questi due anni?

R: È stata ed è ancora una sfida aver aperto una casa editrice. Nel 2014 nessuno conosceva SuiGeneris, adesso inizia a riconoscersi una linea editoriale e a crearsi una cerchia di lettori. La sfida è crescere, sfruttare i canali di comunicazione, scoprire nuovi autori che rappresentino SuiGeneris. Al momento la casa editrice sta collaborando con Daria Spada e Maksim Cristan, organizzatori del Concertino dal Balconcino a Torino, e si pensa a una loro pubblicazione. Inoltre ha iniziato un lavoro di ricerca per una pubblicazione tanto impegnativa che ha richiesto il coinvolgimento di una decina di collaboratori. Non ho mai messo in campo così tante forze, ma l’idea di fondo della pubblicazione, anche se non posso svelarti molto, è interessante e spero che possa essere uscire entro il prossimo anno.

D: Come siete messi per quanto riguarda la distribuzione, e come vi organizzate per le presentazioni dei vostri libri? Cosa ne pensate della grande distribuzione e delle sue alte percentuali?

R: Al momento la distribuzione è diretta, online e in librerie non di catena. Ci si sta muovendo per allargarla. Le alte percentuali richieste dalla grande distribuzione sono il costo più elevato che l’editore deve sostenere, sono eccessive e andrebbero diminuite. Si dovrebbe trovare una formula o un’agevolazione da parte dello Stato per la circolazione dei libri o una regolamentazione che vieti ai distributori di imporre agli editori percentuali di retribuzione così alte. Il distributore arriva a chiedere il 65% del prezzo del libro. Resta una miseria all’autore, l’editore, al traduttore a tutte le figure che hanno contribuito a fare il libro.

SuiGeneris punta molto sul contatto diretto con il lettore, dunque organizza numerosi eventi e presentazioni. Durante le presentazioni si interagisce con il pubblico e ci si assicura che, luci soffuse o no, nessuno si addormenti. Nell’ultimo anno un attore, Gugliemo Basili, mi ha aiutato a rendere più dinamiche le presentazioni. Molti degli autori di SuiGeneris sono capaci di coinvolgere il pubblico, Francesco Deiana, Massimo Pica, Davide Di Rosolini sono proprio spassosi da vedere. Pur avendo assistito più volte alle presentazioni, mi sento ogni volta partecipe anch’io e le presentazioni sono tra i momenti del mio lavoro che apprezzo di più.

D: Eravate presenti al Salone del libro di Torino, nella zona dell’Incubatore. Vorrei una vostra impressione sulla fiera in generale e qualche considerazione sui rapporti di forza fra le big e le indipendenti.

R: SuiGeneris è davvero cresciuta nell’Incubatore. I due anni in cui ha partecipato le sono stati utili sia per le vendite sia per i contatti. La cosa bella del Salone è che hai a disposizione due sedie e un tavolo, e puoi adeguarti, fare il minimo sforzo, poggiare i libri e aspettare che qualcuno si avvicini. O, se non sei un tipo da star fermo e seduto, come sono i tipi di SuiGeneris, puoi arredare il tuo stand in maniera fantasiosa e coinvolgere le persone che passano, raccontargli la tua storia, i tuoi libri, non sederti neanche un attimo. Per farvi un’idea, vi rimando a questo video: SuiGeneris al Salone internazionale del libro di Torino 2016.

I big e le indipendenti hanno due forze di attrattiva diverse. Le case editrici grandi hanno un marchio già affermato, autori conosciuti. Il Salone è per loro un momento di maggiore vendita, ma poco cambia nel loro approccio. Lo stand di Mondadori ricalca le numerose librerie che si trovano in città, e così molti altri delle big. Trovo personalmente che il punto di forza del Salone sia stato anche essere una libreria gigante dov’era possibile farsi in un sol colpo una panoramica varia, ampia, allargata di una gran parte delle pubblicazioni; essere a contatto sia con i big sia con gli indipendenti.

Tutto ciò che è stato fatto da chi ha marciato sul Salone, che esula dagli editori così come dai lettori, è stato deplorevole. E mi riferisco a chi negli anni è stato indagato. Quest’anno la polemica con Milano tocca i vertici dell’assurdo. Nessuno si sognerebbe di spostare il Salone di Francoforte a Monaco, non si capisce perché invece in Italia si debba trasformare una manifestazione culturale in uno strumento di gioco-forza tra due città. Quando tutte le energie spese nello scontro potevano essere impiegate o nell’organizzazione di un altro evento con caratteristiche simili a quelle del Salone in un altro periodo dell’anno (quale in parte era già Bookcity) o nell’organizzazione di qualcosa di più grande insieme (in fondo il Salone è internazionale e le due città sono vicine).

Il risultato di tale mossa è che adesso si parla di questa polemica più di quanto si parla dei libri. E francamente ai lettori interessano i libri, le impalcature e le costruzioni fatte sopra sono un inutile fastidio.

Istos: incontro con Carlo Scorrano

Il mondo della piccola editoria è vasto e, nonostante vi si possano spesso trovare elementi di innovativa qualità, altrettanto spesso questi restano sconosciuti a causa della capacità fagocitante delle grandi case e dei grandi marchi. Le impressioni lasciate dal Salone del libro di Torino hanno tutte confermato questo aspetto: parlavano chiaro le file davanti ai mega stand Mondadori ed Einaudi, e parlavano chiaro gli sforzi “sovrumani” dei piccoli stand della zona Incubatore. Conoscere le realtà della piccola editoria può aiutare a scovare delle vere e proprie perle. Abbiamo dunque deciso di intervistare alcune case editrici di piccolo taglio per saperne di più. Partiamo con Carlo Scorrano, editore della pisana Istos.

D: Cominciamo dalle basi: come nasce Istos?

R: La casa editrice Istos nasce a Pisa nel giugno 2014: due giovani pieni di entusiasmo decidono di confrontarsi con il mestiere dell’editore e si mettono in gioco con delle idee e dei punti in comune. Tra i tanti, ci sono la visione del libro come strumento di cultura, di socialità e di appartenenza civile, come legame con la storia e il territorio, tramite d’evasione e porta per un divertimento personale.


D: Si dice spesso che l’editoria è in crisi, che poche persone leggono, che solo le grandi catene vanno avanti. E allora come vi è venuto in mente di aprire una nuova casa editrice? Cosa vi ha spinto e, soprattutto, quale obiettivo vi ha animati?

R: Utilizzando le parole di mio zio: «Aprire una casa editrice oggi è un atto di resistenza. Bravi!»

Utilizzando le parole di mia madre: «Siete pazzi!»

Il logo di Istos edizioni

Queste due componenti, la pazzia e la voglia di fare resistenza culturale e sociale, ci hanno spinto ad aprire oggi una casa editrice. La missione è espressa dal logo: un ragno che tesse una tela, e tela è anche il significato, in greco, della parola “istos”. L’obiettivo che ci poniamo è fare rete, intrecciare persone e storie, lettori e autori, personaggi, posti, avventure narrate e vite vissute.


D: Quali nuovi strumenti state utilizzando per farvi conoscere?

R: Abbiamo organizzato molti eventi in cui abbiamo cercato di integrare pittura, musica, teatro, cibo, giochi per i più piccoli, alle letture. Crediamo che i libri possano essere intrecciati, appunto, con tanti altri campi. Inoltre, abbiamo avviato diversi progetti con le scuole del territorio e con i giornali locali. Ma possiamo fare ancora molto, molto di più, l’importante è non perdere la voglia di fare, l’entusiasmo dei primi anni di attività.


D: Raccogliere l’eredità e il catalogo di Felici edizioni non deve essere stato facile. Quali saranno le linee di continuità, e cosa invece cambierà?

R: Alcuni progetti avviati dalla Felici Editore si sposano perfettamente con il nostro taglio editoriale:

  • le pubblicazioni legate al territorio, in quanto nell’ottica di fare rete è importante essere attivi nel proprio territorio, creare dei collegamenti con chi vive i nostri stessi spazi;
  • le esperienze dei Gialli in città, dove diversi autori scrivono racconti gialli ambientati tutti nello stesso luogo. La continuità nel libro è data dal contesto comune, ma cambiano gli autori e quindi gli stili di scrittura;
  • la collaborazione con la specialistica di lingue e letteratura per l’editoria, e la continuità con la collana Stile contemporaneo dove si traduce la narrativa straniera.

Invece, il settore infanzia Felici Editore Junior chiuderà e alcuni testi convoglieranno in Libri Volanti, il nostro marchio per l’infanzia, il quale prenderà una centralità sempre maggiore all’interno della casa editrice. Crediamo infatti nell’entusiasmo dei bambini, vogliamo stimolare la loro creatività ed educarli fin da piccoli alla fantasia, alla lettura, ai mondi fantastici e all’arricchimento che se ne può trarre da essi.

È stata soppressa anche la collana di narrativa con contributo degli autori, Caleidoscopio: vogliamo prenderci onere e onore di sostenere noi a pieno i romanzi che scegliamo di pubblicare, in modo da essere più coerenti con il nostro progetto editoriale.


D: Come siete messi con la distribuzione, e come vi organizzate per le presentazioni dei vostri libri? Cosa ne pensate della grande distribuzione e delle sue alte percentuali?

R: Essere distribuiti da Messaggerie è sicuramente un vantaggio. Chiunque in Italia può richiedere un nostro libro. Certo è che i margini di guadagno sono molto bassi. Per quanto riguarda le presentazioni, essere casa editrice in una città abbastanza piccola come Pisa ci permette di organizzare diverse presentazioni in librerie, caffè letterari e così via. Difficile è invece organizzare quelle al di fuori. Cercheremo di crearci una serie di librerie-biblioteche amiche sparse in Italia.


D: Eravate presenti al Salone del libro di Torino, nella zona dell’Incubatore. Vorrei una vostra impressione sulla fiera in generale e qualche considerazione sui rapporti di forza fra le big e le indipendenti.

R: La zona Incubatore è molto sacrificata rispetto al resto del Salone: dovrebbe essere un’area per lanciare il nuovo, in realtà è fatta di stand piccoli un po’ isolati rispetto agli altri padiglioni. Comunque, il Salone è utile anche ai piccoli editori per respirare il vento editoriale nazionale, dove va, dove non va, cosa succede, cosa funziona, cosa manca e di cosa c’è abbondanza. Inoltre, la forza delle piccole case editrici è che sanno che, se vogliono emergere, devono dare il massimo, correre per distribuire volantini, parlare con la gente, mostrare il loro entusiasmo. Se in un grande stand vai da anonimo, nel piccolo sei partecipe per un po’ della realtà editoriale. Ne possono venire fuori sinergie, relazioni e contatti utili. Le vendite ovviamente non sono paragonabili stand di 200 metri quadrati e anche di più con stand di 2 metri quadrati. La speranza sono i lettori curiosi (una minoranza) che vanno alla scoperta di ciò che nelle librerie, di solito, non si trova.

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