La pittura per raccontare le trasformazioni urbane delle città di mare. Il progetto del Suor Orsola che valorizza lo scrigno rinascimentale della Cappella Pignatelli

Tre città unite da un’unica vocazione portuale ed un forte rapporto col mare per analizzare il nesso tra sviluppo urbanistico, cartografia e pittura di veduta, sia come testimonianza, sia come interpretazione delle trasformazioni urbane e paesaggistiche. Con questo obiettivo sia scientifico e di ricerca che di divulgazione culturale il Dipartimento di Scienze umanistiche e la Scuola di specializzazione in beni storico artistici dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli hanno promosso il ciclo di incontri su “Città di mare e grandi porti del Mediterraneo nella pittura di veduta tra Sei e Settecento: Genova, Napoli, Messina“.

 Approfondimenti ora disponibili on demand sul canale You Tube dell’Ateneo napoletano (www.youtube.com/unisobna), che ha inteso con questa iniziativa continuare nel suo percorso di valorizzazione della Cappella Pignatelli, oggi divenuta, proprio grazie al lavoro di restauro e riapertura del Suor Orsola, “Porta del Centro Antico di Napoli”, in virtù della sua posizione strategica al Largo Corpo di Napoli, allineata lungo il decumano inferiore della città greco-romana, dove si incrociano piazzetta Nilo e San Biagio dei Librai. Una funzione di accoglienza e di narrazione della città che la Cappella di Santa Maria dei Pignatelli, uno degli scrigni più rari della Napoli del Rinascimento, oggi svolge con l’ausilio delle moderne tecnologie avanzate di comunicazione multimediale che al Suor Orsola sono alla base del Corso di laurea magistrale in Digital humanities e delle attività di ricerca del dottorato in Humanities and Technologies.

Napoli – racconta Pierluigi Leone de Castris, direttore della Scuola di specializzazione in beni storico-artistici dell’Università Suor Orsola Benincasa e coordinatore scientifico dell’iniziativa – è un caso davvero esemplare di questo nostro percorso di analisi della pittura di veduta seicentesca e settecentesca nelle città di mare italiane. Perché Napoli, città di mare tra le più raffigurate da incisori e cartografi tra il Cinquecento e l’Ottocento, non annovera grandi vedute dipinte, con l’eccezione straordinaria della cosiddetta “Tavola Strozzi”, prima degli inizi del Seicento”. Nella prima metà del XVII secolo, tuttavia, si assiste a un grande sviluppo e a una grande fortuna dei dipinti raffiguranti l’intera città dal mare, o anche parti di essa e del golfo, da Posillipo ai Campi Flegrei, evidentemente graditi ai collezionisti del tempo e richiesti per decorare i loro palazzi e le loro raccolte. Protagonisti di questa produzione e di questo “genere” furono soprattutto pittori forestieri, fiamminghi o comunque nordici, giunti spesso in città da Roma, qualche volta in transito ma talora qui insediatisi anche per tutta la vita. La conferenza del Prof. Leone de Castris  mette a fuoco in particolare la storia intricata di due di questi artisti, entrambi lorenesi e amici tra loro, François de Nomé e Didier Barra.

 L’iconografia dello Stretto di Messina e le vedute di Genova

La conferenza su “L’immagine di Messina in età moderna” propone una accurata selezione di dipinti e disegni che raffigurano Messina e il suo Stretto spaziando in un lungo arco temporale che va dal Quattrocento al Settecento (da Antonello da Messina a Filippo Juvarra), nel tentativo di rintracciare un filo rosso che lega fra loro le immagini. “Sin dall’inizio la raffigurazione della città di Messina – spiega Gioacchino Barberagià direttore del Museo Regionale di Messina – appare correlata con quella dello Stretto, favorita dalla stupefacente bellezza del sito, caratterizzata dalla inconfondibile forma a falce del suo porto e, nelle vedute da nord-ovest, dalla sagoma maestosa e fumante dell’Etna che spunta in secondo piano. All’immagine di Messina si è quindi via via sovrapposta inevitabilmente l’immagine dello Stretto. E a seconda dei molteplici punti di vista prescelti, lo Stretto finisce per essere, di volta in volta, il fondale scenografico o il proscenio delle numerose vedute della città, mentre la costa calabra, e in particolare Reggio Calabria, viene relegata sempre di più a un ruolo marginale“.

La conferenza di Piero Boccardo, già direttore dei Musei di Strada Nuova di Genova racconta, invece, come le vedute di Genova già dal Medioevo abbiano avuto quale privilegiato punto di vista il mare ed il golfo sul quale si affaccia la città ed abbiano avuto, non solo per questo, nel corso dei secoli alcune analogie con le vedute di Napoli. “Nel Seicento – sottolinea Boccardo – sono principalmente dei precisi fatti storici, a distanza di poco meno di cinquant’anni, prima la costruzione delle Mura nuove (1626-1639) e poi il bombardamento francese (maggio 1684), a dare un notevole impulso alle vedute di Genova, e non solo in forme incise o dipinte, ma perfino nel bronzo. E proprio il secondo episodio sarà l’occasione per la prima veduta invertita, ovvero da terra verso mare, che diverrà poi ben più consueta nel corso del XIX secolo“.

Ida Tursic e Wilfried Mille. Tra concettualità e pittura

Cosa può succedere se un artista francese incontra un’artista serba? Quello che è capitato a Ida Tursic, nata nel 1974 a Belgrado, e a Wilfried Mille, nato a Boulogne sur Mer, lo stesso anno: dare vita a un’esperienza di libertà che però non vuol dire qualcosa privo di senso, o un’accozzaglia di idee disseminate sulla tela per prendersi gioco del visitatore che non comprende a fondo l’arte contemporanea, soprattutto se concettuale unita alla pittura.

Tursic & Mille hanno cominciato a lavorare insieme nei primi anni 2000 in un clima anti-pittura, fatto che ha confermato la loro scelta di diventare pittori, in quanto il principio dell’associazione sarà alla base di tutti i lavori che seguiranno. L’idea di base della loro arte è che “la pittura è il cibo preferito della pittura”, rilevando l’obsolescenza dell’astratto e del figurativo, frazioni minime e concettuali nella pittura del XXI secolo.

I due artisti sperimentano nell’arte la libertà senza legarsi a idee precostruite, potremmo definirli degli anarchici nel senso positivo del termine: come molti artisti contemporanei cui sta stretto soprattutto il figurativo, sostengono che quest’ultimo sia un’espressione sorpassata; tuttavia l’arte si ripete nel corso dei secoli, il figurativo come l’astratto non cesseranno di essere ancora tra i protagonisti nel panorama artistico attuale. La radicalità degli artisti concettuali non risiede tanto nel guardare all’arte da una prospettiva passivamente visiva, ma nel farne un mezzo per un’indagine metodologica e strutturale del reale, un’attitudine interattiva destinata a svilupparsi verso orizzonti sempre più teoretici

Non a caso l’aspetto teorico del concettualismo in Tursic e Mille scaturisce dalla necessità di giungere alla sperimentazione dell’essenza intrinseca dell’arte come funzione, che riformula le categorie culturali preesistenti, al di fuori di ogni convenzionalità. L’arte dunque risiede nella componente valutativa? Certo, ma non solo, e da questo punto di vista l’arte di Tursic e Mille, che non è solo logica ma anche intuizione, per quanto ricca di possibilità, è ancora a uno stadio germinale, un progetto ambizioso che certamente troverà maggiore concretezza nei prossimi anni, affinché il materiale pittorico anonimo si si consolidi maggiormente nel mutamento del dominio tradizionale della pittura: pornografia, scene di film di case in fiamme come Landscape che ricorda l’opera del fiammingo Bosch, paesaggi ed elementi astratti e geometrici si configurano come un sovraccarico di produzioni di immagini che vediamo ogni giorno e da cui siamo subissati, assorbiti.

Tursic e Mille, il cui approccio all’arte è sia concettuale che pittorico, ci mostrano la manipolazione, il riciclo e il dissolversi delle immagini come se fossero rifiuti, quasi a volerci dire che il progetto è fuori dalla tela, al di là delle immagini, esplorando il rapporto tra fotografia e pittura. Per i due originali e ironici artisti europei la pittura è oggetto e analizza sé stessa e le sue parti seguendo la lezione di innovatori come Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier e il gruppo Support/Surface.

Tursic & Mille sono stati nominati per il Prix Marcel Duchamp 2019.

Come nascono le vostre opere d’arte? Perché avete scelto la pittura come applicazione artistica?
Tursic & Mille: Probabilmente era una soluzione alchemica, nessuno voleva vedere la pittura in Francia in quel periodo, quindi, sapevamo solo cosa fare, quindi il programma era di mostrare tutti i colori possibili e ci sembrava che fosse l’unica cosa da fare. La domanda posta da Mario Merz, Che Fare? Lavoriamo insieme da più di vent’anni, ho la sensazione che tutto quello che facciamo e che abbiamo fatto sia costruito empiricamente. Un dipinto prende un altro, nella logica creativa della bottega con la voglia reale di non congelare mai le cose, per non rimanere bloccati, per non proibire nulla. La storia della pittura è un fondamento sicuro, come ha detto Asger Jorn, la pittura è il miglior cibo per la pittura. Lo affrontiamo a volte in sottomissione, a volte in opposizione. È così che un ritratto realizzato nel 2000 finisce per diventare una natura morta qualche anno dopo, proprio perché siamo attenti al processo della pittura stessa, perché il soggetto può dopotutto essere il dipinto stesso.

E il vostro sodalizio?
È come lavorare da soli ma a due, con un piccolo tocco d’amore.

La qualità che apprezzate l’uno nell’altra?
Mille: La sua tenerezza.
Tursic: il suo modo scanzonato di fare le cose (ora sai chi è il più figo).

Cos’è per voi l’anticonformismo?
Essere anticonformisti è forse semplicemente essere contro ciò che ci si aspetta, anche se, alla fine, tutti tranne lui, quindi può essere davvero molto conformista essere anticonformista.

L’opera Landscape, sembra presagire un’apocalisse prendendo spunto da Sant’Antonio o è una rivisitazione delle opere di Bosch sulle tentazioni del santo?
Oggi facciamo pittura, ovviamente con la storia della pittura…. Sono d’accordo con te, nulla cambia, persistenza degli stessi arcaismi.

Chi sono i vostri punti di riferimento?
La mela e il serpente.

In cosa vi sentite maggiormente innovatori?
Forse oggi stiamo facendo il nostro lavoro, non lo sappiamo

Come definireste la relazione che intercorre tra la vostra pittura e il tempo?
Dipingere è tempo … quindi non ho davvero il tempo di pensarci!

La natura della vostra pittura potrebbe essere definita una sintesi del reale e dell’iconografia?
Non ci interessa davvero, noi facciamo pittura, forse siamo iconoclasti…

La fotografia si può dipingere? Si possono travalicare in modo convincente i due media più importanti del Novecento, ovvero pittura e fotografia? Non si rischia di cadere della promiscuità?
La fotografia è un oggetto, quindi sì, sarà una natura morta che si trasferisce nella pittura. La pittura non è una fotografia, ma è pur sempre un oggetto. Non crediamo in una competizione tra i due medium, la pittura è un modo antico di vedere il mondo e la fotografia è un ottimo modo per catturarlo (e offre spesso buoni modelli per i dipinti). E ora c’è Internet; forse il cambiamento più grande degli ultimi 20 anni.

La vostra priorità è l’intento concettuale o pittorico?
Entrambi, cosa mental e cosa Emmental … un buon dipinto è entrambi … secondo noi  (N.d.A. Questa apparente bizzarra risposta fa riferimento al titolo di una tela recentemente creata dal titolo “La Cosa Emmental” dove al centro della tela è dipinto un pezzo di formaggio emmental, da cui il gioco di parole “la cosa è mentale”)

Quanto è importante per voi che i vostri progetti vengano compresi anche da chi non è di questo settore?
Sappiamo cosa dobbiamo fare e abbiamo grande fiducia nell’intelligenza del pubblico, inoltre, grazie alla pittura, ci sono diversi livelli di lettura.

Prossimi impegni?
Abbiamo appena inaugurato una personale nella sede di Shanghai della Galleria Almine Rech, poi una mostra a Le Portique, Le Havre su Marte. A Seguire nel Museo Le Consortium a novembre, a ancora nella Galleria Max Hetzler di Londra a giugno. E alcune mostre collettive da Massimo de Carlo a febbraio a cura di Brian Rochefort (nello spazio virtuale) e da Alfonso Artiaco a Napoli a giugno a cura di Éric Troncy.

 

Ida Tursic & Wilfried Mille, Portrait

 

Fonte

Ida Tursic e Wilfried Mille. Tra concettualità e pittura

 

Giusy Siragusa: “Ogni quadro è una pagina del mio diario”

La pittrice Giusy Siragusa nata  a Termini Imerese il 7 Luglio del 1987 e da allora risiede a Sciara, provincia palermitana.
All’età di 10 anni aspira a diventare un architetto e alle scuole medie la sua inclinazione naturale è il disegno. Terminate le medie si iscrive all’Istituto d’Arte di Cefalù.

Poco prima di terminare gli studi Giusy Siragusa interrompe la sua attività artistica. Il blocco dell’artista, dovuto alla paura intrinseca di mostrare le sue opere e dalla poca fiducia in se stessa, dura dodici anni.

Dopo dodici anni Giusy Siragusa riscopre l’emozione di riprendere in mano la sua arte, osservando la tela bianca, in una notte, nasce Lussuria. La paura di mostrare la sua opera fa di nuovo capolino nella vita della pittrice. A spazzare via ogni timore è proprio questo suo primo lavoro, che riscuote un’enorme favore, non solo tra parenti ed amici ma anche agli occhi di Giorgio Gregorio Grasso, noto critico d’arte. Lussuria viene esposto alla Biennale di Venezia.

Questa opportunità consacra il successo dell’artista siciliana che prosegue il suo lavoro di pittrice ideando la collana i 7 peccati capitali. Giusy Siragusa diventa un’artista pluripremiata a livello nazionale ed internazionale.

Nell’anno 2018 viene nominata senatore accademico, riceve il Premio Culturale Internazionale Cartagine, unica Siciliana e italiana a ricevere tale nomina nella sezione pittura.

Nello stesso anno è nominata fra le 15 donne che si sono distinte nel territorio delle Madonie. Il quadro Dolore vince il Premio Eccellenza Europea delle Arti. Avarizia vince il Premio Budapest. Le opere di Siragusa celebrano le donne e la loro sicilianità attraverso la loro sinuoso figura che sembra essere un tutt’uno con la terra natia, il suo cromatismo e la sua consistenza.

Nel 2019 espone le sue opere in Italia: tra Milano, Caccamo, Piacenza, Sciara, Lesmo, Lissone, Carate, Roma e attualmente in mostra a Termini Imerese. Le sue esposizioni escono dallo Stivale arrivando a Budapest al MEAN e Parigi alla Galliera Thuiller.

Cosa rappresenta per Lei la pittura?

La pittura, l’arte tutta in generale è vita, ossigeno per chiunque riesca a soffermarsi un solo attimo nell’osservarla.
Anche una semplice matita è per me strumento di grandi emozioni, con essa è possibile rappresentante mondi a noi sconosciuti, si possono dire cose che mai avresti il coraggio di dire verbalmente. La pittura è semplicemente una scappatoia da un mondo che tante volte può apparirci stretto.

Come nascono i suoi quadri?

Non so di preciso da cosa e come nascono i miei quadri, tante volte è solo lo sfogo di svariate emozioni, raccolte in un particolare periodo, altre volte sto urlando per farmi ascoltare da una società diventata ormai troppo piatta. Mi piace definire ogni mio quadro, una pagina del mio diario, lì sono racchiuse le emozioni, i segreti, dei messaggi che vorrei siano letti, ma curandomi di camuffarli bene.

Perché ha deciso di dipingere proprio i setti peccati capitali?

I Sette Vizi Capitali nascono dopo un fermo artistico lungo 10 anni. Una sera d’inverno ,ripresi in mano i pennelli ripensando al mio vissuto, al tempo che ormai era trascorso, a quello che siamo e che diventeremo. Mi sono chiesta….Ma in realtà, ogni viso che osservo, ogni mano che ho toccato, ogni parola che ho sentito, chi era? Chi erano? Esistono esseri così perfetti? Esistono esseri così poco perfetti ?. Ecco cosa mi ha spinto alla realizzazione di questa serie.

I soggetti dei suoi quadri sono soprattutto donne. Perché questa scelta?

Non è una mia scelta programmata, quando mi siedo davanti ad una tela bianca, mi lascio trasportare dall’ispirazione e tutto viene da sé, non mi ero mai posta questa domanda, credo che quelle donne in realtà…siano il mio io.

Quali sono i suoi pittori o pittorici preferiti? Quanto ispirano la sua arte?

Non ho un pittore preferito, ammiro tutto ciò che sia Arte, adoro tutti i pittori, ognuno a suo modo lascia una traccia di sé nel loro vissuto e in quelli che verranno. Mi ha però da sempre affascinato in particolar modo L’urlo di Munch.

Nel 2018 viene insignita di due importanti riconoscimenti a livello nazionale: Premio Cultura internazionale Cartagine (unica siciliana ed italiana ad aggiudicarselo) e Premio eccellenza Europa delle Arti. Cosa ha significato per lei?

L’assegnazione di questi premi è stata per me una grande soddisfazione, il tutto è arrivato in modo inaspettato. Avevo accantonato la mia Arte per troppo tempo, spinta dalle mie insicurezze forse per l’immaturità nella comprensione, del dipingere per se stessi e non per piacere. Oggi queste esperienze mi fanno vivere con la consapevolezza che l’Arte nasce prima per se stessi e poi per regalare emozioni a chi osserva. La mia più grande gioia è far emozionare, emozionandomi.

Nello stesso anno viene nominata fra le 15 donne che si sono distinte nel territorio delle Madonie. Cosa ha rappresentato per lei?

Era proprio la vigilia dell’anno nuovo, mi trovavo a casa dei miei con la mia famiglia, sono stata informata di tale nomina, ho visto mio padre orgoglioso di me, orgoglioso di avermi spinta insieme a mia madre e a mio marito, a riprendere in mano i miei pennelli, loro sapevano che quelle mani di bambina che disegnavano e mai si fermavano di creare, erano ormai pronte e mature. E quella fu la risposta alle loro parole, cosa c’è di più bello nel vedere i tuoi affetti fieri ed orgogliosi?

Quanto è difficile essere una donna pittrice ai giorni nostri?

Ai giorni nostri il pittore ha perso il suo vero valore. Il ruolo dell’artista diventa sempre più marginale. Tutto si concentra sull’apparire il migliore e sul desiderio di guadagno. La competizione sociale ha coinvolto anche gli artisti che lottano per emergere tralasciando la loro funzione originaria.

 

Cancro e bodyart: il progetto terapeutico di Annamaria Mazzini

Anna Maria Mazzini è una pittrice romana con esperienze nel campo delle arti decorative e del restauro, oltre che in Italia, a Londra, New York, Florida, Los Angeles, Parigi e in altri Stati Americani. Nel suo lavoro vengono rappresentate le sue emozioni vissute intensamente, senza filtri, come racconta lei stessa attraverso la seguente presentazione del suo lodevole progetto.

TUTTO NASCE DA UNA PERSONALE ESPERIENZA DI MALATTIA ONCOLOGICA COME PITTRICE.

LA MALATTIA, LA VOCAZIONE, LA PAURA DI MORIRE, LA GIOIA DI VIVERE E IL MIO TALENTO MI HANNO PORTATO A TUTTO QUESTO. IO NON FACCIO ALTRE CHE SEGUIRE LA MIA VOCAZIONE.
DUE ANNI PRIMA CHE SI MANIFESTASSE IL CANCRO, L’HO DIPINTO SULLE TELE. QUANDO HO VISTO E SENTITO IL DOLORE DI UNA COLLEGA DI SVENTURA MENTRE SI COPRIVA QUEL SENO MUTILATO, I MIEI HOCCHI HANNO VISUALIZZATO UNA ROSA MERAVIGLIOSA CHE COPRISSE TUTTO QUEL DOLORE E COSI’ SONO PASSATA A DIPINGERE MENO TELE E Più CORPI CON EFFETTI PSICOLOGICI STRAORDINARI.

Non si tratta di un solo progetto ma più progetti che ruotano tutti intorno alla body art, tecnica di pittura corporea, il cui fine è quello di creare delle immagini molto particolari che raffigurano donne operate di tumore al seno e trasformare il cancro in un capolavoro.

Sono sopravvissuta a un carcinoma alla mammella il cui risultato positivo è stato favorito da azioni di prevenzione ed essendo una pittrice ho sperimentato con l’arte, la malattia e il mio talento, delle situazioni di guarigione molto efficaci che vorrei mettere a disposizione di tutte quelle donne che hanno subito un intervento al seno e si sono viste cambiare l’immagine di sé. A modo mio voglio cercare di dare a queste donne quello che la malattia le ha tolto.

Si tratta di far vivere un’esperienza integrata alla pittura corporea per la gestione della ferita all’immagine di sé. Trattamenti finalizzati a compensare sul piano estetico, l’alterazione somatica provocata dall’intervento chirurgico e RESTAURARE l’identità sessuale nascosta, e far sentire queste donne ancora belle.

Queste immagini piene di dolore, vergogna, paura ma soprattutto tanta bellezza che è quella che risulta esplodere a prima vista, saranno le protagoniste di tutti i progetti dell’Associazione Body art Therapy Italia aps, contribuendo alla ricerca sul cancro alla mammella e a dare messaggi sull’importanza di fare prevenzione. I progetti al momento da realizzare riguardano:

-MOSTRE FOTOGRAFICHE che parlano e raccontano di questa arte.
-12 MESI ROSA, IL CALENDARIO con le sue funzionalità originarie e in più immagini spettacolari piene di colori che stravolgono queste donne operate di tumore la cui cicatrice viene trasformata in un’opera d’arte insieme alle loro storie di coraggio, salvezza e speranza, da condividere con informazioni e contatti di aiuto e sostegno per chi intraprende un percorso di cure oncologiche.
-V.A.P VINO, ARTE E PREVENZIONE: viene proposta una serie di vini con una etichetta “sociale” in cui viene veicolato un messaggio sull’importanza di fare prevenzione per proporre campagne per la raccolta di fondi.
-Y.A.P YOGA, ARTE E PREVENZIONE: La pratica dello Yoga risulta essere un intervento efficace sia per i più giovani sia per gli anziani, per ridurre l’affaticamento psicofisico correlato al cancro e ai suoi effetti collaterali (Sprod et al., 2015).

Dagli studi emerge che le donne con carcinoma al seno se praticano Yoga sperimentano minor affaticamento nella vita di tutti i giorni (Taso et al., 2014) e notano una diminuzione dei sintomi legati alla depressione, all’ansia e ai disturbi gastrointestinali, quindi un miglioramento della loro condizione di salute e del benessere fisico (Pan, Yang, Wang, Zhang & Liang, 2017). Lo Yoga agisce positivamente sul sistema immunitario potenziandone le difese e favorendo un miglioramento dei sintomi fisici e psicologici (Agarwal & Maroko-Afek, 2018); in questo modo abbassa il livello di stress nelle vite dei malati oncologici (Nagendra, 2018). La pratica dello Yoga Consapevole aiuta anche a rispondere a episodi spiacevoli legati alla comunicazione della diagnosi e al trattamento, e a far fronte ai momenti in cui sperimentiamo perdita del controllo, incertezza sul futuro e paure di recidive (Carlson, 2017).

PERCHE’ TUTTI DOVREBBERO CONOSCERLO?

Non sono io a dirlo, ma vedo come rispondono gli altri quando si trovano davanti a quelle immagini e scoprono una novità assoluta nel mondo dell’Arte. L’entusiasmo e la gioia di condividere mi ha portato a parlarne anche a lei, e la ringrazio per avermi dato ascolto.
Conosco quei corpi martoriati dalla malattia e dalle terapie e da pittrice ho scoperto che la body art può darle VALORE.
Sono positiva e la mia energia è contagiosa.
Come lo è stato per me i colori aiutano la psiche a ritrovare il suo equilibrio, calmano il sintomo e accompagnano il processo di guarigione. Sento di dover condividere tutto questo.

‘Van Gogh Alive, The Experience’: a Roma fino al 27 marzo 2017

Dopo il successo ottenuto a Torino e a Firenze, Van Gogh Alive – The Experience  arriva a Roma, segnando una nuova tappa nell’ambito del progetto itinerante creato da ‘Grande Exhibitions’ che, dal 25 ottobre fino al prossimo 27 marzo, ha scelto lo storico Palazzo degli Esami a Trastevere, come luogo in cui ospitare la mostra interattiva dedicata all’affascinante opera del celebre pittore olandese.

Lo straordinario evento regala al pubblico un percorso di visita fuori dai canoni, per così dire, ‘tradizionali’, in cui lo spettatore è posto di fronte all’opera dell’artista. Qui, invece,  la visita si trasforma in una vera e propria esperienza multisensiorale che fa da ponte fra l’arte di oggi e di ieri. Una esibizione artistica-emozionale di 40 minuti si snoda tra grandi spazi delle sale del Palazzo in via Gerolamo Induno, che, dopo 20 anni di chiusura, ritorna a rinascere proprio grazie a Van Gogh.

Attraverso i più avanzati strumenti tecnologici e multimediali, il visitatore potrà così completamente immergersi nei vibranti colori usati dall’artista prendere letteralmente vita nella proiezione di 3.000 immagini fotografiche delle sue opere lungo pareti e colonne, soffitto e  pavimento delle sale del Palazzo in una realtà virtuale davvero immersiva grazie a SENSORY4™ : “un sistema multimediale unico – ha spiegato Rob Kirk, curatore per ‘Grade Exhibitions’- che armonizza motion graphic multicanale, suono surround di qualità cinematografica, con oltre 40 proiettori ad alta definizione per fornire immagini dettagliate e particolari in primo piano”.

Vang Gogh Alive è una mostra che incontra la tecnologia, un viaggio poetico dove immergersi a 360 gradi nei capolavori dell’opera pittorica del grande Maestro dai capelli rossi e gli occhi chiari, dove le linee e i colori vivaci riflettono la capacità espressiva del tragico mondo di Van Gogh. Un’esperienza multisensoriale, dunque, non solo per gli occhi ma che dà allo spettatore la sensazione di toccare con mano il blu intenso della Notte stellata al punto da diventare un tutt’uno con l’opera proiettata ad alta definizione oppure immergersi nelle immagini animate dei famosi mulini a vento, arricchito da musiche estremamente evocative come quelle di Schubert, Vivaldi, Bach e tante altre.

Van Gogh e la sua pittura “inquieta”

La pittura permise a Vincent Van Gogh (Groot-Zundert, Brabante, 1853 – Auvers-sur-Oise 1890) di trovare se stesso nel suo eterno conflitto interiore, il cui talento artistico gli fu riconosciuto soltanto dopo la fine di quella sua vita confusa e inquieta vissuta tra il mal di vivere e la follia, all’ombra del fratello minore Theo. Numerose immagini di citazioni tratte dalle sue lettere al fratello, importantissime, tra l’altro al fine di comprendere la difficile personalità del pittore originario dei Paesi Bassi, sono incluse nella mostra in un ‘excursus’ sulla sua vita privata assieme alle 800 opere che il Maestro ha composto in 10 anni di intenso lavoro, operando una profonda rivoluzione nella storia dell’arte. A partire dal 1880, quando tardi decise di dedicarsi alla pittura nella Parigi degli Impressionisti, fino al 1890, negli ultimi anni della sua vita vissuta tra Arles, Saint Rémy fino a Auver-sur Oise, luogo in cui si spense in una modesta camera d’albergo.

C’è tempo fino a marzo 2017 per immergersi nei colori e nello stile unico di Van Gogh all’interno degli 11 mila metri quadrati di Palazzo degli Esami di Roma.

 

 

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