‘Non c’erano i fiori’, la raccolta poetica d Arianna Galli

Nella raccolta poetica “Non c’erano i fiori”, pubblicata da Ladolfi editore. la giovane penna di Arianna Galli soffre, si dilania, impazzisce per amore. I suoi versi, però, non parlano unicamente di quel nobile, quanto oramai usurato, sentimento amoroso. Le sue parole entrano a fondo, scavano nell’animo umano, cercando in tutti i modi di scovarci ancora speranza. Una speranza, però, che quasi certamente la protagonista di questi versi ha perso.

La raccolta, ispirata alle teorie di Freud, al mito di Amore e Psiche e al celebre romanzo di TobinoLe libere donne di Magliano”, indaga il percorso psicologico di Irene che nella sua pazzia nata dal dolore comprende pian piano la sua identità, il rapporto con sé stessa, con l’amore e con la città in cui abita, Milano, che appare a squarci e deformata, frantumata come la sua stessa anima. Perché prima non c’erano fiori, ma è ciò che ha lasciato nel suo cuore la persona amata, il fiore che porterà per sempre con sé nella vita nel suo cammino verso il futuro.

L’autrice, in questo libro, vuole lanciarci un messaggio chiaro, semplice, ma altrettanto struggente. Un inno che tende quasi a metterci in allerta sull’importanza dell’amore, con tutto quel che lo circonda. Perché quando due anime si fondono, arrivando a tal punto da sembrare un’unica cosa, e si penetrano, così in profondità da lasciar obbligatoriamente qualcosa di sé all’altro, sarà impossibile per loro una volta separati sperare di tornare come prima. Niente potrà mai tornare come prima. Qualcuno crescerà, migliorerà, vedrà quella storia come un pretesto per maturare, ma tanti altri smarriranno il senno, perdendosi inseguendo la propria anima di notte.

L’illusione, in queste pagine, ci stringe con forza la mano. Verso dopo verso sembra quasi di poter udire una voce forte, vigorosa, gridare con ferocia, con rabbia, contro  quella cecità nella quale si è immersi quando in un amore vediamo solo quel che vogliamo vedere. Perché dopotutto, si è entrambi il miracolo dell’altro, e al contempo il proprio sogno di completezza. Quindi è davvero semplice ritrovarsi a vedere riflesso nell’altro quel che in realtà non c’è.

Vi è in qualche modo una richiesta di scuse da parte della protagonista quando si rivolge al proprio amore del passato in questo modo: “ Non odiarmi quando sarà tutto cenere quando sarà passato il miracolo che ci ha fatto vedere come due stessi esseri, abbracciati dalla stessa luce”.

Chiede di non odiarla, quasi lo implora, come se la responsabilità per quel sogno trascorso insieme sia tutta sua. Non riesce a vedersi solo come la metà di una coppia, tantoché gli sbagli di entrambi, per lei, sono solo i suoi. Le pare quasi naturale, infine, sentire l’esigenza di dover implorare che quel sentimento amoroso non si tramuti in odio.

Questi versi trasudano un incessante sensazione di malessere, dovuta a una presenza che ricorre spesso nel libro ma che rimane intangibile fino alle ultime battute. Una figura che mai si palesa fino in fondo, lasciando così un incolmabile vuoto dietro di sé.

“Ricordo i tuoi baci come una rosa; Ora, giorni case cose pagine strade ci dividono. Ricordo dopo i baci, l’appoggiare la testa sulla tua spalla, dolcemente per una carezza…”

In fin dei conti, quel che la protagonista chiede è solo di poter avere una carezza, e nel mentre, potersi perdere di nuovo in quegli occhi che ha tanto amato. Negli occhi di quell’uomo che “Tolse la cecità al passato e donò l’amore al presente”.

Purtroppo il presente di cui si parla è per lei oramai passato. Il presente che sta vivendo è un doloroso viaggio a marcia indietro.

 

 

 

 

‘Codice terrestre’ di Gabriela Fantato, un viaggio verso l’ignoto all’insegna della polisemia

Per chi è abituato alle canzonette con un’ottica molto superficiale e approssimativa Gabriela Fantato sembrerebbe scegliere il caos all’ordine, l’entropia alla sintropia. In realtà la poetessa sceglie di attingere talvolta dell’inconscio perché è lì  in cui si trova l’amalgama tra impulso vitale  e verità, nella sfera razionale disgiunti e contrapposti.

Ma questo non significa che si abbandoni completamente all’inconscio. C’è una coscienza e con essa un ottimo gusto letterario che sorvegliano, censurano, vigilano sempre. È una poesia densa, complessa, denotata da una grande ricchezza lessicale. La Fantato spicca per la sua bravura nel saper miscelare astratto e figurativo, psichico e somatico, così come nel saper interfacciare l’io e il mondo.

Codice terrestre (La vita felice, 2008) ha tra le sue qualità più di altre la polisemia e l’ambiguità. D’altronde i freddi razionalisti non si imbattono facilmente nelle aporie, nei paradossi e nelle contraddizioni? La via scelta dalla Fantato non è quella della assertività. La poetessa non sceglie neanche la metafisica, la discorsività della coscienza oppure la moltiplicazione/frammentazione dell’io. La poesia in questione non è tutta di testa e neanche tutta di cuore.

Finisce invece per esserlo pienamente di entrambi. Non è intellettualistica né strappalacrime. Allo stesso tempo non c’è neanche traccia di autocompiacimento. Codice terrestre è testimonianza senza essere per forza un patetico grido di dolore. Con questo ottimo lavoro la Fantato dimostra anche di aver saputo ascoltare la parte più profonda di sé stessa.

Probabilmente è sempre stata in attesa per cogliere l’inaspettato che facesse capolino dalla sua interiorità oppure che gli oggetti si manifestassero come entità per dirla in termini metafisici. Ma c’è di più: è anche alla ricerca della sua Ombra per dirla alla Jung e per trovarla deve essere in presenza della luce, che fuor di metafora è la coscienza. Non c’è altra soluzione. La Fantato parte dalla sua esperienza e procede verso l’ignoto. In questi versi si alternano pensieri ed immagini.

La poetessa procede per intuizioni inconsce, che di volta in volta vengono filtrate dalla mente razionale. Non si tratta di quel che comunemente si definisce insight perché non hanno a che fare con il problem solving. Talvolta si usa l’espressione “salto logico”. In questo caso invece parlerei di salti inconsci e dei loro contenuti emotivi. Sono cortocircuiti linguistici scaturiti dall’incontro tra conscio e subconscio.

Non sono però lapsus come quelli della Amelia Rosselli.  In questa raccolta l’autrice non si aggrappa neanche al significante come invece fanno Zanzotto e i suoi epigoni. Non ci sono neanche battute di spirito. Sono materiali dell’inconscio trattati con il massimo possibile dell’oggettivazione.

Gabriela Fantato getta un ponte quindi tra conscio ed inconscio. Le immagini descritte sono appartenenti spesso all’inconscio e a questo riguardo bisogna ricordare che per Jung noi abbiamo sempre la responsabilità di capire le immagini provenienti dalla parte più enigmatica di noi stessi. Le parole della Fantato talvolta sono le parole dell’inconscio e quindi non bisogna stupirsi se il linguaggio sia simbolico o se altre volte sia analogico.

Ognuno cerchi a sua volta un significato latente. Ciò non significa necessariamente cercare significati sessuali. Non dimentichiamoci che Freud è stato accusato più volte di pansessualismo. Comunque l’inconscio viene sempre controllato e sorvegliato dall’autrice; infatti non è mai debordante, non prende mai il sopravvento. Ciò che viene estratto dal profondo è solo la punta dell’iceberg, ma non potrebbe essere altrimenti: nessuno può accedere ed esplorare totalmente la nostra parte più atavica e remota. La stesura di questi versi probabilmente è stata catartica.

Per la Fantato l’inconscio non è un sottosuolo abominevole ma un luogo di sé  stessi dove privilegiare il potere rivelatore delle immagini e della parola. D’altronde per essere spirituali si può solo prendere due strade: elevarsi verso Dio o scavare dentro sé stessi.

Codice terrestre è una raccolta notevole, di qualità poetica elevata soprattutto perché l’autrice formula in modo magistrale sia alcune leggi dell’animo che alcune leggi generali della vita, anzi per dirla con le sue parole riesce molto bene a descrivere “la forma della vita” con espressioni poetiche felici: “Luce, c’è tanta luce oggi./ Entra in casa, viene a cercarmi/ dove la corteccia cerebrale è/ sale e acqua./ Un ramo in attesa con tutto il corpo.”; “Forse c’è un segreto che non so/ dove la corteccia si piega,/ abbraccia il legno e i nodi.”; “Un battere e levare tiene/ l’oscuro giardino dei vivi”; “la materia parla ostinata, a sottintesi.”; “I coltelli non sono armi,/ sono solo il taglio della carne.”; “Forse è amore questo o solo/ ritmo della specie/ nella sintassi dei corpi.”; “Saremo dentro la terra alla fine/ e il perdono – debito non saldato/ piegato nella pelle.”; “forse tutto sarà chiaro,/ una sera come tante e verrà la fine/ nel giro di poche ore.”).

Ma ci sono altrettante espressioni felici della propria condizione psicologica (Ho scavato una grotta/ per la solitudine e la preghiera/ non scordata mai, non saputa/ se non nel grido.”; “Sotto, più giù dentro i cunicoli,/ nel nero che assedia/ le ginocchia/ si chiude il cerchio, la parola/ consumata all’inizio/ – non ho più occhi.”).

La poetessa parla dell’amore con le sue contraddizioni (“Chiamo le tue mani/ a strapparmi i fianchi,/ a dirti – ci sono./ I fogli si aprono casti alla menzogna/ e l’abbraccio non monda la paura./ Tu mi dai lo specchio/ per questa debolezza. “). Ultimo ma non meno importante la prefazione è del grande poeta Milo De Angelis. Codice terrestre è la riprova che Gabriella Fantato rappresenta una voce originale e autorevole della poesia italiana.

 

 

 

 

 

Maria Luisa Spaziani, la ‘Volpe’ di Montale, poesie già oltre la vita

Maria Luisa Spaziani è stata una delle poetesse italiane più importanti del Novecento, tre volte candidata al Premio Nobel, che con la sua poesia ha accompagnato lo scorrere del secolo scorso. Torinese, appartenente ad una famiglia borghese, coltiva fin da subito l’amore per la letteratura e per la poesia in special modo, fondando e dirigendo a soli 19 anni una rivista letteraria “Il dado” intorno alla quale si muovevano autori come Penna, Sinisgalli, Pratolini .

Ma è il 1949 l´anno della svolta per Maria Luisa Spaziani, segnato dall’incontro con Eugenio Montale: ne nascerà un sodalizio letterario e un’amicizia profonda destinati a durare nel tempo, ne è testimonianza il lungo carteggio epistolare fra i due.

Montale scriverà per lei una poesia che è un acrostico del suo nome: le lettere iniziali di ogni verso compongono nome e cognome della Spaziani.
Indubbiamente non è la miglior poesia che il poeta genovese abbia composto, ma testimonia il profondo e affettuoso legame tra i due. Volpe è il modo affettuoso con cui il poeta amava chiamarla.

Mia volpe, un giorno fui anch’io il “poeta
assasinato”: là nel noccioleto
raso, dove fa grotta, da un falò;
in quella tana un tondo di zecchino
accendeva il tuo viso, poi calava
lento per la sua via fino a toccare
un nimbo, ove stemprarsi; ed io ansioso
invocavo la fine su quel fondo
segno della tua vita aperta, amara,
atrocemente fragile e pur forte.
Sei tu che brilli al buio? Entro quel solco
pulsante, in una pista arroventata,
àlacre sulla traccia del tuo lieve
zampetto di predace (un’orma quasi
invisibile, a stella) io, straniero,
ancora piombo; e a volo alzata un’anitra
nera, dal fondolago, fino al nuovo
incendio mi fa strada, per bruciarsi.

La Spaziani si muove tra l’Europa e l’America per completare i suoi studi e coltivare il suo grande amore per la letteratura, in particolare quella francese. Il mondo e la cultura francese saranno sempre per lei modello e punto di riferimento, anche nella sua produzione letteraria. Traduce opere sia dall´inglese, che dal francese e dal tedesco e intanto scrive e pubblica le sue prime raccolte poetiche.

Consegue la laurea in lingue straniere e inizia la carriera di insegnante: proprio il contatto con gli alunni e con il fervore delle loro idee dará alla Speziani l’entusiasmo per continuare a scrivere e pubblicare raccolte di poesie e mettersi in luce anche sul piano internazionale, avendo la possibilità di conoscere personaggi di rilievo del mondo culturale come Ezra Pound, Thomas Eliot e Jean Paul Sartre.

Viene nominata insegnante prima di lingua tedesca poi di lingua francese presso l´Universitá di Messina , incarico che porta avanti per 30 anni stabilendo un rapporto profondo con il Sud e la Sicilia in particolare, che insieme alla Francia e ai paesaggi liguri montaliani costituiranno i luoghi della sua vita.

I temi ricorrenti della poesia della Spaziani sono, oltre agli scenari naturali, la memoria, tema caro anche Proust autore sul quale la Speziani aveva discusso la sua tesi di laurea, il mare, la madre e la poesia stessa e l’amore, raccontato nella sua forma più alta e nobile.
Nella sua poetica compare il ricordo per il periodo della giovinezza, non come sinonimo di gioia, ma come periodo tormentato, al quale guardare, una volta superato, senza rimpianto, e l’ironia unita ad un certo atteggiamento sommesso.

Nei miei vent’anni non ero felice
e non vorrei che il tempo s’invertisse.
Un salice d’argento mi consolava a volte,
a volte ci riusciva con presagi e promesse.
Nessuno dice mai quant’è difficile
la giovinezza. Giunti in cima al cammino
teneramente la guardiamo. In due,
forse la prima volta.

Maria Luisa Spaziani spesso compone una poesie già oltre la vita come dimostra la raccolta La tundra dell’età: i suoi versi, col rimando ai fiori, parlano di una vita passeggera e ormai trascorsa, della quale non resterà traccia; perfino in quel barlume di amore impossibile, che nel testo centrale si legge  negli occhi di un fantomatico interlocutore, la poesia rimane nella sua lieve malinconia, rassegnata e dolce.

Le risonanze di tutta la produzione poetica della Spaziani — Montale, i poeti tradotti lungo tutta la vita — tornano nell’ultimo testo, “Piccola suite musicale”: rime, assonanze, e un procedimento più elaborato di composizione del testo.

Fonte:

Maria Luisa Spaziani: biografia, poetica e temi

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