Ponte sullo Stretto e Giochi Olimpici: il futuro delle città e un nuovo spirito economico

Stiamo vivendo giorni confusi sospesi tra il no romano ai Giochi Olimpici ed un ritorno di fiamma per il progetto faraonico e un po’ fantascientifico del ponte sullo Stretto di Messina.
Entrambe le questioni, oltre a fornire il pretesto per una miriade di sterili polemiche, sono una occasione preziosa per discutere, finalmente, del futuro delle città e del nostro rapporto con l’ambiente.

Le città che conosciamo e viviamo quotidianamente sono state costruite per rispondere ad esigenze differenti rispetto a quelle dettate dal nostro contemporaneo. In altre parole viviamo in luoghi del passato il nostro presente e da qui pensiamo di poter costruire il futuro. Le città non hanno bisogno di un semplice adeguamento, ma di una vera e propria rivoluzione. Non si possono più concepire luoghi, che in realtà sono diventati nonluoghi a causa del progressivo deterioramento delle singole identità, che ospitano al loro interno milioni di persone interconnesse ma con crescenti incapacità relazionali.

Date queste premesse è ovvio che non è ipotizzabile uno sviluppo incentrato esclusivamente sulla estensione della superficie che conduce solo alla creazione di nuove periferie/ghetto. Occorre progettare un nuovo modello che vada esattamente nella direzione opposta, cioè incentrato sulla diffusione, capace di spezzare le densità dei centri con una maggiore integrazione con l’ambiente.
Non un semplice no al cemento, ma un nuovo patto con ciò che ci circonda in modo da limitare, per quanto possibile, l’impatto del nostro stile di vita che, inevitabilmente, dovrà essere ridimensionato.

Solo partendo da una riduzione ed un adeguamento degli spazi per le città sarà possibile adempiere alle funzioni brillantemente elencate da Lewis Mumford nel suo fondamentale volume La Città nella Storia: “la funzione principale di una città è di trasformare il potere in strutture, l’energia in cultura, elementi morti in simboli viventi di arte, e la riproduzione biologica in creatività sociale”.
In questo contesto il progetto del ponte sullo Stretto appare ancora di più come un’opera fuori dal tempo che ha un impatto terribile sull’ambiente e che procede in una direzione totalmente contraria a quella indicata da buonsenso.

Il no alle Olimpiadi del cemento, così come definite dalla Sindaca Virginia Raggi, e al ponte sullo Stretto di Messina non sono la rinuncia ad investimenti in grado di cambiare la situazione economica generale, ma semplicemente lo stop ad una azione speculativa che non avrebbe alcuna capacità di incidere al di fuori del breve periodo.
Se si vuole investire dei capitali per rilanciare l’economia si potrebbe cominciare dalle bonifiche delle aree che risultano devastate dallo scriteriato abbandono dei rifiuti e sulle troppe ‘terre dei fuochi’ con cui siamo ormai rassegnati a convivere.

La rivoluzione economica parte dalla capacità di non pensare più l’ambiente solo come mezzo, ma renderlo un protagonista attivo nello sviluppo dell’economia e del benessere collettivo.
Il passaggio dall’Homo Oeconomicus all’Homo Ecologicus non può però passare solo dall’investimento in interventi strutturali, è necessario puntare su formazione e cultura perché è da qui che nasce tutto. Tutto il resto è fuffa.

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