L’ultimo arrivato, il Campiello 2015 di Balzano

In un’Italia in cui ogni giorno si parla di immigrazione, di stranieri, di culture che si incontrano e si scontrano, di angherie, ripudi e ipocrita normalità, due mesi fa ha trionfato al Premio CampielloL’ultimo arrivato (Sellerio, 2014), di Marco Balzano, libro che racconta di quando i migranti eravamo noi. L’ultimo arrivato ci fa conoscere la storia di un bambino e di un viaggio, le avventure e le disavventure di un piccolo emigrante, Ninetto, un bambino di nove anni, dallo spirito altruista e dal carattere fiero, detto “pelleossa” che abbandona la Sicilia e si reca a Milano, con la testa piena di parole.

Ninetto «non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del ’59, avevo nove anni e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi».

Negli anni Cinquanta il viaggio dal Meridione al Nord non era intrapreso solo da uomini e donne ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che per la prima volta si allontanavano da casa.
Tra loro c’è appunto Ninetto che parte e fugge lasciando la madre distrutta e rinchiusa al silenzio e il padre che preferisce averlo lontano che senza futuro. La nuova destinazione, quello che appare un nuovo mondo, porta con sè la scoperta della vita e del sé. Ad aiutarlo non ci sarà nulla e nessuno. Ma Ninetto non si scoraggia, si tuffa in tutte le sue prime esperienze, il viaggio in treno, la corsa sul tram, tutto è nuovo in quella città sconosciuta che lui sembra voler assorbire dentro di sé con tutta la foga possibile. Ottiene un lavoro e tutto capita con stupore sotto i suoi occhi: l’avventurarsi nei quartieri e nelle periferie, scoprire la bellezza delle donne, fare amicizie, cadere nell’inganno fino a scivolare fatalmente in un gesto violento dalle dolorose conseguenze.

Quella di Balzano in effetti può apparire come una storia furbetta, sebbene priva di retorica (non racconta nulla di nuovo, certo), ma che misura il limite tra il ‘sogno del nord’ e la realtà effettiva dell’arrivo. Nel caos urbano Ninetto percepisce un allontanamento dai valori della sua infanzia siciliana, dai quali lui fatica a staccarsi. Il gioco delle prospettive non è mai banale anzi, offre un andamento di scoperta continua, tra flashback e flashforward ogni parte del testo ne illumina un’altra uguale e contraria; i punti di osservazione variano per permettere una riflessione totale e profonda. L’ultimo arrivato conta su una scrittura fluida intrisa di suggestioni dialettali, e ha tutte le caratteristiche di una storia classica ma l’accento obliquo e la cadenza fantasiosa del personaggio, che attraverso la sua costituzione e la sua costruzione rende la città e le esperienze un teatro sorprendente e brutale, riesce a far rivivere una realtà sicuramente mai dimenticata ma scolorita e appannata. Solo attraverso gli occhi intimiditi, puri e curiosi di un bambino una storia così vecchia, in cui, senza dubbio, si riconosceranno molti nonni, poteva ritrovare un modo per essere raccontata ancora sorprendentemente. La letteratura in fondo serve anche a perpetuare la memoria, ponendo l’accento anche sul difficile rapporto tra padri e figli (tema già affrontato dallo scrittore ne Il figlio del figlio) e sulla pedagogia.

Premio Campiello: i finalisti del 2015

Si è svolto questo fine settimana la 53esima edizione del Premio Campiello letteratura. Anche quest’anno la giuria dei letterati,composta da Federico Bertoni, Riccardo Calimani, Philippe Daverio, Chiara Fenoglio, Paola Italia, Luigi Matt, Ermanno Paccagnini, Silvio Ramat, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e presieduta dal politologo e saggista Ilvo Diamanti, si è riunita nella nell’Aula Magna Galileo Galilei del palazzo del Bo’ dell’Università di Padova.

La cinquina dei finalisti è stata dunque svelata:
“Il tempo migliore della nostra vita” di Antonio Scurati (edito da Bompiani)
“La mappa” di Vittorio Giacopini (edizioni Il saggiatore)
“L’ultimo arrivato” di Marco Balzano (edizioni Sellerio)
“Cade la terra” di Carmen Pellegrino (edito da Giunti)
“Senti le rane” di Paolo Colagrande (edizioni Nottetempo)

“La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin” di Enrico Ianniello uscito per Feltrinelli si è aggiudicato il Premio Campiello “Opera prima”.

Come ha dichiarato Federico Bertoni, la produzione narrativa italiana degli ultimi anni è molto variegata. Le tendenze e i filoni principali possono essere indicati riferendoci alle tre dimensioni temporali del passato, presente e futuro. Il passato emerge da uno dei classici della letteratura, ovvero il romanzo storico, anche se vi sono alcuni tentativi di esperimenti interessanti. Il presente è rappresentato dal romanzo d’inchiesta, dalla narrativa di genere e da temi di attualità come la violenza, il terrorismo. A prevalere è tuttavia il romanzo psicologico, intimista e familiare. Il futuro emerge invece da una narrativa di stampo fantascientifico e dal romanzo apocalittico. In sintesi, possiamo dire che vi è un forte recupero della tradizione narrativa della modernità. Si cerca di abitare il presente e di trovare un punto d’intersezione tra destino individuale e destino collettivo.

Ora non resta che attendere il giudizio dei lettori che decreteranno il vincitore della 53esima edizione del premio. Il meccanismo, evidentemente efficace, ideato per proclamare il vincitore è rimasto immutato dall’esordio del Premio: una duplice giuria, una tecnica ed una popolare. La prima preposta a nominare i cinque finalisti, la seconda giuria invece, che varia ogni anno ed è composta da 300 lettori, è chiamata a scegliere il vincitore. Il Premio Campiello ha costruito la sua identità e la sua forza proprio sull’idea della doppia giuria ricavandone almeno due vantaggi: ha inaugurato per primo la formula di una giuria popolare, formula adottata in seguito da altre manifestazioni e l’essere considerato in breve tempo uno dei premi più prestigiosi.

Il premio fu istituito infatti nel 1962 dagli industriali veneti da sempre predisposti ad offrire il loro contributo alla promozione e alla diffusione della narrativa italiana e ad incentivare il piacere per la lettura. Da anni il premio si impegna a segnalare al grande pubblico di lettori autori e romanzi degni di attenzione. Oggi il Premio è ritenuto uno dei più prestigiosi nel panorama editoriale italiano.
Per chi non lo sapesse il nome “Campiello” è un omaggio ad una commedia di Carlo Goldoni in cui l’autore veneziano vuole evocare, come sempre, la sua Venezia affollata da personaggi di ogni ceto sociale, portatori di vizi e virtù. Il campiello nelle città veneziane è una piazzetta ristretta, più piccola di un campo appunto, nella quale sboccano le calli. Di solito, sebbene piccoli, erano un punto focale di incontro delle persone, centri della vita sociale di un quartiere. E spesso nei campielli si trovava “la vera da pozzo” fondamentale per la città in quanto unica fonte di approvvigionamento d’acqua potabile. Il Premio che viene attribuito al vincitore è appunto la riproduzione in argento di un pozzo veneziano. Sulle prime sembrerebbe un’idea bizzarra eppure l’idea di associare la letteratura ed i libri ad una piazza centro pulsante di vita non è certo un caso. E l’effige del pozzo di acqua potabile ci ricorda che la letteratura, nonostante tutto, rimane ancora l’unica fonte di “approvvigionamento” a cui possiamo attingere.

 

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