“Figlio di Dio”, l’essenzialità di Cormac McCarthy che rabbrividisce il lettore

Comarc McCarthy
Comarc McCarthy

“Nient’altro che un figlio di Dio come voi, forse” si legge nella prima pagina del romanzo “Figlio di Dio” (1974) del grande scrittore americano Cormac McCarthy. Una presentazione essenziale, scolpita nella pietra quella di Lester Ballard, uno dei tanti poveri bianchi  che popolano le catapecchie del Sud rurale e precisamente della contea di Sevier, nel Tennessee osteggiata dalla natura. Tuttavia gli abitanti sono abituati alla sua violenza, alle alluvioni, alle tempeste, agli animali da preda, cosi come lo sono alla miseria, all’incesto, alle pubbliche impiccagioni, alla breve comparsa di uno sceriffo o di una stanza d’ospedale, che sembrano essere la normalità, anzi quasi la regola.

Anche Lester Ballard è un “animale” che si aggira tra i boschi, un povero disadattato che diventa serial killer, violentatore, feticista, necrofilo; un uomo solo nei grandi spazi naturali che sembrano assecondare la sua bestialità. Ma il mondo che lo circonda non è meglio di lui, gli uomini con cui ha a che fare non sono meglio di lui, ma allora cosa ha di diverso rispetto a chi abusa delle proprie figlie, o degli sciacalli che approfittano delle alluvioni per fare razzie? Paradossalmente nulla, perché è un figlio di Dio anche Lester Ballard come afferma una delle tanti voci narranti che osservano commentano questo museo degli orrori con distacco.

Ballard pian piano scivola della pazzia ma proprio in questa pazzia lo scrittore vede qualcosa di straordinario, perfino di sublime: la capacità di resistere e poi di sfidare la natura e le sue avversità, e quindi sfidando anche Dio, prendendosi gioco di lui. Non potendo eliminare la natura malvagia intorno a sé, se ne nutre, come si nutre di cattivo whisky  di contrabbando e di improperi; la potenza della natura diventa un tutt’uno con la sua anima nera.

Sembra  essere  proprio  questa, l’unica via d’uscita  secondo Ballard  per sopravvivere  in una realtà sconfinata dove la legge è pressoché assente, dove vigono regole primitive, dove la gente deve già pensare a come difendersi dalle ostilità della natura, perde progressivamente ciò che ci rende uomini.

“Figlio di Dio” è un inno alla morte, dove non c’è né speranza né redenzione: il protagonista è un “Essere per la morte” per dirla alla Heidegger ma essendo consapevole, in un certo senso, di appartenere alla natura, lottando contro di essa e contro Chi la determina. Ed ecco che attraversa un torrente impetuoso senza saper nuotare con il suo immancabile fucile, curvo sotto il peso del materasso zuppo, ma riesce comunque a cavarsela. Passa un gelido inverno in una caverna, striscia nel fango, soffre la fame e la sete, dopo che la sua baracca ha preso fuoco. Emerge dal buio e sopravvive. Alle orecchie delle donne uccise sussurra tutto quello che non è mai riuscito a dire a nessuna, perché tutte lo hanno sempre respinto. Ballard si aggirerà per i boschi e per le montagne, vestito degli sgargianti abiti femminili delle sue vittime, con il volto dipinto, abominevole e disgustoso; e finalmente gli abitanti della contea realizzano che è il momento di agire.

“Figlio di Dio” è un “Silenzio degli Innocenti” ante litteram che rabbrividisce il lettore, con il suo stile crudo, solenne, secco, fatto di capitoli brevi,con descrizione dei luoghi dettagliata; una marcia funebre, una storia atavica e solitaria il cui senso di morte trafigge come un pugnale ogni singolo elemento naturale, senza autocompiacimenti e retorica.

Dopo “Il buio fuori”, “Meridiano di sangue”, “Cavalli selvaggi”, “Non è un paese per vecchi” (portato sugli schermi dai fratelli Cohen) e “La strada” che ha vinto il Premio Pulitzer nel 2007, Cormac McCarthy sorprende con Figlio di Dio, un altro capolavoro, il quale, nonostante la violenza, la sua crudezza, la mancanza di speranza, è capace di insospettate delicatezze; la storia è un pretesto per dire altro, come ha sempre fatto lo scrittore, mettendoci di fronte al male, alla perdita dei valori che rendono tale un essere umano, quasi volesse avvertirci, con un’opera cosi disturbante, di quello che rischiamo di diventare. E per capirlo bisogna leggere romanzi come questo che lasciano senza scampo, come la fine riservata a Ballard, giusta e logica.

La grandezza del romanzo sta, oltre che nel tipo di scrittura adottato, nel raccontare una storia tragica con un criminale che tutti avremmo giustamente disprezzato nella società in cui viviamo, ma conducendoci fino all’ultima pagina e quindi fino alla fine della vita del protagonista, rabbuiendoci, ma senza indignarci, perché Mc Carthy lo presenta già come uno sconfitto, un fallito ribelle, incapace di essere Uomo, all’interno di quella  macchina perfetta chiamata natura. Probabilmente, ciò rappresenterebbe, secondo l’autore americano, anche un fallimento sia dell’essere umano, che di Dio stesso. L’attore e regista James Franco ha tratto da “Figlio di Dio” l’omonimo film, in concorso a Venezia 2013.

 

Premio Pulitzer 2013

Il Premio Pulitzer rappresenta la più prestigiosa ed ambita onorificenza nazionale per la letteratura .

Istituito da Joseph Pulitzer, magnate della stampa statunitense e  gestito dalla Columbia University di New York,  il premio non attiene solo all’ambito letterario ma comprende anche il giornalismo e i componimenti musicali. Il primo premio risale al 1917 , vinto da Herbert Bayard Swope, giornalista di New York World, per la serie di articoli dal titolo ‘Inside the German Empire’  e a J. J. Jusserand per il  lavoro ‘storico’ in ‘With Americans of Past and Present Days’.

I premi vengono  assegnati annualmente ( nel mese di aprile) a coloro che si sono distinti  in una delle  categorie considerate che vanno  dalla fiction, alla cronaca, alla musica, alla drammaturgia.

Quest’anno il premio è andato, per quanto riguarda il giornalismo, al New York Times che si è aggiudicato quattro categorie su 21: giornalismo investigativo,di approfondimento,internazionale ed innovazione digitale per  il servizio dedicato all’attività d’oltreoceano della AppleWal Mart e per un reportage sulla famiglia del primo ministro cinese. Il fotografo free-lance Javier Manzano si è aggiudicato la miglior fotografia per un suo scatto in Siria ,mentre allo scrittore Adam Johnson , autore de “Il Signore degli Orfani”, è andato il premio per la narrativa.

 

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