L’ultimo Natale di George Michael, gigante del pop

A volte il destino sa essere proprio beffardo e crudele, soprattutto quando i suoi piani vengono ad incrociarsi col mondo della musica. Per George Michael questo è stato l’ultimo Natale, the Last Christmas, parafrasando una delle sue canzoni più famose. Questa assurda e tragica coincidenza potrebbe quasi strappare un sorriso se questo 2016 non fosse stato cosi devastante per l’universo rock. Cominciato maledettamente male con la perdita di David Bowie e proseguito con l’addio di Glenn Frey, Prince, Leonard Cohen, solo per citarne alcuni, questo ennesimo ultimo lutto sembra essere la ciliegina sulla torta di un anno decisamente da dimenticare. Anche perché la perdita è grossa, di quelle che pesano e si farà terribilmente sentire. George Michael, nato a Londra il 25 giugno del 1963, era, infatti, un gigante del pop. Con oltre 100 milioni di dischi venduti in tutto il mondo è uno degli artisti britannici di maggior successo ed il protagonista di alcune delle performance live più esaltanti di sempre.

“Non mi è mai dispiaciuto essere considerato una pop star. La gente ha sempre pensato che volevo essere visto come un musicista serio, ma io no. Io volevo solo che la gente sapesse che prendevo assolutamente sul serio la pop music”  (George Michael)

Questa frase coglie perfettamente il senso della sua filosofia musicale. Del resto fare del pop, del buon pop, è molto difficile, una vera forma d’arte, poiché si deve, in tre minuti di canzone, riuscire a toccare il cuore ed i sentimenti della gente fino a diventare l’essenza stessa di un ricordo o di un momento. Questo George Michael lo sapeva bene fin dagli esordi folgoranti risalenti agli anni 80 quando, in coppia con Andrew Ridgley, faceva strage di cuori di ragazzine adolescenti e dominava le classifiche con lo storico marchio Wham!

George Michael e Andrew Ridgley – The Wham!

Sono gli anni dei capelli meshati e dei completi bianchi, dei videoclip e dei paninari, ma anche gli anni di canzoni immortali quali Wake me up before you go go, Freedom, Careless Whisper, Everything she wants che fanno di Make It Big un million seller. La parabola Wham! dura poco. Nel 1986 il duo si scioglie dopo aver pubblicato The Final, doppio album contenente tutti i loro successi con l’aggiunta di alcuni inediti tra cui l’arcinota Last Christmas. Ma mentre Ridgley scompare definitivamente dalle scene, Michael si reinventa proponendo un pop ancora più accattivante unitamente ad una immagine molto più trasgressiva e sessualmente accattivante. Sono gli anni di Faith, altro clamoroso successo, in cui oltre alla title track sono contenute le epocali  I Want Your Sex, Father figure, One more try Kissing a fool. Nel frattempo diviene una richiestissima guest star arrivando cosi a duettare con mostri sacri quali Aretha Franklin (I knew you were waiting (for me)), Elton John (Don’t Let The Sun Go Down On Me), i Queen (Somebody To Love). Non contento del successo mondiale cambia nuovamente pelle rivelandosi un autore maturo e raffinato anche se sempre in possesso di quella vena di trasgressione che l’ha reso famoso.

George Michael in un’immagine recente

Il disco Older, datato 1996, contiene brani molto più complessi come la splendida Jesus To A Child o  FastloveSpinning the wheelOlderStar people ’97 e You have been loved che lo consacrano superstar e nel contempo ne consolidano un’immagine meno glam e più matura. Il successo viene confermato dalla raccolta Ladies & Gentlemen – The Best of George Michael trascinata dall’autobiografica Outside (il cui video ironizza sulla sua accusa di atti osceni in luogo pubblico in un bagno di Beverly Hills). Come ogni rockstar che si rispetti, infatti, George Michael non si è fatto mancare vari arresti e processi per droga, guida in stato di ebbrezza e omosessualità (famoso il suo coming out del 1998), ma la forza della sua musica andava ben oltre queste vicende umane. Ormai a suo agio nei repertori più disparati pubblica nel 1999 Songs from the Last Century, in cui ripropone una sua personalissima versione di classici di Nina Simone, Frank Sinatra, Police e U2, tra le quali spicca la magnifica Roxanne. Dopo l’album Patience del 2004 dirada sempre più le uscite discografiche ma rimane costantemente in tour anche se la sua vita è tormentata da problemi fisici e personali. Tuttavia il Symphonica Tour, in cui vengono riproposti tutti i più grandi successi della sua carriera rivisitati con l’ausilio appunto di un’orchestra sinfonica, dura dal 2011 al 2014 riscuotendo il sold out in tutti i paesi del mondo. Una dimostrazione di affetto da parte di migliaia di fan che quest’anno hanno forse ricevuto il regalo peggiore, ossia la morte inaspettata di uno dei più grandi performer di sempre che con i suoi brani ha accompagnato la vita di almeno due generazioni. Forse da oggi Last Christmas avrà tutto un altro sapore.

https://www.youtube.com/watch?v=lu3VTngm1F0

Addio a Prince

Prince, al secolo Prince Roger Nelson, ci ha lasciato oggi, 21 aprile 2016, in questo anno incredibilmente luttuoso per la musica. Una delle icone degli anni ’80, per anni pretendente al titolo di “re del pop” in contrapposizione con Michael Jackson, se ne è andato in un silenzio che stride col vigore della sua produzione musicale. Produttore, polistrumentista, musicista colto e raffinato, sperimentatore, attore, Prince è stato colui che più di tutti ha svecchiato la black music, traghettandola direttamente nel nuovo millennio. La sua miscela di funk, soul, pop, ha creato un suono nuovo e innovativo e la sua immagine fortemente erotica e sessualmente ambigua ne ha accresciuto a dismisura il fascino e la notorietà anche grazie a testi dal contenuto esplicito e dissacrante. Spesso in contrasto con l’industria discografica (sono notissime le sue esibizioni con la scritta Slave sulle guance o i suoi numerosi pseudonimi: TAFKAP, The Artist), il genio di Minneapolis, ha ampiamente dimostrato di volere il controllo totale sulla sua produzione fregandosene delle logiche di mercato. In una discografia imponente è molto difficile scegliere un solo titolo quale esempio del talento di questo formidabile artista quindi abbiamo deciso di recensire quello che è forse il suo album più famoso: Purple Rain. Uscito nel giugno del 1984 quale colonna sonora dell’omonimo film (certamente meglio il disco della pellicola), che vedeva proprio Prince quale attore principale, contiene al suo interno un universo sonoro capace di spaziare da Jimi Hendrix a James Brown per arrivare alla disco degli Chic:

Mentre Jackson, al pari di Stevie Wonder, può essere considerato il più alto livello della black identity capace di piacere anche al pubblico bianco, Prince è qualcosa di completamente nuovo. Il suo personaggio, così come la sua musica, sono figli bastardi delle due culture, una perfetta fusione tra il lessico più aggressivo dei neri (funky, rhytm’ n’ blues, electric boogie) e il nuovo rock bianco. Tra le due componenti non c’è alcuna contrapposizione. Si tratta forse del primo prototipo di una cultura di frontiera del tutto nuova, che confonde le sue identità razziali, ma che riunisce le ceneri del dopobomba, il narcisismo dandy della new wave elettronica, la violenza delle minoranze etniche. Prince è di quelli che sembrano nati già col marchio della grande star. In un certo senso lo era già ai suoi esordi” (La Repubblica 19 settembre 1984)

Prince e il suo rock infuriato

Il rock infuocato di Let’s Go Crazy, i bassi pulsanti di Take Me With U, l’inarrivabile falsetto di The Beautiful Ones, l’elettronica di Computer Blue, i tormenti sessuali di Darling Nikki, l’incredibile When Doves Cry, la ritmatissima I Would Die 4 You, l’autoreferenziale Baby I’m A Star, la struggente Purple Rain con il chilometrico assolo finale di chitarra, costituiscono la scaletta di un’opera rivoluzionaria per l’epoca.

Prince nel 1984

I suoni dei synth e delle batterie elettroniche mescolati con potenti linee di basso di matrice funk, i testi al limite dell’osceno (che hanno costretto Tipper Gore a creare il Parental Advisory), una vocalità torbida ed una tecnica compositivo-strumentale stupefacente, ne fanno immediatamente un classico senza tempo. I premi si moltiplicano (tra cui l’Oscar quale miglior colonna sonora), le vendite sono altissime, gli stadi sono pieni anche grazie a show ad alto tasso di spettacolarità e Prince si trasforma immediatamente in superstar. Negli anni a seguire pubblicherà altri dischi di qualità superlativa e notevolissimo impatto ma la bellezza incredibile di quest’album rimane inalterata col passare degli anni. Basta ascoltare con attenzione una delle tracce in esso contenute per capire da dove abbiano tratto ispirazione artisti come Lenny Kravitz che evidentemente hanno attinto a piene mani dal lavoro di questo incredibile artista. Ovviamente Purple Rain è solo il punto di partenza per capire e conoscere il lavoro del “folletto di Minneapolis” la cui carriera è praticamente irripetibile, il lascito enorme e la mancanza incolmabile.

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