Quer pasticciaccio brutto de via Merulana è il romanzo che consacra al grande pubblico Carlo Emilio Gadda. Lo scrittore milanese, all’inizio del 1946, comincia a scrivere un racconto giallo, un genere che per altro lo aveva sempre affascinato.
Il caso di cronaca locale di un omicidio di due vecchie signore romane per mano di una ex domestica ispirano Gadda per la stasera della sua opera. Presto il racconto si trasforma in romanzo.
Pietro Citati, che aveva conosciuto Gadda alla fine degli anni ’55 e all’inizio del ‘56 nella prefazione scrive: “Gadda iniziò il Pasticciaccio alla fine del 1945: durante il 1946 e l’inizio del 1948 compose, circa 220 pagine con quell’impeto, quella furia, quella velocità quell’urgenza esplosiva” che conosceva nei momenti di ispirazione.” Le prime cinque puntate escono sulla rivista “Letteratura” e una sesta viene annunciata, anche se mai pubblicata.
Nel frattempo, lo scrittore prende contatti con autorevoli case editrici per un’edizione dell’opera in volume. Gadda è diviso tra l’attività letteraria e il suo lavoro alla redazione romana della Rai. In quegli anni la stesura si fa lenta e discontinua ma comunque prosegue fino al decimo capitolo. Nel frattempo, gli scritti precedenti vengono sottoposti ad un’accurata revisione.
Nel luglio del 1953, un giovane Livio Garzanti propone a Gadda di ultimare il Pasticciaccio, offrendogli un cospicuo anticipo. Il ’55 e il ‘57 sono stati il periodo di maggiore vitalismo letterario, infatti, nel giugno del 1957, Garzanti riceve l’ultimo capitolo. A distanza di un mese il libro appare nelle librerie, tra dibattiti, polemiche ed entusiasmo. Gadda ne promette in seguito ma poi abbandona l’idea. In un intervista lui stesso dichiara che “l’opera è letterariamente conclusa”
Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana: trama
Siamo a Roma nel Febbraio del 1927. Da due anni Mussolini ha instaurato il regime fascista: l’ordine deve regnare ovunque e non può essere turbato. Nel palazzo di Via Merulana, conosciuto come il palazzo degli ori, vivono ricchi borghesi. Un finto operaio si introduce in casa della contessa Menegazzi e rapina la donna di gioielli e denaro.
L’indagine è condotta dal commissario Don Ciccio Ingravallo, molisano, 35 anni. Il commissario appura che il rapinatore ha un complice. Unico indizio, un biglietto del tram, caduto dalla tasca del ladro. Dopo le prime investigazioni e testimonianze i sospetti ricadono su un giovane con una sciarpa verde.
Dopo tre giorni nello stesso palazzo, proprio dirimpetto all’appartamento del furto si consuma un omicidio. L’affascinante, Liliana Balducci, che spesso aveva ammaliato il commissario, viene trovata uccisa con un profondo taglio alla gola. L’efferato omicidio colpisce molto Ingravallo sia perché conosceva bene la donna sia perché l’esecuzione si era rivelata estremamente violenta. Iniziano parallelamente le indagini per entrambi i casi, anche se il commissario non crede che i due fatti siano collegati.
Il Primo ad essere sospettato è il cugino della vittima, il dottor Giuliano Valdarena. È stato lui a rivenire il cadavere della cugina e a dare l’allarme. Il ritrovamento a casa sua di un gioiello e di contanti non fanno altro che avvalorare i sospetti. Dall’interrogatorio emerge che Liliana è ossessionata dall’impossibilità di avere figli. Mancanza che colma circondandosi di serve e nipoti acquisite, accolte in casa per brevi periodi. Da Giuliano, Liliana vorrebbe un figlio, ma da buona cristiana e moglie innamorata di Remo, desiste. Si accontenterebbe di adottare, almeno idealmente, il figlio che nascerà dal matrimonio del cugino con la sua sposa. Come regalo di nozze dona al cugino un monile e dei soldi. Valdarena viene scagionato.
In commissariato giunge da Don Corpi, il confessore della Balducci che dà lettura del testamento. Da questo momento le indagini si spostano sulle ipotetiche nipoti e domestiche. Ingravallo è coadiuvato nel lavoro dal Commissario Fiumi e il brigadiere Pestalozzi. Si ritorna a sospettare del giovane con la sciarpa verde e le indagini si spostano nel paese di Marino a sud di Roma. Le indagini si concentrano su Zamira Pàcori, una maga-tintora, fattucchiera e sarta che ha ritinto la sciarpa e sul suo laboratorio brulicante di donne. I gioielli della contessa Menegazzi, oggetto di un turbato sogno del brigadiere, vengono ritrovati in un casello ferroviario e grazie ad altri interrogatori si identifica il giovane dalla sciarpa verde che però resta da rintracciare.
Il romanzo si interrompe bruscamente con la perquisizione della povera casa e l’interrogatorio di Ingravallo ad una delle cameriere della donna uccisa.
I contenuti dell’opera
I dieci capitoli si dividono in due grandi parti: i primi cinque raccontano la scoperta dei delitti e le prime indagini nel mondo della borghesia romana, i cosiddetti “pescicani”, che avevano saputo arricchirsi. Gli altri cinque vedono sposarsi gli inquirenti nel sottoproletariato con la sua realtà povera e tratti grottesca della campagna romana, ai margini della capitale. Nonostante una trama profondamente disgregata, Gadda vuole essere realista e raccontare dunque una realtà oggettiva, un mondo sociale misto variegato, che parla con voci diverse, producendo una vera e proprio sinfonia. La voce dell’autore si mescola a quella dei personaggi e non è più riconoscibile.
La trama diventa sempre più intricata nel proseguire delle indagini e nel susseguirsi di ipotesi diverse e dispersive rese magistralmente da Gadda attraverso digressioni, frasi costruite in lunghi periodi e divagazioni. La struttura romanzesca è aperta e dà l’impressione di durare all’infinito.
Ciò che è emerge è un groviglio. Il commissario Ingravallo, alter ego di Gadda, con ostinazione e rigore si impegna nelle indagini e nella ricerca della verità pur essendo consapevole che lo gnommero, il gomitolo aggrovigliato del fattaccio è inestricabile perché come scrive Gadda nel Pasticciaccio “non esiste la casuale di un fenomeno, esiste una molteplicità di causali convergenti che finiscono per strizzare nel vortice del delitto la debilitata ragione del mondo”.
Il Pasticciaccio a cui allude il titolo del romanzo è sì il delitto che si è consumato a Via Merulana ma figuralmente anche il caos e la terribilità delle cose del mondo. Gadda ha vissuto la guerra, le trincee, l’abbrutimento e gli orrori e ha sperimentato sulla sua pelle la falsità, l’ipocrisia, il marciume e la corruzione della società, derivanti dalla guerra. Il pasticciaccio vuole essere anche un quadro disincantato e polemico della vita sociale dell’Italia fascista con i suoi aspetti a volte grotteschi vanagloriosi. Quadro che non è solo dell’ambiente romano ma si estende a tutta la nazione che ha lasciato cadere tutti i valori e gli ideali in cui Gadda aveva creduto da giovane. La sua delusione si riversa irrimediabilmente nella sua poetica e nelle sue opere.
Il motivo del giallo, assume un forte valore simbolico, le indagini adombrano quella esplorazione del reale a cui Gadda è teso: la ricerca spasmodica di un ordine al di là del garbuglio, del pasticcio.
La struttura tradizionale del giallo prevede una linearità: delitto, indagini e scoperta del colpevole. Ingravallo e quindi Gadda non crede in questa linearità per questo imbastisce un intreccio aggrovigliato e divagatorio che conduce il lettore allo smarrimento. La scelta di interrompere il romanzo ex abrupto non è casuale anzi è preventivamente programmata dallo scrittore. La visione delle cose così invischiate nel male è incompatibile con la rassicurante morale del giallo. Il fatto che il romanzo resti incompiuto e che quindi l’assassino non venga scoperto, sembra indicare la vanità della ricerca ma anche il suo fallimento.
Il rapporto traumatico dell’autore con la realtà si scorge anche nello stile e nel linguaggio. Lo stile gaddiano è barocco: lo scrittore ama giocare con le metafore e deformare le parole, caricandole di doppi sensi e allusioni. Emblematico in questo senso è il capitolo 8 del libro. Il pasticciaccio è la summa dell’esperienza gaddiana: in esso si mescolano stili diversi, dall’aulico al triviale, dal tragico al comico.
Ciò che regna nell’opera è la pluralità dei linguaggi e mescolanza caotica di elementi diversi. Alle variopinte sfumature del dialetto romanesco si aggiungono il dialetto laziale della campagna romana, il napoletano dei burocrati dei poliziotti, accento il molisano del commissario Ingravallo, dialetto Veneto della contessa Menegazzi e una serie di linguaggi diversi, tecnici, lingue straniere, espressioni colte, basse e gergali. Il plurilinguismo raccoglie e rispecchia la frantumazione sociale presentando molte delle innumerevoli facce dell’Italia.
Quer pasticciaccio de Via Merulana è l’opera maggiore di Carlo Emilio Gadda. Per qualcuno astruso per qualcun altro geniale, ad oggi resta ancora un capolavoro indiscusso.
Per altri contenuti sull’autore:
https://www.900letterario.it/focus-letteratura/barocco-mondo-lingua-gadda/
https://www.900letterario.it/opere-900/la-cognizione-del-dolore-gadda/