‘Anime ribelli e ricordi sbiaditi – Dalla maschera alla realtà’. Maria Iannotta pubblica la sua seconda raccolta di racconti brevi

Maria Iannotta, classe ‘88  originaria di Sant’Agata de’ Goti, un paesino di 10.0000 abitanti in provincia di Benevento, nella vita si occupa di consulenza legale in uno studio associato ma soprattutto delle pubbliche amministrazioni. Dirige insieme al fratello Carmine, un ufficio in ambito gare d’appalto, con una brillante percentuale del 73% di aggiudicazioni all’attivo. È un’attivista politica e vede la stessa come una missione, e nel contempo come un metodo di vita. Si ispira all’autorevole ed indimenticabile figura di Aldo Moro. Dopo aver debuttato con al prima raccolta di racconti editata da Ivvi Editore “Il Mio Zibaldone”, solo in versione digitale, in ebook, una raccolta che ruota intorno a come i “mezzi di trasporto” possano essere talvolta il vero teatro di storie vere o inventate, a cavallo del 2023, alla fine del 2022, il 29 dicembre, esce su Amazon, la sua seconda raccolta di racconti brevi Anime ribelli e ricordi sbiaditi – Dalla maschera alla realtà”.

La raccolta ripercorre fasi vere ed inventate della vita di alcuni e personaggi che la Iannotta inventa, ma che in parte hanno davvero fatto parte della sua vita. I protagonisti sono “anime ribelli” che compiono un percorso, i cui rapporti umano vengono messo sotto la lente d’ingrandimento dell’autrice; rapporti umani che talvolta o molto spesso, non sono reali, ma piuttosto colmi di finzione ed apparenza.

L’ultimo racconto, quello che chiude la raccolta dal titolo “L’eredità di mio padre”, diversamente dagli altri, è reale al 100%.

L’autrice racconta per sommi capi, cosa succede quando improvvisamente non “sei più utile” ai secondi fini delle persone, ripercorrendo qualche anno della sua vita, raccontandone qualche aneddoto, che sottolinea la crudeltà dell’essere umano.

“Alla fine di questo racconto, che nasce con l’intento di insegnare alle persone a stare al mondo, non c’è un lieto fine, c’è solo una lezione.”

Si legge nella parte finale del racconto che chiude la breve raccolta.

La raccolta di Maria Iannotta è un viaggio tra le persone buone, e quelle meno, un viaggio tra i vicoli di Sant’Agata de’ Goti, che nascondono talvolta la pochezza delle persone che si nascondono dietro ad un’auto costosa e una faccia pulita, ma che in fondo sono davvero povere. Un diario e un’eredità che l’autrice dedica alla famiglia, a suo padre, al suo compagno e all’amore che nonostante tutto, muove il mondo.

‘La ciambella rosa’. Un breve racconto di Valeria Serofilli per l’inizio dell’estate

Proponiamo per l’inizio dell’estate 2021 un racconto breve dell’autrice pisana Valeria Serofilli, dal titolo “La ciambella rosa”.
Valeria Serofilli è docente di Lettere e come operatrice culturale  Presidente del Premio Internazionale di Poesia “Astrolabio”e degli Incontri Letterari presso lo storico Caffè dell’Ussero di Pisa e di Villa di Corliano.

Ha diretto dal 2004 le collane “Passi – Poesia, I libri dell’Astrolabio” per Puntoacapo Editrice di Novi Ligure, annessa all’omonimo premio letterario e “I Quaderni dell’Ussero” (Collezione di Puntoacapo) dal 2015 sostituiti dall’iniziativa editoriale “Le PetitUssero”, Quaderni collettivi  per l’editrice Ibiskos Ulivieri di Empoli (Pisa);  è curatrice del sito personale www.valeriaserofilli.it nonché collaboratrice di riviste e case editrici con recensioni, note di lettura e prefazioni a libri di poesia e narrativa, ed è stata  redattrice della rivista di poesia, arte e filosofia “La Mosca di Milano”.

Pubblica note di lettura e singoli testi poetici anche su riviste telematiche; è autrice di poesia, narrativa, saggistica e testi di prosa.
La mia voglia di rosa affonda le sue radici nell’ infanzia: non mi hanno mai vestita di rosa.
Così quest’anno per il mare mi sono regalata una ciambella. Una grande ciambella, e rosa.
Che se la metti in verticale diventa un oblò da cui guardare il mondo, in orizzontale una zattera su cui planare attiva o passiva mentre ti lasci avvolgere dall’ onda.
Così dal mio oblò rosa vedo   una vela su quella riga blu che divide il cielo dal mare, vedo la spiaggia, vedo quella bionda che potrei essere io un po’ più felice.
Ma adesso che ho la ciambella lo sono di più, mi sento come in barca e se guardo attraverso, tutto si tinge di rosa.
Perché una ciambella rosa se non salva la vita, salva almeno l’estate!
Per saperne di più sull’autrice visita il sito Home Page di Valeria Serofilli – Home Page di Valeria Serofilli

Racconti brevi della scrittrice Valeria Serofilli

UNA GRASSA RISATA
Ride l’americana di colore in sovrappeso sotto al mio balcone.
Una risata sana, grassa come lei, orgasmica, che dire? Il primo passo verso la felicità. Di fronte a lei un’altra americana, altrettanto grossa ma bionda. Risate che suonano anacronistiche in questo periodo di pandemia ma che è come se salissero al cielo, lame di luce a penetrare le nubi per poi ricadere salvifiche su reparti asettici, o almeno dovrebbero, di ospedali, e a rischiarare il grigiore dell’asfalto di strade semivuote.Ride l’americana di colore in sovrappeso, forse incurante della situazione o forse, proprio di quella ride.

Valeria Serofilli

31 ottobre 2020

LA GABBIA

Deliziava i pranzi e le cene dei commensali. Una voce celestiale, potente,  per quella gabbietta dieci centimetri per cinque o forse lo era proprio per quella gabbietta. Lei apprezzava il canto senza chiedersi da dove provenisse, senza domandarsi quale ne fosse lo strumento.

E si stupì molto quando quel giorno il padrone del locale le parlò del merlo, portandola a vedere la gabbia appesa al muro: si stupiva che un piccolo essere così nero, così esile, dalle ali untuose ormai atrofizzate, potesse produrre suoni che toccavano le corde più intime del cuore.
Poi un giorno non lo senti più e ai suoi pranzi, nonostante avesse accanto l’amore della sua vita, da quel momento mancò qualcosa.

NON PORTO FIORI

Correva felice Luisella, sulla sua piccola bicicletta rossa. Ma l’impeto con cui pedalava aveva qualcosa di strano o almeno così appariva ai miei occhi, quasi una sorta di sfogo, un accanimento. – Mamma perché ha le labbra viola?- Si è affaticata troppo – mi rispondeva lei sottovoce. Numerose volte mi ero recata nella piccola corte a giocare con Luisella. Poi un giorno mi dissero che era andata a Milano perché si doveva operare. Ricordo che l’appuntamento successivo fu direttamente in quello spazio cimiteriale con cui, prima o poi, tutti ci dobbiamo confrontare. Non vedendo Luisella, rivolsi a mia madre la domanda più ingenua, scontata e senz’altro la più tremenda, che solo una bambina può concepire – Dov’è Luisella? – È là – mi rispondeva sottovoce – Là dentro?!! –  Iniziai a piangere terrorizzata.Ricordo che l’avrei voluta accarezzare ancora una volta, vederla pedalare con le treccine al vento ancora una volta. Forse è iniziato  allora il mio difficile rapporto con i cimiteri. Scusa mamma se adesso non ti porto fiori.

Copyright Valeria Serofilli
Tutti i diritti riservati
Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941)

A Raymond Carver piaceva la marmellata di more?

Nella prefazione all’edizione Einaudi di Cattedrale di Raymond Carver (ahimè ho fatto l’errore di comprare questa edizione e non quella di minimum fax, come molti miei amici mi rinfacciano), Francesco Piccolo scrive di essere rimasto scioccato quando, aprendo la prima pagina del primo racconto “Penne”, ha scoperto che questo iniziava con le parole «Questo amico». Come se il racconto volesse lasciarsi alle spalle – non detto, sottinteso – tutto il trascorso passato fra il narratore e questo suo amico Bud. Ed è vero, leggendo le prime pagine di “Penne” ci ritrova con questa sensazione, sebbene ciò che mi ha lasciato letteralmente senza parole riguardo quel racconto arriva verso la fine. Prendo in considerazione questo breve paragrafo, che arriva dopo la serata a casa di Bud e Olla, dopo l’incontro col figlio e con il pavone; ma prima di «tutta quella storia»:

In seguito, quando le cose tra noi sono cambiate, ed è arrivato nostro figlio, insomma, tutta quella storia, Fran considerava quella serata a casa di Bud come l’inizio del cambiamento. Ma si sbaglia. Il cambiamento è avvenuto più tardi; e quando è successo era come se stesse succedendo ad altri, non come qualcosa che poteva succedere a noi.

I primi tre anni di vita Carver li passò nella piccola cittadina di Clatskanie

Perché sono rimasto senza parole? Perché mi è passato per la mente “cavolo, mi sembra di non aver mai letto nient’altro prima di questa frase”, nonostante quella che posso definire “esperienza Wallace” di qualche giorno fa con La scopa del sistema?

Essenzialmente perché in questo paragrafo si affermano, si sottintendono, si lasciano intravedere cose ed eventi che accadranno ma che non vengono descritti da Carver. Non qui, non ora. Mai, in verità. Cosa ci dice Carver con questo paragrafo? Che la situazione di apparente e stabile felicità del protagonista e della moglie Fran vengono a mutare con una serata; che l’incontro col «bambino brutto» di Bud e Olla ha smosso qualcosa, ha provocato uno scarto minimo nell’esistenza dei due, scarto che ha portato a cambiare le cose e a «tutta quella storia» (non detta).

E poi c’è il disincanto di una frase potente come «quando è successo era come se stesse succedendo ad altri»: accettazione del cambiamento nella prima parte, disincanto nella seconda. Una frase e il mondo cambia; una frase e niente è più come prima. E non importa quale sia questo cambiamento, avverrà ma non è rilevante per il lettore. Non importa neanche quale sia la condizione di partenza dei protagonisti, è avvenuto ma è anch’esso non rilevante per il lettore. È di rilievo piuttosto che un evento attuale, stavolta non rilevante per il protagonista, viene a essere la chiave di volta, l’inizio del cambiamento, il ponte fra il passato e il futuro; e questo evento, invece, che Carver ritiene rilevante per il lettore.

Qualcosa di simile accade in “Febbre”. Per qualche motivo Eileen, la moglie di Carlyle, se n’è andata di casa lasciando il marito con i due figli. Tutta la storia ruota intorno agli sforzi di Carlyle di trovare una baby-sitter e di destreggiarsi fra loro, il lavoro, una sua collega per cui l’uomo prova un’attrazione e l’amore non sopito verso la moglie. Poi all’uomo viene una banale febbre, e gli accade di passare un giorno intero dentro casa insieme alla signora Webster, l’attuale baby-sistter/domestica. Trenta pagine scorrono così, niente accade di rilevante fino all’ultima pagina, quando

La signora Webster [andandosene dalla casa dell’uomo] si girò verso Carlyle e lo salutò con la mano. Fu allora, in piedi alla finestra, che lui sentì che qualcosa era arrivato alla fine. Qualcosa che aveva a che fare con Eileen e la vita prima di allora. L’aveva mai salutata con la mano? Naturalmente doveva averlo fatto, qualche volta, anzi senz’altro, però ora non se lo ricordava proprio. Ma si rese conto che ormai tra loro era finita e si sentì in grado di lasciarla andare.

E dunque le trenta pagine precedenti – tutte le telefonate deliranti di Eileen, la storia delle due precedenti baby-sitter, le preoccupazioni per il lavoro – si dissolvono così, in qualcosa che non è spiegabile ma che accade, prima o poi. Un segno del cambiamento, più che il cambiamento stesso.

Quella inutile, fastidiosa macchia sul muro

È come se, durante un trasloco importante, magari in un altro Stato per questioni di lavoro, ci si concentrasse sulla macchia di muffa presente dietro un quadro appena staccato. La macchia è lì, ci fissa, e ci viene alla mente di quella volta che comprammo il quadro per coprire la macchia appena giunti dentro la nuova casa, e di quel piccolo bisticcio avuto col nostro partner per la scelta del quadro (noi volevamo un dipinto di Van Gogh, il partner un’immagine bucolica). Il trasloco è imminente, la nostra vita sta per cambiare in qualche modo, il rapporto col nostro partner è qualcosa di diverso – di irriconoscibile – rispetto a vent’anni fa, eppure ciò che attira la nostra attenzione è quella macchiolina lì sul muro. Simbolo di un cambiamento avvenuto e che sta per avvenire, ma che non c’è ancora.

Eppure, tutto ruota intorno al dettaglio della macchia.

Ecco, questa è la potenza incontenibile di Raymond Carver.

(Ci sarebbe in effetti da soffermarsi sul racconto che dà il titolo alla raccolta – e che nelle ultime due pagine è stato in grado di tirarmi fuori delle lacrime, cosa che non mi accadeva da anni leggendo un libro –, ma sarebbe decisamente poco carveriano, no?)

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