Addio allo scrittore napoletano Raffaele la Capria, amante dell’indefinito e di coraggiosi fallimenti

Lo scrittore e sceneggiatore napoletano Raffaele la Capria se n’è andato il 27 giugno 2022 all’età di 99 anni. Con lui se ne va un’idea della città di Napoli come metafora della vita, tra vizi e virtù. Lo scrittore legato all’attrice Ilaria Occhini (nipote abiatica per parte materna di Giovanni Papini, scomparsa nel 2019) per 58 anni, che ha raccontato “l’armonia perduta” per spiegare il suo rapporto con la città che “ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme”, descritto magnificamente nel suo romanzo più celebre, “Ferito a morte”, che gli valse il Premio Strega nel 1961, considerava quello dello scrittore un atteggiamento cognitivo-emotivo, un lavoro conoscitivo del mondo.

Un giorno di impazienza, il Realismo di La Capria

Già con il primo romanzo Un giorno di impazienza, la Capria si contraddistingue per la sua adesione al Realismo in modo distaccato. Infatti il ragazzo protagonista del romanzo comprende di avere un appuntamento con la realtà che si trova oltre l’adolescenza e nel raccontare la storia, l’autore napoletano lo dice esplicitamente ai lettori identificando la realtà in Mira, la quale guizza da tutti le parti senza farsi prendere.

La Capria lascia rivelare le cose attraverso il corpo, perché il suo protagonista è ansioso di trovare punti fermi e di conoscere se stesso “pura presenza in vuota capienza”, descrivendo l’accesso alla maturità in modo allusivo. La giovinezza è sospesa su un trampolino di possibilità  che la protendono nel mondo ma è tutta raccolta in se stessa, mai messa alla prova del salto mortale.

In Amore e Psiche ad un certo punto lo scrittore fa coincidere voce narrante e la mente narrante combaciano, si sovrappongono, perché non è detto che voce narrante e mente combacino e di certo un romanzo è un gesto con il quale si può esprimere la cognizione dell’ignoranza rispetto al destino. In tal senso Amore e Psiche è il romanzo più aperto di La Capria, scritto in presa diretta.

Ferito a morte e il rapporto con Napoli

La vicenda narrata in “Ferito a morte”, elegante romanzo dalla non facile lettura, che parla del declino morale e fisico di Napoli, e di un’epoca, si svolge nell’arco di circa undici anni, dall’estate del 1943, quando, durante un bombardamento, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma, all’inizio dell’estate del 1954. Tra questi due momenti il racconto procede per frammenti e flash, ognuno presente e ricordato, ognuno riferito a un anno diverso, anche se tutti sembrano racchiusi, come per incanto, nello spazio di un solo mattino: la pesca subacquea, la noia al Circolo Nautico, il pranzo a casa De Luca… Negli ultimi tre capitoli vi è poi come una sintesi di tutti i successivi viaggi di Massimo a Napoli, disincantati ritorni nella città che «ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme»; nella città che si identifica con l’irraggiungibile Carla, con il mare, con i miti della giovinezza.

Se, come ha scritto E.M. Forster, «il banco finale di prova di un romanzo sarà l’affetto che per esso provano i lettori», quella prova “Ferito a morte” l’ha brillantemente superata: libro definito dal suo stesso autore «non facile», cult per molti critici e scrittori, è stato ed è anche un libro popolare, amato e letto, con grande adesione sentimentale, da lettori che poco sapevano di questioni letterarie, ma vi ritrovavano la loro stessa nostalgia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». Un libro, insomma, di iniziazione, di rivelazione e di scoperta dal valore universale.

Raffaele la Capria, insieme a Pasolini, Morante, Svevo, Pavese, fa parte di quella geografia letteraria segnata dal bisogno di autodenigrarsi, farsi piccoli, di contrabbandare la propria maturità che si acquisisce con la vita e la scrittura come dimostra anche il romanzo False partenze.

La formazione di La Capria tra istinto, consapevolezza e predilezione per l’indefinito

La storia di la Capria è quella di un lungo apprendistato nel corteggiamento della realtà mediante il linguaggio, la storia di una seduzione che lo ha portato a scrivere anche sceneggiature per film importanti quali  Le mani sulla città (1963),  Uomini contro (1970) e Ferdinando e Carolina e a vincere oltre al premio Strega, il Premio Campiello alla carriera, il Premio Chiara, sempre alla carriera, il Premio Viareggio per la raccolta L’estro quotidiano, il premio Alabarda d’oro alla carriera per la letteratura e il Premio Brancati.

La cifra di questo grande scrittore sta nell’aver saputo creare sulle pagine armonie acustiche sempre differenti ma riconoscibili, seguendo l’insegnamento di Faulkner, secondo cui la coincidenza tra opera e progetto è impossibile, ed è proprio questa la visione dell’opera di uno scrittore che si rispetti. Di qui il suo impulso a rompere i libri, a decentrarli, ad elevarli come “coraggiosi fallimenti”. Ne risulta spesso una scrittura irrequieta, scaturita da un disordine calcolato, il cui obiettivo è riprodurre le lacune, le ripetizioni cicliche e le asimmetrie della vita vissuta.

Raffaela la Capria è un sistema mobile di configurazioni che protegge nel grigiore le proprie ragioni e i propri sentimenti percettivi della realtà, soprattutto di quella della sua Napoli: usando la sostanza buia cela e dissimula la lucidità dello sguardo il quale si ritrova in uno spazio dispersivo, in cui è difficile orientarsi. La grandezza di La Capria va ricercata non tanto nel romanzo, ma in ciò che ha dato forma al romanzo e quindi anche nel suo apprendistato.

Per molto tempo Raffaele la Capria ha raccontato l’io smarrito, ma da Armonia perduta in poi, lo scrittore diventa più consapevole, più percettivo, senza mai smettere di prediligere l’indefinito, il fortuito, il non totalizzante.

 

Fonte https://www.academia.edu/4715094/Raffaele_La_Capria_mente_narrante_in_corpo_vivente

 

‘L’edera’. La Sardegna di Grazia Deledda nell’immaginario europeo

L’edera, romanzo del 1908 di Grazia Deledda, è il racconto di un solo personaggio, Annesa, la “figlia d’anima”, la giovane serva che si innamora del proprio padroncino. La sua maturazione avviene significativamente sulla “via di Damasco”, dalla cecità del male alla luce del bene, implicata nella pragmatica di esistenti immodificabili nei loro ruoli e dietro le loro tragiche maschere. La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell’espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l’imponderabile portata dei suoi effetti, l’ineluttabilità dell’ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l’esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, “gettata” in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell’esistenza assoluta.

“Ella aveva partecipato a tutte le vicende della famiglia, in quella casa dove il destino l’aveva gettata come il vento di marzo getta il seme sulla roccia accanto all’albero cadente. Ed era cresciuta così, come l’edera, allacciandosi al vecchio tronco, lasciandosi travolgere dalla rovina che lo schiantava.”

La letteratura secondo Raffaele La Capria

In tempi recenti, Raffaele La Capria, invitato dal suo intervistatore ad esprimere un giudizio di gusto soprattutto di valore sulla attuale produzione letteraria, ha parlato con compiacimento di opere scritte bene, ben congegnate e ben strutturate, con il periodo ordinato e gli
«aggettivi al loro posto». Tuttavia molte di quelle stesse narrazioni, sebbene di ottima fattura, sarebbero, a suo dire, «disanimate», prive di soffio vitale, caratterizzate dal puro artificio, con storie senz’anima, senza sangue e senza vita, sorrette da situazioni improbabili e da personaggi falsi e inautentici.

Le «portaerei della letteratura», i bestseller alla Stephen King, sarebbero stati scritti, dunque, da autori certamente formidabili nel creare intrecci (a volte addirittura dosati meglio di quelli di un Dostoevskij) però, pur costruiti con le migliori tecniche del romanzo, sarebbero del tutto privi dell’«irresistibile vocazione a raccontare le peripezie di un personaggio rappresentativo di un’epoca».

Dove si trova oggi quel personaggio che un tempo popolava e connotava gli universi narrativi e in cui tutti potevano riconoscersi? Dove sarebbero oggi – si chiede La Capria – Julien Sorel, Emma Bovary, i fratelli Karamazov, Pinocchio? Dove più Amleto o Werther? Dove, aggiungiamo noi, Eix, Annesa o Marianna Sirca? La vera letteratura non è «un girare la chiavetta del robot per farlo muovere, ma è la vita, con le sue emozioni ed i suoi imprevisti». Con questo non si vuol dire che l’artiicio non sia arte, «può essere arte purché sia animato da un qualcosa di vitale».

Grazia Deledda, Nobel per la letteratura

Ogni qualvolta si legge un romanzo della Deledda ritornano alla mente le parole dello scrittore napoletano e, nel contempo, quelle, più lontane nel tempo, pronunciate dall’arcivescovo Nathan Söderblom, membro dell’Accademia Svedese, nell’indirizzo di saluto rivolto il dieci dicembre del 1927, in occasione del banchetto serale alla cerimonia dell’assegnazione del Nobel:

In your literary work, all roads lead to the human heart. You never tire of listening afectionately to its legends,
its mysteries, conlicts, anxieties, and eternal longings. Customs as well as civil and social institutions vary according to the times, the national character and history, faith and tradition, and should be respected religiously.

To do other wise and reduce everything to a uniformity would be a crime against art and truth. But the human heart and its problems are everywhere the same. he author who knows how to describe human nature and its vicissitudes in the most vivid colours and, more important, who knows how to investigate and unveil the world of the heart-such an author is universal, even in his local coninement.

Più volte e in separate pagine chi scrive ha creduto di scorgere, concordemente e sulla scorta di buona parte della vulgata critica, l’originalità e la forza della narrativa deleddiana proprio nella appassionata e magistrale rappresentazione dell’auto-modello sardo e, soprattutto, nella
proiezione simbolica del suo universale concreto. Sullo sfondo di paesaggi edenici, carichi di emozioni e di suggestioni incantatorie, l’isola è restituita e intesa, nelle pagine della scrittrice, come luogo mitico e come archetipo di tutti i luoghi, terra senza tempo e sentimento di un tempo irrimediabilmente perduto, spazio ontologico e universo antropologico entro cui si consuma l’eterno dramma del vivere.

L’edera: genesi dell’opera

Tali istanze si trovano conforto proprio nella rilettura di un’opera paradigmatica qual è L’edera, fatta attraverso lo studio della genetica del testo e compresa, tramite i suoi processi stratigrafici ed evolutivi, dentro una intertestualità ampia. In questo romanzo uscito in Italia nel 1908 – dopo che già nel 1907 i tedeschi e i francesi lo avevano accolto nelle loro riviste – giungono a convegno temi e motivi novecenteschi.

Certamente la narrativa deleddiana ha guardato, soprattutto agli esordi, ad una letteratura in de siècle che si esplicava secondo architetture d’intreccio, configurazioni di trame, ritmi, escamotage e artifici narrativi derivanti dal feuilleton e dal repertorio del romanzo popolare a puntate.

Le trame di molte opere, infatti, rispondevano alle esigenze del racconto d’appendice che doveva colpire l’immaginazione dei lettori con intrighi, amori, fughe, agguati, travestimenti e con l’agnizione, il riconoscimento finale che scioglie tutti i nodi dell’intreccio. Si trattava di una narrativa di largo consumo, la cui destinazione a un pubblico ampio non poteva non avere implicazioni sulle stesse tecniche narrative pensate per catturare e mantenere viva l’attenzione del destinatario con scene di intensa pateticità e di forte impatto emotivo.

Tuttavia, questo spiega poco del portato della sua poetica e della profondità etica ed ontologica della sua narrativa. L’uso più o meno sapiente di tecniche e topoi nell’Edera, esemplati dal vasto repertorio della tradizione e riadattati in un mutato contesto linguistico e culturale, non si risolve mai in un artigianato compositivo ine a se stesso.

Se fosse solamente questo, oltre il piacere tutto cerebrale della fruizione del testo, nulla accadrebbe. Non si accenderebbero passioni, non si formerebbero coscienze, e, soprattutto, non si comprenderebbe l’enorme successo di pubblico ottenuto dalle sue storie in Europa e nel mondo.

La letteratura come formatrice della vita intellettuale e morale dell’uomo

Nella sua ars dictandi non c’è compiacimento retorico, non c’è maniera. La Deledda utilizza l’artificio per parlare d’altro, lo piega ad un ine più alto. Questo è ciò che la rende una grande scrittrice, figlia ed erede, a suo modo, della grande tradizione umanistica, che aveva teorizzato il miscēre utile dulci e il docēre delectando, e costituito il fondamento di un’idea della letteratura come «formatrice della vita intellettuale e morale dell’uomo, come moderatrice della sua natura»; un’arte educatrice con finalità essenzialmente etiche, che nei secoli aveva mirato ad insegnare e a dilettare, a consolare e a far riflettere.

Una delle questioni principali che la Deledda più avvertita e consapevole deve affrontare da un punto di vista narrativo è, infatti, come tenere insieme cultura osservata (il mondo nuorese e barbaricino) e cultura osservante (sardo-italica); come costruire un narratore capace di raccogliere lo straordinario bagaglio conoscitivo di un autore implicito figlio di quel mondo e profondo conoscitore dei suoi codici. Un narratore che, ponendosi a una distanza minima dall’universo rappresentato, sapesse nel contempo raccontare l’anima e il vissuto della sua gente a un pubblico d’oltremare.

La Sardegna come metafora di una condizione esistenziale

L’opera della Deledda si colloca – a partire dall’universo antropologico sardo, veicolato da un sistema linguistico peculiare e complesso (nuorese, logudorese, italiano) – in quella più generale temperie culturale che tenta, tra Ottocento e Novecento, per reazione
alla dilagante soluzione fiorentina dei manzoniani e alla «declamata super-prosa» di matrice dannunziana, di recuperare – assecondando un rinascente orientamento centrifugo e riattivando circuiti alternativi della comunicazione letteraria – il significato e la funzione di un policentrismo che, nella storia culturale e linguistica degli italiani, si era connotata nei secoli di valenze molteplici.

Con la Deledda, e tramite la sua operazione artistica, la Sardegna entra a far parte dell’immaginario europeo.
Una realtà geografica e antropologica si trasforma, come ha efficacemente rilevato Nicola Tanda, nella «terra del mito», metafora di una condizione esistenziale, quella del primitivo, che proprio la cultura del Novecento aveva recuperato come unica risposta possibile al disagio esistenziale creato dalla società industriale e luogo per eccellenza dove rappresentare le angosce dell’uomo contemporaneo di fronte al progresso scientifico.

 

Fonte: introduzione all’Edera di Dino Manca

Napoli Città Libro: il Salone del libro e dell’Editoria ritorna in città

Parte oggi Napoli Città Libro: Salone del Libro e dell’Editoria 2019. Dopo il successo riscosso l’anno scorso, la città di Napoli dà il via ad una seconda edizione molto più ricca e all’insegna di innumerevoli novità a partire proprio dalla location. Sarà infatti Castel Sant’Elmo, al Vomero, da oggi fino al 7 Aprile, la nuova cornice dove si svolgerà l’evento. Il castello sarà la fortezza del libro valorizzando la città partenopea come centro propulsivo della cultura. Al timone del salone c’è nuovamente l’Associazione Liber@rte, coadiuvata dal Centro per il libro e la lettura, dal Polo Museale della Campania e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Il tema scelto da Napoli Città Libro è “Approdi: la cultura come porto sicuro”. In quest’epoca dove si rischia di farsi trascinare da opinioni contraffatte e verità sbiadite, la cultura è il faro verso cui dirigersi per non perdersi nella corrente. La mission del Salone è far approdare i partecipanti ad un momento di riflessione su stessi e sul mondo, toccando argomenti di attualità come migrazione, diritti civili, lavoro, scienza, ambiente e sviluppo sostenibile.

Saranno presenti case editrici piccole e grandi, locali e nazionali: 160 espositori da visitare e quattro giornate dense di incontri, laboratori, conferenze, workshop. Anche il Salone off è ricco di iniziative: dalle presentazioni di libri ai cicli di seminari.

Le sezioni in programma per Napoli Città Libro

Napoli Città Libro si arricchisce quest’anno anche di contenuti: a corredare il tema principale ci saranno svariate sezioni,che coinvolgeranno un pubblico sia adulto che giovane.
La prima sezione è Àncore, indispensabili per non andare alla deriva, qui si ragionerà sugli interrogativi che spingono l’uomo ad andare oltre il proprio orizzonte.
Il pubblico potrà dialogare con personaggi dello spettacolo, dell’arte ed assistere alle lectio magistralis di alcuni docenti universitari. Interessante lo spazio Sirene, che richiama alle famose divinità, ma rappresentano anche voci ingannatrici: in questa spazio si rifletterà sulle fake news, sugli immancabili concetti di populismo e demagogia anche con le testate giornalistiche del Mattino, Corriere della sera e Repubblica (quest’ultima davvero fabbricatrice di notizie false). Rotta su Napoli è la sezione in cui si potranno riscoprire tradizioni, storie e protagonisti della nostra città. Visite guidate è l’altra sezione del salone: qui i visitatori potranno riscoprire le storie e gli itinerari artistici del Castello Sant’Elmo e della Certosa di San Martino. Un sezione è dedicata e intitolata Ragazzi: i giovani sono il nostro futuro per questo è fondamentale infondergli l’importanza della cultura e della letteratura.

Gli ospiti di Napoli Città Libro

La Kermesse editoriale anche quest’anno sarà molto nutrita. Grande attesa per Raffaele La Capria una delle voci più significative della letteratura del 900 e per Jhumpa Lahiri,vincitrice del Premio Pulizer nel 2000.
Saranno presenti autorevoli scrittori: Giovanni De Luna, Elisabetta Moro, Marino Niola, Marco Buticchi, Ruggero Cappuccio, Gianrico Carofiglio, Maurizio Cucchi, Giancarlo De Cataldo,Cinzia Leone, Elio Pecora, Massimo Piccolo, Giancarlo Pontiggia, Stefano Mauri, Valentina D’Urbano, Lavinia Petti, Lello Marangio, Luca Maurelli,Davide Rondoni, Sandra Savaglio, Michele Serra, Andrea Tarabbia, Licia Troisi, Ilaria Tuti, Ester Viola, Gigi Di Fiore, Pino Imperatore, Lorenzo Marone .Carlo Greppi,Armando Torno e Alex Zanotelli, Licia Troisi, Roberto Quesada e Francesco Piccolo, Sabrynex,Chiara Nocchetti e Oreste Ciccariello. Anche il fumettista Paco Desiato e il musicista Antonio Onorato.

Parteciperanno personaggi noti del mondo dello spettaccolo: Renzo Arbore, Pippo Baudo, Rita Dalla Chiesa, Enrico Ianiello, Luisa Ranieri,Andrea Bosca, Marco Bonini, Vincenzo Salemme e il fenomeno web Casa Surace e Sonia Sodano, Gigi e Ross con Oreste Ciccariello.

Napoli Città Libro con queste premesse affronta questa nuova sfida cercando di attirare più lettori e appassionati con la speranza di trasformare Napoli nel centro della cultura e dell’editoria e candidandosi a diventare in futuro uno dei saloni internazionali di maggior rilievo, senza scadere nella retorica, cavalcare in maniera superficiale tematiche attuali e gridare come al solito al pericolo populismo.

 

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