‘Il cavaliere senz’ombra’ di Raffaele Olivieri, il viaggio di un nobiluomo nel Medioevo francese

Il cavaliere senz’ombra è il nuovo libro di Raffaele Olivieri edito Guida Editore. Protagonista è Gualtiero, un nobile rampollo di un’antica casata, figlio di un cavaliere appartenente all’Ordine dei Templari.  La trama si svolge in Francia, nel 1295; per Gualtiero la figura del padre è un alto modello da seguire e emulare, seppur dentro di sé non sgorghi il sacro fuoco del cavalierato e della temerarietà. Quella di Gualtiero è un’anima malinconica, letteraria, ingabbiata fra spade e armature; la delicatezza dell’anima del giovane si scontra con la concretezza e l’austerità del carattere del padre.

Olivieri si potrebbe definire un antimoderno, figura presente del saggio di Compagnon sugli antimoderni francesi. Gli antimoderni non sono figure semplicemente mosse dall’eterno pregiudizio contro il cambiamento, essi hanno una data di nascita preci-sa: il 1798, l’anno in cui la Rivoluzione francese segna una rottura decisiva e una svolta fatale; hanno una casa: la letteratura. Non sono tutti i campioni dello status quo, i conservatori e i reazionari di ogni sorta, non tutti gli ipocondriaci e i delusi del proprio tempo, gli immobilisti e gli oltranzisti, ma i moderni non entusiasti dei Tempi moderni, del modernismo o della modernità. In tal senso il romanzo di Olivieri è antimoderno, alla Michon, ambientato perdipiù proprio durante il Medioevo francese dai risvolti mitologici.

Gualtiero si emoziona di fronte a un paesaggio, seppur non sappia cosa siano le emozioni; ha con sé una lista, un prontuario per vivere secondo certi canoni, in cui l’amato padre ha scritto tutte le situazioni e le persone da cui Gualtiero deve diffidare. Il suo carattere remissivo, troppo codardo per la guerra, gli era valso anche gli scherni della comunità; tuttavia, tutto cambia quando alla morte del padre il giovane rampollo ne eredita l’armatura: una corazza che diventerà una prigione, una sorta di oggetto transazionale di Winnicottiana memoria. L’armatura avuta in eredità diviene una vera e propria fortezza in cui Gualtiero si rinchiude, senza volersi mai staccare, simbolo di una gabbia d’oro e spauracchio di un effettivo e concreto mezzo per sconfiggere i dolori, le sofferenze e le realtà della vita vera. Il giovane, per dimostrare agli altri e a sé stesso di valer pur qualcosa, decide di partire per prender parte alle Crociate; il suo scopo diventa quello di inseguire le guerre, non perché sia un cuor di leone ma perché l’armatura diventa un riflesso di quella temerarietà di cui Gualtiero manca.

La battaglia, nella concezione del protagonista, diventa così un contesto mitico: soverchiato da un alone leggendario quasi come le gesta mitologiche di eroi del calibro di Achille. Tuttavia, le crociate sono finite da un pezzo: il giovane non cede alle sue convinzioni  e, anzi, la sconfinata paura da cui è pervaso lo obbliga a utilizzare questa falsa credenza come pretesto per non abbandonare l’armatura del padre; pesante, ingombrante, ma sicura e appagante dal punto di vista emotivo. Gualtiero intraprende un folle viaggio verso le guerre, schernito da tutti: ma è proprio durante il suo viaggio in Galilea che scoprirà sé stesso, grazie agli incontri singolari con cui si rapporterà durante il suo cammino.

 

La Grande Armonia: prendere coscienza del proprio essere

Durante il suo viaggio verso la Galilea il cavaliere senz’ombra, abituato agli agi e alla comodità, inizia a scontrarsi con le prime intemperie della vita; il timore degli insetti, abili e veloci nell’insidiarsi sotto la sua armatura diventata, oramai, una vera e propria casa e, ancora, la fame, il freddo e il caldo. Ogni tanto, alla vista di qualche paesaggio o di qualche personaggio durante il suo cammino, sopraggiunge un grumo di emozioni che Gualtiero percepisce nel petto, credendo si tratti di un dolore alle costole.

Con lui il suo cavallo e un coniglio selvatico incontrato lungo la strada; un animale la cui simbologia con il protagonista appare evidente: il poco coraggio, la paura, il non lasciarsi mai andare. Durante il corso delle pagine, il lettore noterà la crescita emotiva e umana del protagonista della storia: non solo grazie a una sua graduale evoluzione ma anche, e soprattutto, grazie ai personaggi che saranno riflesso dei suoi timori e che, tramite gesti o parole, li dissiperanno. Da ogni incontro imparerà qualcosa: la calma e la quiete di una comunità che vive senza parlare, al chiarore della luna, la cui dottrina si ispira all’amore, alla cooperazione e alla solidarietà.

Nomadi legati alla terra che insegneranno al giovane il legame con la natura, o la possibilità di una  la vita condotta senza il superfluo che pur può essere serena. Ai lunatici Gualtiero dona alcuni pezzi della sua armatura affinché possano reperire dalla vendita di quest’ultima del denaro per compare cibo e viveri. Questo passaggio è emblematico: l’armatura, co-protagonista del romanzo, si sfalderà nel corso delle pagine rivelando la vera essenza del cavaliere che la indossa.

Alcune parti saranno rubate, altre donate ancora a un uomo deforme dopo aver incontrato i lunatici, altri pezzi andranno perduti. Questa progressiva perdita simboleggia, in realtà, la possibilità di ritrovarsi; ogni pezzo perduto dell’armatura coincide con l’incontro verso la sofferenza, l’empatia, l’amore e, in altre parole, verso l’umanità. Piano piano, il carattere rigido che contraddistingue Gualtiero lascia il posto a una spiritualità che sembra sempre più espandersi, nel corso delle pagine, tanto da arrivare a rifiutare il motivo primario che lo ha fatto partire: la guerra. Incontra, in seguito, Frate Girolamo che lo invita a sostare nel monastero insieme ad altri frati; qui, Gualtiero, dopo una sosta decide di andare via, ancora, per la sua strada.  Successivamente, un menestrello gli indica la via della magia per rispondere a quei quesiti che Gualtiero, nel corso del suo viaggio, si continua a porre.

L’uomo incontrato per strada lo conduce dalla maga Jolanda che, invece di preparargli una pozione, gli rivela una profezia che sconvolge il cavaliere. La stanza della maga è sinistra, gli odori di rane e lumache bollite poco invitanti, le ombre nere dell’aldilà che il giovane cerca di combattere inquietanti. Eppure, la maga, scorge qualcosa di maestoso nel cavaliere dal cuore pavido e gli predice di essere destinato alla Grande Armonia: una condizione che implica lealtà, rispetto,  coraggio ma non la guerra.

‘’Ogni volta che rinuncerete a un pezzo della vostra armatura, riceverete un segno a indicarvi che siete sulla strada giusta. […]. Dovrete imparare ad incassare i colpi della vita, non quelli delle spade. Al termine del viaggio raggiungerete la Grande Armonia’’.

Quell’armatura non è altro che una  barriera fra Gualtiero e il mondo reale che il giovane utilizza per non scendere in campo di battaglia ancor più cruento: la realtà, l’esistere e i suoi flussi. Ogni volta che Gualtiero indossa l’armatura la sua ombra scompare; come se quella ferraglia ingombrante risucchiasse il suo respiro vitale, inglobasse la sua essenza, facendolo vagare per il mondo come mero pezzo di ferro senza più un’identità. La maga Jolanda, però, gli predice un’altra profezia: ogni qual volta toglierà l’armatura riceverà un segno: una piuma bianca dal cielo.

L’archetipo del Viaggio dell’Eroe fra rinascita e autorealizzazione

Le avventure di Gualtiero proseguiranno con altri incontri determinanti: un orso che lo risparmia da morte certa spezzandogli la spada e un filosofo che gli dona gli strumenti per porsi delle domande sul senso della vita e sulla la sua di esistenza, vissuta fino a quel momento. La rinascita di Gualtiero è evidente: il primo punto di rottura con la sua vecchia vita è quando decide di sbarazzarsi della lista degli inaffidabili redatta da suo padre.

Il giovane prende coscienza della propria interiorità, acquisendo sicurezza. I personaggi che incontra lungo il tragitto  lo porteranno al raggiungimento di un nirvana vitale e, di conseguenza, all’acquisizione tangibile del proprio posto nel mondo. Rimasto con pochissime armi e con una corazza sbrindellata addosso raggiunge un’oasi: non del tutto convinto dell’effettiva fine delle guerre, vede ancora aleggiare fantasmi ombrosi di questa sua convinzione, per poi rendersi conto che, le battaglie tanto ricercate, erano solo miraggi, pretesti per non darsi alla luce.

Nell’oasi, il protagonista, si sbarazza della sua armatura-corazza e, in sogno, il Pontefice gli conferma la fine della guerra e un mondo governato dalla pace. Baratta il suo cavallo con un cammello e affida il suo fidato coniglio a una vedova per partire di nuovo ma, questa volta, libero di essere sé stesso senza essere ingabbiato da un’armatura che reprime il suo vero Io, cancellando il suo essere. L’autore riserva, a questo punto, un epilogo inaspettato ed emozionante: Gualtiero non solo troverà quello che stava cercando, ma molto di più.  Il monomito narrato ne Il cavaliere senz’ombra si conclude con i tre punti chiave che caratterizzano l’archetipo del Viaggio dell’Eroe: l’autorealizzazione, l’individuazione e l’illuminazione del protagonista.

 

 

 

‘Nobilissima visione’ di Raffaele Olivieri: la musica come metafora della vita

Carcerata e carceriere, la cosiddetta sindrome di Stoccolma. Come può l’atrocità di un sopruso dar vita a un rapporto d’amore, alla compenetrazione di due diverse anime? Come possono due solitudini incastrarsi perfettamente fino a generare un’unica prigionia, una tormentata passione? Sono questi gli interrogativi che pone lo scrittore Raffaele Olivieri nel suo nuovo romanzo Nobilissima visione. Olivieri ha esordito nel 1983 con la pubblicazione del libro di versi Il segno d’acqua, ha poi pubblicato nel 2002 il romanzo Anna e il deserto, nel 2003 il mistery per bambini Lorenzo e i fantasmi azzurri, nel 2008 Ombre a Venezia, nel 2010 il giallo Delitto con dipinto di prossima pubblicazione nella versione francese presso Biro di Parigi e nel 2011 presso la Nuova Editrice Magenta Una strana indifferenza, vincitore del Premio Morselli 2010.

Trama del romanzo

Nobilissima visione si presenta come un’opera originale, soprattutto per quanto riguarda la sua struttura e impostazione, a mo’ di partitura musicale fatta di periodi semplici e brevi. Una sinfonia di diverse modulazioni che servono ad identificare determinati eventi e l’evoluzione degli stati d’animo del protagonista al quale sembra di iniziare la propria vita su un isola in un futuro abbastanza vicino, in seguito ad un naufragio che gli fa perdere la memoria. Siamo nel 2030, dominato dalla tecnologia e dalla logica del profitto, su un’imprecisata isola del Mediterraneo. Un naufrago va ad arenarsi su un’isola del Mediterraneo, in preda all’amnesia. Gli abitanti lo informano che dieci anni prima grandi rivolgimenti della crosta terrestre hanno provocato terremoti e maremoti non ancora cessati del tutto che hanno risparmiato solo alcune isole scarsamente popolate. Il giovane trova alloggio in una locanda in cui viene ospitato in cambio di servizi di giardinaggio e orticoltura. Una notte sogna una melodia di superba bellezza e non si stupisce quando, il giorno dopo, sulla spiaggia, trova uno splendido violino in pessime condizioni. Il mistero s’infittisce quando viene a scoprire che sull’isola abita un vecchio liutaio che vive con un gatto bianco in un’antica pieve sconsacrata trasformata in laboratorio. Il vecchio gli confessa di aver conosciuto una leggendaria violinista che ha rappresentato per lui l’incarnazione stessa della spirito della musica. Decide così di scritturarla davanti alla sua casa per un concerto privato, al termine del quale, colto da un irrefrenabile impulso, la rapisce.

La scrittura adottata da Olivieri è chiara, suggestiva e abbastanza avvolgente, infarcita di dialoghi a tratti banali e riflessioni didascaliche, già sentiti (soprattutto quelli riguardanti il protagonista e il vecchio liutaio) e di descrizioni accurate che immergono il lettore nell’atmosfera di questa isola dove si consuma una passione tra il carceriere e la presunta vittima o forse sarebbe più corretto dire lo struggimento di un’anima lacerata dall’arte, ebbra di musica, inseparabile dal suo violino. Nobilissima visione, titolo di un balletto del compositore tedesco Paul Hindemith, è pervaso da un’atmosfera atavica, arcaica, romantica, senza tempo. Ma cosa ha di particolare quest’opera di Hindemith da indurre Olivieri a sceglierla come titolo del suo nuovo romanzo?

Se Hindemith realizzò la sua Nobilissima visione dopo aver visitato il ciclo di affreschi di Giotto custoditi a Santa Croce a Firenze, e consacrati alla vita di San Francesco descrivendo le visioni mistiche del Poverello d’Assisi, Olivieri fa riferimeto ad una donna che con la sua musica attrae il liutaio del suo romanzo, tanto da mandarlo in estasi e tenere segregata la violinista.

Nobilissima visione: stile e contenuti

La cifra dell’autore va cercata, insomma, nella pertinenza dello sfondo della vicenda, nella padronanza della materia trattata che si vede che egli ama molto, che però purtroppo per chi è totalmente estraneo o non particolarmente appassionato di cultura musicale potrebbe risultare pesante e nella caratterizzazione dei personaggi, nell’efficace contrappunto delle annotazioni paesaggistiche, nella vigorosità neoclassica nel rappresentare l’infiammata spirituale che avvolge il protagonista e che produce la musica stessa nel tentativo di fare anche divulgazione culturale, facendo di Nobilissima visione una sorta di mini-trattato filosofico sull’arte che vuole comunicare il senso di libertà che offre la musica (non a caso la violinista rapita scrive nel suo diario che la musica rappresenta la sua “ora libera” e quando suona diventa persino più bella e aggraziata), a tratti retorico e pedante. Il dubbio che l’autore abbia approfittato di questa storia per sfoggiare la sua cultura musicale e per disseminare qui e là delle lezioncine su diverse materie, sorge spontaneo e tale aspetto del romanzo spesso va a discapito della tensione emotiva che dovrebbe pervadere la narrazione soprattutto nella seconda parte dove anche i dialoghi tra il vecchio e il naufrago sono meno incisivi, anzi sembrano contenere la summa di aforismi stantii: “La musica è una succursale dell’infinito”; “quella ragazza è come l’amore. Inganno, illusione, tentazione suprema. Ricorda, non commettere il mio stesso errore. Guardati dal sentimento”, ecc… Il conflitto generazionale tra i due uomini purtroppo non riesce ad andare oltre scambi di battute pluricitate come:  <<Come ti permetti di parlare in questo modo a chi ha molti più anni di te, ragazzo?>>; tutto ciò provvede a spegnere il coinvolgimento del lettore. Le pagine dedicate al pentimento del liutaio verso la fine del romanzo risultano purtroppo a tratti stucchevoli ma riscattate da acuti parallelismi tra la vita e la musica: “La mia vita è stato un lungo recitativo inframezzato da pochissime arie”. Sembra buttata là la presenza del gatto bianco del liutaio cui viene assimilata la donna misteriosa che ammalia e turba entrambi gli uomini.

Nobilissima visione ha dunque il pregio di raccontare una storia particolare, cercando di mostrare, purtroppo in maniera troppo didascalica, ripetitiva e retorica, e senza far vibrare fino in fondo le corde della sovrapposizione tra menzogna e verità, Storia e giudizio postumo su di essa, la collisione tra realtà e immaginazione che si crea nella mente di un uomo solo ed egoista. schiavo delle proprie visioni e dei propri sogni e come la musica possa essere sia liberazione, salvezza che fonte di disperazione. Risultano invece più approfonditi i meccanismi psicologici riguardanti il tema della sindrome di Stoccolma.

 

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