Piero Jahier e la sua prosa lirica e frammentaria

Sulle pagine della <<Voce>> di De Robertis è maturata e cresciuta l’originale opera di Piero Jahier (1884-1966), il quale seppe tenere l’autobiografismo, tratto stilistico comune a tutti gli autori della sua generazione, lontano sia dalla contemplazione narcisistica di se, sia dall’introspezione vuota e senza conseguenze, legandolo invece, come disse egli stesso, alla “corta catena” della morale oggettiva e dei doveri comuni.

Già nella Morte del padre del 1914, Jahier, prendendo spunto da un tragico episodio autobiografico, aveva calibrato una maniera di scrittura che non tollerava più soluzioni di continuità tra la prosa e il verso:

Tutto questo sole-finito-

ma la serra riporta i pensieri

nella casa dove nessuno potrà dormire.

Quando eravamo nella grande città ordinata

                                                     [piena di giardini;

dove siamo stati tanto felici-

allora è cominciato il tuo male.

 

I testi di Jahier, composti per montaggio di tasselli linguistici intorno a un nucleo tematico e a una costante tonale, slittano senza riguardi da un modo di scrittura all’altro: poesia e prosa tendono anzi a sovrapporsi. La personale vocazione espressiva di Jahier non mira al risultato artistico “puro” e “assoluto”, avendo essa per modello l’appunto che nasce a ridosso delle occorrenze più importanti della vita. Su tale versante la sua ricerca collima con la linea principale dello sperimentalismo vociano; il carattere lirico e frammentario della pagina in prosa, infatti, che si afferma nell’ambito della <<Voce>> di De Robertis, è ben testimoniato dai due libri, pur diversi fra loro, che Jahier ha pubblicato nel 1919: Ragazzo e Con me e con gli alpini.

Ragazzo è un racconto autobiografico, Jahier descrive con partecipata emozione ma anche con fermezza, le titubanze, le incertezze e le inquietudini di un adolescente davanti ai primi problemi e alle prime difficoltà della vita (la morte del padre, la miseria della famiglia). Se da un lato quest’opera può essere accostata a Un uomo finito e al Mio Carso, tuttavia il moralismo di Jahier è molto più scoperto rispetto a quello di Papini o di Slataper: Ragazzo è dettato secondo un’esigenza al contempo protestataria e pedagogica, quasi fosse un invito all’autodisciplina interiore e al sacrificio, ma anche una denuncia delle più scoperte ingiustizie sociali.

Piero Jahier: una letteratura “civile” e morale che ripudia la forma romanzesca

In Con me e con gli alpini invece Jahier presenta le difficili condizioni della vita tenace e silenziosa dei soldati in trincea; egli celebra l’eroismo dei semplici, le virtà “senza gradi”, i valori duraturi come la fedeltà e la solidarietà. L’opera, come Ragazzo, alterna prosa e versi: la vita al fronte è raccontata frammento dopo frammento. Arruolatosi come volontario per quella che Jahier definiva una “guerra ascetica”, lo scrittore trova la sua comunità ideale nei reparti degli alpini, dove, in nome della solidarietà, vengono superate le differenze di casta e di grado. Le cadenze poetiche sostengono il racconto con lo scopo di dare maggior vigore alle ragioni etichedifese dall’autore; la dimensione morale dell’uomo è insieme esaltata e semplificata sugli imperativi della disciplina, della libertà e dell’uguaglianza. Con me e con gli alpini in questo senso, è una delle testimonianze più marcate dell’impegno etico dei narratori vociani; attraverso l’idealizzazione dei suoi soldati Jahier celebra e ripropone i valori della sanità morale, dell’onestà, della limpidezza spirituale. Ecco perché Jahier impiega una scrittura solenne, scandita nei frammenti, nelle ripetizioni ieratiche e nelle pause, ricordando il modello del versetto biblico.

Uno stile solenne e “biblico”

Il lessico di Jahier, con i dialettismi, le forme popolari, la terminologia tecnica derivata dal linguaggio burocratico o militare, non teme di impiegare parole logore, basse, elementari; anzi, proprio queste sembrano più cariche di esistenza e più vicine alla realtà della vita. Jahier, pur ripudiando la forma romanzesca, abbassa il linguaggio fino a farlo aderire agli oggetti secondo i canoni della narrativa verista. Egli infatti scrive non per evocare sentimenti profondi ma per restituire sulla pagina i risvolti più umili della società umana tradizionalmente rimossi dall’estetica letteraria. La prosa dello scrittore genovese, intrisa di religiosità, è animata da un particolare tormento della coscienza e da una severa volontà critica nei confronti dell’ideologia borghese del proprio tempo. Jahier assume più di una volta intonazioni profetiche, sebbene spesso su di essa incombano i rischi della superficiale esortazione morale e dell’illusoria semplificazione. Lo scrittore riesce tuttavia ad evitare di cedere alla retorica quando nelle sue pagine si determina il difficile equilibrio tra l’intento educativo e la scrittura che è insieme satirica e sperimentale.

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