‘Le digressioni del cuore’: l’esordio di Luca Barbanti

Le digressioni del cuore (Edizioni Epsil) è il romanzo d’esordio di Luca Barbanti, classe 1992.

Le digressioni del cuore di Luigi

La vita di Luigi De Stradi, trent’anni, romano, prosegue tranquilla fra il lavoro in hotel e la frequentazione con Giulia, quest’ultima destinata a tramontare a causa del prossimo trasferimento della ragazza in Galles per fare del volontariato. Come se non bastasse questo cambiamento radicale nella sua vita, interviene un’amica di vecchia data, Faysa, la quale chiede al protagonista il più difficile dei favori: occuparsi per qualche tempo di suo figlio Issah, nato dal matrimonio della donna con un italiano. Lei infatti deve tornare in Nigeria per lavoro e non può portarlo con sé a causa dei pregiudizi razziali del padre; il marito, inoltre, è una persona violenta e incapace di prendersi cura del figlio.

Luigi si ritrova dunque con un bambino che ha subìto forti pressioni psicologiche da cui è uscito insicuro, disorientato, vittima di bullismo razziale da parte dei compagni di classe. Dopo un primo scontro, i due diventano però amici, al punto che Luigi arriva a combattere in prima persona le battaglie del piccolo Issah e a insegnargli il rispetto di sé e la cura del prossimo.

Le digressioni della trama

Le digressioni del cuore è un romanzo solo in potenza e su diversi fronti. I temi trattati sono tipici del genere di formazione: abbiamo a che fare con la genitorialità, il passaggio verso la fase adulta, i rapporti interpersonali. Ma quasi tutti questi temi – così come molti altri sotto-temi quali il razzismo, il femminismo, i rapporti lavorativi, il tradimento, le difficoltà nell’affrontare i cambiamenti ecc. – risultano poco approfonditi e s’intersecano senza veramente intrecciarsi. Sembrano quasi chiusi in camere stagne, separati fra loro.

Tutto ruota intorno al protagonista de Le digressioni del cuore che, come suggerisce il titolo, si perde spesso in digressioni mentali dalla carica debolmente emotiva; queste però, a causa di una mancata cura della struttura narrativa, anziché dare spessore al romanzo lo indeboliscono. Il lettore arranca appresso alle divagazioni (che sono cosa ben diversa dalla digressione narrativa, anzi ne sono forse la controparte negativa), senza riuscire a seguirle né a interessarsene in quanto sono puramente descrittive e collegate al solo Luigi, che spesso sciorina eventi accaduti oppure opinioni personali senza mai dar loro un vero spessore psicologico, intellettuale ed emotivo. Un esempio:

«Due mesi passarono molto velocemente – nemmeno me ne resi conto – e ci avvicinammo al Natale, la mia festività preferita, quella che un po’ tutti adorano. Il Natale mi fa tornare bambino, mi fa pensare ai ricordi più belli, alle canzoncine delle scuole elementari, ai regali che vorresti ricevere, al carbone che vorresti evitare, alla volontà di credere in qualcosa di magico: le renne e il Babbo Natale che ognuno sognava di vedere e con cui sperava di parlare almeno una volta.

Quel giorno salii sul treno come al solito […]»

Terminato il passo, che nulla aggiunge allo sviluppo della trama o alla comprensione di situazioni o personaggi, il lettore non può che chiedersi: “E allora? Perché mi parli di questo?”.

Stesso problema accade con interi capitoli: il libro consta di 180 pagine, ma la vera trama inizia a pagina 71, quando Faysa irrompe nella scena. Ciò che viene prima, fatte salve le descrizioni del rapporto di Luigi con Giulia e con i colleghi di lavoro (utili a farci comprendere la sua personalità ingenua e sognatrice, ma anche salda all’occorrenza), risulta a tutti gli effetti inutile. Lo stesso accade con ciò che viene dopo: ci sono due interi capitoli, il quinto e il decimo, in cui il protagonista ci racconta eventi che non hanno alcuna rilevanza nella trama: nel quinto avviene uno strano e sconclusionato scontro con un gruppo di femministe, durante il quale si leggono purtroppo perlopiù stereotipi da una parte e dall’altra («Tutto ciò che riguarda noi donne è bello! Tutto ciò che è rosa è potente: noi siamo il passato, il presente e il futuro!»; «la prossima volta cerchi anche di indossarli gli abiti da donna, come, ad esempio, tanto per dirne uno, il reggiseno»); nel decimo si parla di come, anni prima, Luigi sia stato vittima di frode da parte di un suo collega. Anche qui ci si chiede: “E allora? Perché mi parli di questo?”.

A questo bisogna aggiungere due ulteriori problemi riguardo a Le digressioni del cuore. Il primo è l’assenza di un vero e proprio conflitto interiore del protagonista, poiché la maggior parte delle situazioni (il tradimento nei confronti di Giulia con la sensuale Valentina, il rapporto con Issah, le minacce del padre del bambino) si risolve da sé, senza un reale intervento di Luigi. Manca, insomma, quel che in gergo si definisce “arco di trasformazione del personaggio”, elemento fondamentale per uno sviluppo del plot narrativo che sia anche interessante per il lettore.

Il secondo problema è l’assenza di un vero e proprio finale: il romanzo termina con Luigi che decide di mandare a quel paese il padre del ragazzino; poi lui, Giulia e Issah escono per andare al cinema. E allora ci si chiede: che succederà col padre che, legalmente, ha tutto il diritto di vedere il figlio? Come andrà a finire la storia con Giulia dopo la sua partenza? Quando Faysa ritornerà dalla Nigeria si riprenderà il figlio?

C’è da dire che questi gravi problemi non sono colpa solo dell’autore Luca Barbanti, le cui potenzialità da scrittore sono tutte lì in mostra pronte a essere sfruttate; bensì anche (o soprattutto) dell’editore e dell’editor: del primo perché ha mandato alle stampe un testo nient’affatto pronto per la pubblicazione, ma che anzi avrebbe necessitato di una revisione strutturale; e del secondo perché semplicemente non ha svolto il suo lavoro, o comunque l’ha svolto male, lasciando evidenti buchi di trama, ripetizioni, capitoli superflui e refusi.

In definitiva Le digressioni del cuore è un romanzo che avrebbe richiesto almeno un altro anno di lavoro, e che si è avuta invece la fretta di pubblicare. Ed è un vero peccato.

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