Il saggio “Il poeta e la fantasia” (1907) di Sigmund Freud, unisce mondo letterario e psicoanalitico, alla ricerca di “cosa” susciti l’ispirazione poetica e di come faccia il poeta, attraverso essa, a smuovere l’animo del lettore, si giunge ad asserire che ogni creazione artistica reca in sé le tracce del vissuto, conscio o\e inconscio, del proprio autore. Egli, spesso inconsapevolmente, riporta nella propria “creatura” i meccanismi che muovono la sua psiche, il suo animo, e questi costituiscono lo “specchio” delle nostre fantasie, delle nostre passioni, dei nostri desideri, che sublimati grazie all’arte retorica e nascosti nel vissuto “dell’altro”, rappresentato dagli innumerevoli personaggi che abitano la letteratura, divengono per noi che li leggiamo qualcosa di assolutamente naturale nel quale ci immergiamo, di volta in volta riscoprendoci, senza più vergognarcene. Se questo assunto può risultare di difficile comprensione teorica, nella pratica,invece, svariati sono gli esempi che ne fanno da testimonianza in ambito letterario. Basti pensare a Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977), poeta italiano nato da una famiglia borghese. La vita familiare del poeta non scorre tranquilla, alla separazione dei genitori segue il distacco dalla madre che si trasferisce a Pesaro con la figlia, lasciando i due maschi con il padre. Tra l’assenza della figura materna e i rapporti tortuosi con quella paterna, Penna dopo essersi diplomato in ragioneria si alterna tra una città e l’altra, alla ricerca di un lavoro che lo vede impiegato in svariate attività e alla ricerca, forse, di una quiete d’animo, che placa in lunghe passeggiate serali. La scelta di dedicarsi all’ambito letterario avviene come ricerca di un territorio, un canale d’espressione in cui indirizzare e fare emergere la propria sensibilità. Legge i “grandi” Ungaretti, Saba, Montale, frequenta numerosi letterati e nel 1939 pubblica la prima raccolta di versi, che gli frutterà la collaborazione con alcune importanti riviste quali ad esempio: “Corrente”, “Letteratura”, ”Mondo”.
Tra i volumi pubblicati da Sandro Penna ricordiamo negli anni che vanno dal 1950 al 1977: “Appunti”, “Arrivo al mare”, “Una strana gioia di vivere”, la raccolta completa delle sue “Poesie” che gli fa ottenere il Premio Viareggio, “Croce e delizia” e “Tutte le poesie”. Consegue anche il Premio Fiuggi e continua la sua fortuna letteraria con i volumi : “Un po’ di febbre” , “Almanacco dello specchio” e “Stranezze” con il quale guadagna il Premio Bagutta. Due sono le principali caratteristiche della poetica di questo “cantor d’amore”: il monolinguismo e il monotematismo; l’una non può esistere senza l’altra, in quanto sono indissolubilmente legate da un rapporto di funzionalità reciproca. La tematica dell’amore omosessuale, ritenuta trasgressiva e non accettabile socialmente, trova spazio e “consenso” solo attraverso un linguaggio pacato e lineare, mediante un estremo controllo formale, che d’altro canto risulterebbe noioso e banale se non incorniciasse un tema tanto intrigante.
“La natura totalmente trasgressiva della tematica di Penna postula assolutamente un linguaggio non trasgressivo” queste le parole di Pier Vincenzo Mengaldo. La poesia di Sandro Penna dunque diviene strumento di delicata confessione, di cauta trasgressione, con la quale inserire la propria identità in una società che la taccia come diversa. Ancora una volta la letteratura dimostra di poter rovesciare le sicurezze dell’uomo, i baluardi delle sue convinzioni, tramutando in “bianco ciò che socialmente è nero” , rendendo normale e quotidiano ciò che nella realtà vien visto come diverso.
La letteratura scavalca i limiti posti dalle convenzioni, dai pregiudizi, diviene luogo del tutto e del nulla, rispecchia la realtà e ne offre altre mille facce, diviene, ricollegandoci ancora una volta alle parole di Freud, luogo dell’” inconscio”. Questi autori come Penna, Saba o il controverso Pasolini , che non a caso fu uno dei più grandi ammiratori del Penna, sono un valido esempio di come l’universo letterario possa ragionare con la logica dell’inconscio. Il nostro Sandro infatti equipara la poesia al desiderio, al principio di piacere e dunque alla natura. La natura dell’uomo, quella non sovrastata dalla censura psichica e sociale è infatti soggetta a dar credito al principio di piacere piuttosto che a quello della realtà inneggiato invece da una società sempre più classista e bigottamente moralista; questa natura “primordiale”, “incontaminata”, la si ritrova nell’inconscio e altresì nell’arte. Scrive Sandro Penna:
“Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d’altre cose.
Le altre cose son tutte noiose.
Io non posso cantarvi Opere Pie.”
Questa lirica assume proprio i connotati di un “manifesto poetico” dell’autore; i fanciulli infatti sono proprio emblema del principio di piacere che sublimato dall’arte retorica attraverso la forma poetica riesce ad emergere, a venire a galla, come se emergesse dall’inconscio e arrivasse alle porte della coscienza-società e soltanto perché non puro, ma contaminato, trasfigurato dal contenuto letterario-artistico, può essere accettato. Principio di piacere e principio di realtà, trovano dunque nello spazio letterario un luogo di armonizzazione, concordia e fusione, un luogo di compromesso. La letteratura dunque che come compromesso diviene l’anello mancante che unisce le due logiche dell’uomo, simmetrica e asimmetrica, che attraverso il linguaggio della coscienza occorre da tributo al linguaggio dell’inconscio. La letteratura che con Penna diviene luogo dello “scarto”, luogo, come direbbe il critico Orlando, famoso critico letterario, dell’”anti-merce”, o “anti-funzionale”, luogo di tutto ciò che non trova posto nella realtà sociale.
La poesia di Penna oscilla tra presente e passato, tra realtà e desiderio\sogno, tra interno ed esterno, in bilico eterno tra felicità e frustrazione, tra la coscienza di essere diverso , fragile e sensibile, eppure di trarre forza, mediante la sua poesia, da questa diversità.
“Felice chi è diverso
essendo egli diverso
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.”
Così commenta Cesare Garboli la poetica di questo , a volte, sfortunatamente sconosciuto artista:
“La poesia di Penna è fatta di solitudine: ma è la solitudine ardente, ricchissima, vasta com’è vasta la promessa della felicità, di chi non ha bisogno d’altro, per vivere, che dello spettacolo della vita, […] Penna è incapace di pensare che il piacere di vivere dipenda da altro che da se stessi.”
Attraverso la sua poesia l’autore rimane fedele a se stesso, alla propria indole, alla propria natura; una natura che da propria , di riflesso diviene comune a tutta l’umanità, va recuperando quella natura primordiale dell’uomo, incontaminata dai “costumi e le maniere”, quella natura che al di là dell’indole erotica è innanzitutto natura fanciullesca e gaia, “quella strana gioia di vivere”, che con lo scorrere della storia si è eclissata dinanzi la censura sociale, ma che rimane nel poeta/fanciullo, così come nell’inconscio umano, e che riscopriamo attraverso la poesia di Sandro Penna, il quale ci dimostra quella che lui stesso definisce la “permanenza della vita nella mutevolezza della storia”.