‘Il crepuscolo del sogno’: atmosfere oniriche e suggestioni nel nuovo libro di Costanza Marana

Il crepuscolo del sogno, pubblicato da Erudita Editore, è il nuovo libro di Costanza Marana.

Classe 1978, Costanza Marana è nata nella città dal respiro eterno, Roma, ha vissuto nell’eterogeneità e nella contraddizione che la accompagnano. Seconda patria, Firenze, dove l’armonia primigenia e composta conserva l’animula, vagula, blandula di sua nonna.

Ha conseguito dapprima una laurea  in scienze politiche con indirizzo storico, concludendo con una tesi concernente la tematica delle aspettative di ruolo. L’attesa e la coscienza di formare un’identità e un’individualità hanno orientato i suoi interessi verso una laurea magistrale in storia medievale e moderna.

La sensazione di sentirsi inserita in un continuum con la memoria e in continua dialettica con il passato l’ha portata ad eseguire un lavoro storiografico su alcuni carteggi di metà del seicento, ricostruendo la vita della duchessa Giovanna della Tolfa Frangipane Orsini attraverso il suo stilema, il suo respiro tra una parola e l’altra, la sua punteggiatura emotiva.

In seguito alla pubblicazione di questa ricerca in una miscellanea (“Papa Benedetto XIII Orsini. Studi e testi.”, Adda editore, 2017) avente ad oggetto il personaggio di papa Benedetto XIII Orsini, ha collaborato con alcune riviste di settore storico-artistico.

La storia e la letteratura si compenetrano e ogni storico ha un suo impianto immaginifico. La tensione costante che anima la scrittrice, l’ha portata a scrivere un manoscritto di narrativa, intitolato “Rêverie di una vita in terza persona”, pubblicato dall’Erudita Editore (2020).

Un testo in cui la protagonista, abbandonandosi allo stato precosciente della Rêverie, si affranca dall’ordine del tempo e ritrova la sua tonalità primaria costruendo un sistema di pensiero ideale. Il romanzo “Il crepuscolo del sogno” è animato dalla stessa tensione, costante e vitale che cerca di contrastare i compromessi della contingenza dell’esistenza, seppur, in questa seconda opera, il legame con il reale è molto più sentito, stimato e assecondato.

Dopo il primo libro Rêverie di una vita in terza persona uscito lo scorso anno, sempre per Erudita Editore.  Costanza Marana torna sul panorama editoriale con Il crepuscolo del sogno

Il crepuscolo del sogno: Sinossi

Il crepuscolo del sogno- Copertina

Era una di quelle giornate in cui il sole appariva severo, senza amore. Si mostrava in cielo, offuscato da una piccola coltre, che ne spegneva l’ardore. Si poteva scorgere l’ombra di Fetonte, impossessatosi del carro di Apollo, che, accecato dalla vanagloria, cadeva e giaceva al suolo, senza il perdono della luce. Aurelian guardava dalla sua finestra. Lo faceva ogni mattina, alla stessa ora, come fosse la prima volta. Un rituale ossessivo in cui egli si consacrava terreno, terrestre.
Compulsivamente, dava uno sguardo al palazzo di fronte e, tra i lembi di tende, rubava gli inizi e i risvegli delle persone. Come il vecchio maresciallo vedovo che non conosceva il risveglio poiché non conosceva l’abbandono. Viveva in uno stato di veglia costante, in cui la notte e il giorno erano privi d’identità. Oppure la sposa fanciulla che mai girava il capo, senza volto, senza espressione, della quale solo la nuca poteva scorgersi, con una lunga treccia composta, rigida, immobile

 

Il crepuscolo del sogno descrive l’orma di una vita, contemplata nelle sue suggestioni, nei suoi meccanismi inconsci e automatismi, profusi nel contesto reale.

Ad Arles, “ove Rodano stagna”, cellula, esistente e allo stesso tempo immaginaria, dell’iter narrativo, si compone il selciato percorso da Aurelian. Nella rappresentazione simbolica del testo il vero protagonista rimane il manto argenteo del Rodano. Dalla bocca alle sue foci, esso costituisce rifugio e antro di un altro universo parallelo, dove vige la legge del mondo delle acque, ingannevoli, senza memoria e senza tempo.

L’esistenza di Aurelian si rivela nel contesto familiare, in quello sentimentale e nei rapporti d’amicizia; nel perdersi nel Creato, militando nell’imbrunire, perseguendo, affiancandola alla realtà, una causa immaginaria. Al medesimo tempo si sovrappone la realtà della tenerezza e del grottesco dei sentimenti vissuti negli aspetti più concreti, in cui all’affetto per l’estrema delicatezza di una donna, Adele, corrisponde la volontà di autocondannarsi a “un sorriso di chi nasconde”, Ambre.

Aurelian filtra ogni aspetto della vita con l’intelletto. Egli prende consapevolezza del Bene e del Male attraverso l’arte, contemplando il giudizio universale della cattedrale di Saint Trophime, battezzato alla religione dell’infinito sul ponte di St. Bénézet. Egli stesso vuole far parte del giogo simbolico come nell’attimo in cui si ferma ad ascoltare il canto languido di Titone oppure si ammanta del giallo isterico della pittura di Van Gogh. Lo scenario è mobile: una piattaforma onirica; la Camargue immersa in una nuvola rosa di fenicotteri; una locanda-teatro in cui si rappresenta il paradosso della vita.

Ad Arles, “ove Rodano stagna”, cellula, esistente e allo stesso tempo immaginaria, dell’iter narrativo, si compone il selciato percorso da Aurelian. La sua esistenza si rivela nel contesto familiare, in quello sentimentale e nei rapporti d’amicizia. Lo scenario è mobile: una piattaforma onirica; la Camargue immersa in una nuvola rosa di fenicotteri; una locanda-teatro in cui si rappresenta il paradosso della vita.

Nel contesto narrativo organico, reale e immaginario si compenetrano in uno stilema quotidiano che associa e rimanda a riferimenti culturali, letterari e artistici, immergendo i vari personaggi nell’eterogeneità delle vicissitudini.

“Ho scritto Il crepuscolo del sogno perché credo nella continuità dell’idea di letteratura e scrittura che propongo fondata sulla ricerca della bellezza e della poesia nelle malie del quotidiano, edificata sul potenziale immaginario, non esclusivamente autoreferenziale, e che consideri la memoria e il passato poiché tutti noi siamo parte di un continuum – ha dichiarato l’autrice Costanza Marana.

Provengo da studi di storia medievale e moderna e da un’esperienza nell’ambito letterario-scientifico e credo profondamente nel connubio tra letteratura e storia poiché l’astrazione e l’immaginazione fanno parte del tessuto reale. Il libro è nato al crepuscolo. In quel momento che succede al tramonto in cui la luce è incerta che io amo chiamare insulare poiché si può percepire vivo il contatto con la parte più intima di noi stessi, il nostro inconscio, il nostro pensiero. Il significato del mio libro è racchiuso nella parola ‘tensione’. La tensione verso la propria tonalità primaria. Il rapporto tra la finitezza dell’uomo e il creato che lo circonda, il rapporto tra la contingenza e ciò che è eternabile”.

Da lettrice Costanza Marana ha sempre creduto nel potenziale visivo della lettura e lo si percepisce nitidamente anche quando indossa le vesti di scrittrice.

Leggere è entrare in un’atmosfera e nell’esperienza di autrice, attraverso lo scambio con i lettori, ha creato un circolo virtuoso, un gioco di rimandi, accedendo, insieme, a quel piccolo mondo antico che descrive la poetica del quotidiano.

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‘Io Voglio Vivere’ di Luciano Natali

Luca e Giovanna, protagonisti del romanzo di Luciano Natali, Io voglio vivere, sono una coppia molto affiatata e assodata: sono giovani e si amano da impazzire. Ma poi il loro legame, che pare inossidabile, subisce dei grandi scossoni, se non un vero e proprio terremoto, quando lui, in seguito a un’ assai inaspettata eredità, riceve in dono una casa sita a Dona, nel profondo Nord d’Italia, da parte del nonno paterno Luigi che ha visto soltanto una volta in vita sua, in occasione della morte della nonna che non aveva mai incontrato.

Allora era davvero molto piccolo ed era andato in loco in macchina, in compagnia dei suoi genitori, che poi non erano più andati sull’argomento, nemmeno quando era diventato grandicello. Ed anche quando decide di parlare loro di tale eredità, paiono piuttosto reticenti a “tirare in ballo” la questione.

Il padre poi sembra che non ne voglia proprio parlare. Che cosa sarà successo tra lui e il nonno di tanto doloroso e sconvolgente da farlo comportare in tale maniera? O semplicemente è solo una banale sensazione di Luca? Sta di fatto che ora è lui l’erede. E che la casa di Dona, costruita con le proprie mani da nonno Luigi, è di sua proprietà. Certo, potrebbe venderla e ricavarci tanti bei soldini, ma lui non ne vuole sapere perché sente che in qualche maniera quel paese fa parte di lui. Ed è questo il motivo scatenante del primo allontanamento con Giovanna che, con grande astuzia tipicamente femminile, cercherà, come si suol dire, di riportarlo all’ovile, e quando vedrà che lui, dopo essersi trasferito a Dona non ha alcuna intenzione di ritornare a Roma, tenterà, tramite una notte di passione, di farlo tornare sui suoi passi.

Ma ormai qualcosa tra di loro, nonostante l’attrazione che li lega sia ancora molto forte, si è rotto e non può più essere ricucito. Centrerà forse in tutto ciò anche la conoscenza della bella Maria, nipote di Alba e Michele, il fornaio del paese? Prova realmente qualcosa per lei che va ben al di là dell’amicizia o è solo un modo per dimenticare Giovanna? E soprattutto che cosa prova lei per lui?

Lo trova realmente attraente o lo vede come un semplice amico con il quale trascorrere del tempo, scherzare, e consumare delle gustose cenette e dei pranzi succulenti? Sta di fatto che ormai Dona, nonostante in un primo momento gli abitanti non ne volessero sapere di lui, gli è entrata sempre più nel cuore e che lui pertanto non la vuole più lasciare. Si anche molto affezionato agli anziani del paese e ha stretto nuove  e importanti amicizie. Sta diventando un giovane uomo sempre più appagato, con le idee ben chiare e con tanta voglia di fare e di essere felice.

Ci riuscirà?

 

Genere: Narrativa

Casa Editrice: Piattaforma StreetLit

Pagine: 150

Prezzo: 3, 99 (Ebook), 13, 99 (Cartaceo)

Codice ISBN: 9791220821513,  9791220821698

 

Contatti

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‘La saggezza del lupo’, la salvazione secondo Alessandro Venuto

Alessandro Venuto è nato nel 1983 a Chiavari (Genova) e vive a Milano dal 2011, nel quartiere Casoretto. Sposato con due figli, lavora come educatore in una comunità per la cura delle dipendenze e una per i minori. Si è occupato di meditazione in carcere; ha collaborato con Dario Fo ed autori Einaudi e Mondadori. Ha conseguito alcuni premi letterari ed ha ricevuto molti consensi critici. Ha poi esordito nel 2020 con il romanzo “In direzione opposta” (Edizioni Montag). Il suo nuovo libro, un romanzo di formazione, si intitola “La saggezza del lupo”, pubblicata sempre con le Edizioni Montag.

L’attività di Alessandro Venuto

Breve parentesi sull’attività lavorativa dello scrittore, il quale si occupa anche di tossicodipendenti, stigmatizzati ancora oggi e giudicati in modo particolarmente severo da certi moralisti. Poco importa sapere se la tossicodipendenza sia una fuga, la ricerca di un paradiso artificiale. Poco importa sapere se il tossicodipendente abbia iniziato per noia, senso di vuoto, trasgressione, automedicazione, autodistruzione, senso di impotenza, conformismo con il gruppo dei pari, culto dello sballo o per avere un momento di felicità.

Probabilmente esiste una concomitanza di fattori, ma non è questo che conta. Quel che conta è che oltre alle cure disintossicanti ci vuole la terapia della parola, la cura dell’animo. È questa la missione quotidiana dello scrittore ed è particolarmente meritevole aiutare ad uscire dal tunnel della droga. Un tempo veniva punito anche il semplice consumatore di droga.

Soltanto con il Testo Unico 309 del 1990 si legifera la non punibilità di chi detiene sostanze stupefacenti per uso personale, che viene solo segnalato dal Prefetto e riceve delle sanzioni amministrative. Un passo avanti nella legge. Ma prima di puntare l’indice su chi si droga bisogna ricordare che è solo il Ministero che stabilisce di volta in volta cosa considerare droga e cosa no.

Così come va ricordato che anche l’alcool è una sostanza psicotropa, nonostante la nostra cultura mediterranea lo tolleri e lo consideri un alimento quotidiano con cui pasteggiare. Queste sono tra le ragioni per cui leggere il primo romanzo “In direzione opposta”.

La saggezza del lupo: trama e contenuti

Invece ne “La saggezza del lupo” il protagonista è Luca Amato, cresciuto per strada e legato dalla adolescenza ad un gruppo criminale, con cui rompe dopo essersi messo con una prostituta cinese. La criminalità è una strettoia. È molto ridotto il margine di scelta. Eppure nonostante certi vincoli il libero arbitrio esiste sempre. È questo che vuole dirci Venuto, anche se come cantava De Gregori gli stessi malavitosi “sono giovani vite dentro una fornace”.

La criminalità minaccia, spara, uccide. Ha le sue regole, la sua logica spietata, non c’è mai niente di giusto. La criminalità potrebbe essere la chiave di volta per analizzare l’intera società di massa occidentale. Lo scrittore Paul Goodman paragonò la nostra società ad una stanza chiusa, dove i cittadini sono come dei topi che fanno una corsa, girando a vuoto. Per molti intellettuali non c’è via di uscita.

Eppure ognuno, anche i più disperati, hanno la possibilità di cercare un varco o quantomeno uno spiraglio, un ancora remota di salvezza: questo è il pensiero di Venuto. Successivamente infatti il protagonista finisce in carcere dove cambia completamente prospettiva delle cose e cerca appunto il riscatto: decide di smettere con la criminalità e vuole diventare scrittore, grazie all’aiuto di due formatori.

L’evoluzione umana nella letteratura

I riferimenti letterari di Venuto, nonché i suoi maestri di vita, diventano Jack London, Dostoevskij, Tolstoj, Knausgard. Lo scrittore ci dice che si può cambiare. Chiunque può cambiare, nonostante mille difficoltà e le più grandi resistenze al cambiamento. Cambiare significa affrontare l’ignoto con i rischi che comporta, ma può significare anche evolvere, come avviene ne La saggezza del lupo.

Con entrambi i romanzi, l’autore genovese vuole comunicarci che per uscire da qualsiasi tunnel di questa vita bisogna riconoscere la propria irripetibilità ed unicità; così come è di particolare aiuto, una sorta di agente catalizzatore, la liberazione dei propri impulsi creativi.

La saggezza del lupo è un romanzo è ben scritto, lo stile è fluido e scorrevole, privo di segni criptici; una prosa cristallina e diretta, orchestrata da talento e perizia,  allo stesso tempo contrassegnata da una autentica intellettualità e da un retroterra culturale solido, che spesso indaga su uno dei più grandi misteri umani, ovvero la creatività artistica

Tra letteratura e sociologia

Pensando ad entrambi i romanzi viene in mente la frase di un manuale di sociologia di Ferrarotti: “Non si dà l’individuo senza società, né c’è società senza individuo”. Una certa fiction o certi noir ci presentano la devianza brutale e crudele, prevalentemente con il segno meno.

Allo stesso tempo altra narrativa oltre alla Saggezza del lupo, affronta questi temi civili con retorica e sentimentalismo, sfruttando la fisiologia delle lacrime. Invece Venuto  ci vuole dire che anche in questa realtà sotterranea esiste il lato umano ed il riscatto, senza mai essere strappalacrime e senza addossare la colpa quando al sistema o quando all’individuo, come fanno i pressapochisti.

Ogni uomo può indagare se stesso, riflettere su stesso e salvarsi. Non importa che la redenzione sia etica, filosofica o religiosa. L’essenziale è che avvenga, indipendentemente dalla forma e dalla modalità.

Venuto con la sua opera ci lascia una testimonianza di vita ed al contempo smuove la coscienza del lettore con la sua denuncia sociale. Infine ogni incontro può aiutarci in questo nostro cammino, può facilitarci. In ogni incontro esiste “un filo conduttore” come scriveva Paulo Coelho ed è per i suddetti motivi che ne consiglio caldamente la lettura.

 

Di Davide Morelli

 

‘Direzione la vita’, il primo capitolo della saga di L. L. Words

Direzione la vita è un romanzo dai risvolti introspettivi di L.L. Words, autopubblicato nel 2020 (YouCanPrint) e curato dalla sceneggiatrice televisiva Claudia Bellana.
Questa la sinossi del romanzo. Può nascere l’amore da una tragedia?
Alexander C. King è reduce da un brutto incidente d’auto che lo ha costretto sulla sedia a rotelle; oltre all’uso delle gambe, sembra aver perso anche la voglia di vivere.
I migliori medici di New York hanno provato l’impossibile con lui, senza purtroppo ottenere alcun miglioramento: le ferite più gravi, infatti, A.C. le ha nell’anima. Per non parlare del senso di colpa che lo tormenta e tiene sveglio ogni notte, rendendo ancora più difficile il suo recupero. Solo l’infermiere Robert Johnston e il Primario del “Green”, Daniel Zayn, credono che lui possa ancora farcela.
Attraverso improbabili letture ad alta voce, scontri più o meno accesi e attacchi alle difese che A.C. ha eretto, riusciranno a tenere a galla il giovane, almeno fino all’arrivo di Ty. Il dottor Tyler Jones che per A.C. è l’ultima spiaggia.
Con un dono che per lui è una maledizione, Ty è un fisioterapista diverso dagli altri, anticonformista ed imprevedibile: il migliore nel suo campo.

Ma basteranno la passione per il suo lavoro, l’amore per la musica anni ’80 e la costante presenza di Stone, il bastardino che ha adottato, per strappare A.C. dall’inferno in cui è precipitato?

Ma soprattutto… A.C. si farà aiutare?

Direzione la vita è il primo capitolo di un saga che promette bene, in virtù della costruzione e caratterizzazione dei personaggi, le cui sofferenze non possono lasciare indifferente il lettore e che fungono da viatico per la vita, appunto. Una vicenda dal retrogusto amaro che non risparmia momenti ostici nella lettura e qualche perplessità riguardante la trama, rischiando di scivolare nella retorica.

L’immagine scelta per la copertina ritrae New York, dove è ambientata la storia, durante una notte tempestosa che richiama esattamente le dinamiche l’incidente che vedrà coinvolto A.C. King, il protagonista principale.

La scrittura è sempre stata il punto di partenza dell’autrice, la quale per molti anni è stata una lettrice compulsiva del genere romance-dark-fantasy, infatti i suoi scrittori preferiti sono Charlie Cochet e T.J. Klune.

Per il personaggio di Alexander, L.L. Words ha letto testi medici e intervistato fisioterapisti che l’hanno aiutata della descrizione della riabilitazione di A.C.

 

Direzione la vita: un estratto

 

Prima che potessi aprire bocca di nuovo, mi voltò le spalle: «Spero ti piaccia…» disse, facendomi corrugare la fronte… Di che diavolo stava parlando? Ma la voce potente di Tina Turner con “The Best” arrivò alle mie orecchie; chiusi gli occhi e mi passai le mani sulla faccia: ancora la sua dannata musica anni ‘80!

«Avevamo fatto un patto…»

«… Che tu hai frantumato contro il muro…» sottolineò, riferendosi al mio Apple ridotto in mille pezzi. «E dalla mia playlist non uscirà mai nulla di quella robaccia che ascolti…» Rise, incrociando il mio sguardo arrabbiato. «Comunque, se può consolarti, penso che la musica sia fondamentale per motivare il paziente…»

«Oltre che una spina nel fianco, adesso sei anche filosofo?!» Con una piccola alzata di spalle, si era limitato a guardarmi in silenzio, come se riflettesse sulle mie parole. «Beh?»

«Sai che la musicoterapia può aiutare persone che soffrono di depressione? In un recente studio, condotto su trenta persone anziane, è emerso che…»

‘L’anatomia della sirena’, il romanzo sentimentale dal sapore mitologico di Simone Delos

“L’anatomia della sirena”  (Bertoni Editore), di Simone Delos è un romanzo del genere mainstream/ introspettivo/ sentimentale scritto senza filtri e con abilità poetica. La trama non è mai scontata e i personaggi sono ben caratterizzati oltre al fatto che l’autore ne fa di ognuno di loro un quadro introspettivo eccellente. “Le sirene esistono.”  

Si chiude proprio così il romanzo di Simone Delos, dove l’inganno arriva proprio dal protagonista della storia il pittore maledetto Kostantinos. È una creatura orribile, infatti raffigura il Crono della mitologia, ed è nato proprio da una leggenda che narra di una sirena che si nascondeva su un lontano scoglio nell’Isola greca di Praxos, Tutti i principali personaggi del romanzo sono raccontati e descritti per metà tra uomo e animale, come: Febo che rappresenta Apollo e Diana che raffigura Artemis, non sono altro che i figli di Kostantinos.

I figli del pittore hanno avuto un destino crudele sin dai primi anni di vita, infatti per un subdolo gioco di potere, non hanno avuto un’infanzia felice e sono così diventati difettosi. Nonostante gemelli, si sono ritrovati divisi. Biancalana è troppo grande ed è anche un professore omossessuale e nonostante la sua brillante intelligenza non è considerato completamente un uomo. L’autore analizza e parla molto in questo romanzo dell’incompletezza dei corpi. In sottofondo c’è un ipotesto classicheggiante che racconta episodi mitologici come fossero metafora e guida dei personaggi. Elemento di assoluta originalità e che permea l’intero romanzo di atmosfere epiche.

Il vero motore che alimenta tutta la storia di questo romanzo è l’odio che i due gemelli hanno per il padre, quest’ultimo a sua volta odia i figli per via della morte della compagna. Nel libro metaforicamente i personaggi rappresentano tutti delle sirene e sono metà umani e metà animali, sono come il sole e la luna, sono esseri umani e mostri, pieni di luce e ombre. Kostantinos era emigrato in Italia per amore, ma la sua vita viene trasformata e contornata da odio, menzogne e tradimenti. L’orrore più grande arriva proprio da figli che gli presentano il conto più salato. Chissà se il protagonista riuscirà a redimersi e a trovare un briciolo di felicità, mentre oramai il ricordo della sua Grecia svanisce dalla sa mente e le immagini si fanno sempre più cupe ai suoi occhi.

Il mito, dunque sembra tornare di moda, fortunatamente. Il romanzo si presta ad una versione cinematografica sulla scia del successo della fiction RAI  “Sirene”.

 

Che, vuoi per le medicine, vuoi perché forse un uomo

ha un limite, che per quanto avesse ormai l’orgoglio

disintegrato, un piccolo pezzo di coscienza può ancora

sanguinare, e si mette a sanguinare all’improvviso

macchiando di sangue tutto, anche gli occhi.

Successe una volta che il ragazzo greco mise la mano

sulla maniglia della porta con l’intenzione di uscire e fare a

pezzi cose e persone, pur sapendo che non sarebbe stato

sufficiente a ripagare le ingiustizie, i soprusi subiti.

 

SINOSSI DELL’OPERA. Kostantinos è un pittore. Una ricca famiglia di produttori di olio, una Grecia che nei primi anni Sessanta è ancora integra. Emigra in Italia per amore e lì trova la sua fortuna. Compromessi, menzogne, orrori. Rinnegherà la sua terra e venderà al demonio la vita dei suoi figli, che crescono separati e sempre a un passo dalla follia. Saranno proprio loro, i due gemelli, a presentargli il conto del destino. Mentre la Grecia si disintegra, scopriranno che un tentativo di felicità è possibile, e passa dal perdono alla presa di coscienza che insieme sono più forti anche delle ferite che non si rimarginano.

 

BIOGRAFIA DELL’AUTORE. Simone Pera, in arte Simone Delos è nato a Roma il 26 Marzo 1979. Non è indulgente con se stesso. È una persona per la quale, la vita, spesso è succo di limone spremuto su una ferita aperta. Si perde, spesso, a osservare cose. Oggetti, strade, nuvole. Ha la netta sensazione di non stare al passo del tempo che scorre. Semplicemente non lo gestisce. Si entusiasma per cose futili, e resta a volte indifferente per quelle comunemente considerate importanti. È volubile, umorale e non sempre di buona compagnia. Ha compreso valori che non rispetta. Ascoltato insegnamenti che non mette in pratica. Gli piace il suono di certe parole, ama gli animali. Gli piace la sera quando arriva, il silenzio e l’odore della carta stampata. Troppe cose, ancora, lo destabilizzano. L’unica cosa che lo spinge all’apice lo spaventa. Scrive poco rispetto a quanto vorrebbe. Lo fa stare bene poggiare la testa accanto a quella del suo cane. Seguirne il respiro. Preferisce i finali agli inizi. Il resto sta tutto in quelle poche righe che strappa alle sue mani. È impiegato presso Tim.

‘Bella da spaccare il mondo’, un romanzo di formazione ambientato negli anni ’80: buona la prima per Fabiola Perrotta

Uscito in libreria a novembre 2020, Bella da spaccare il mondo è il libro d’esordio, edito da Kimerik , di Fabiola Perrotta. L’autrice, nata a Succivo l’8 luglio del 1964, si dice soddisfatta del buon lavoro prodotto: “Ho scritto di getto le pagine e le ho date da leggere ad un mio vecchio amico, Antonio Tanzillo, autore della prefazione, il quale mi ha introdotto alla casa editrice siciliana. Sono stata ben lieta di lavorare con loro in quanto ho avuto la necessaria libertà di perseguire ciò che avevo iniziato senza particolari intromissioni”. Il libro Bella da spaccare il Mondo si propone come romanzo di formazione e racconta i ricordi adolescenziali di Guadalupe, giovane degli anni ottanta, cresciuta in provincia , attratta da un mondo cosmopolita. La realtà dei sogni si infrange in tenera età, dopo il lutto improvviso del padre. La solitudine e le avversità del destino si riveleranno fondamentali per la crescita della protagonista, che, come una fenice, supererà i dolori con la forza dell’amore, diventando in fine una donna tanto forte da “spaccare il mondo”.

Il romanzo, pur essendo la prima esperienza editoriale della scrittrice, si presenta subito con un linguaggio maturo, accattivante, ricco di particolari e con una trama scorrevole capace di attirare ogni tipologia e fascia di pubblico. Gli avvenimenti importanti, iniziati nell’estate del ’79, sono narrati con grande enfasi.

I fatti principali hanno caratterizzato realmente l’esperienza e la vita stessa dell’autrice, altri, invece, sono frutto della grande sua capacità immaginativa che indirizza dunque il suo lavoro non ad semplice scritto autobiografico. La creazione di un confine labile ma incomprensibile tra realtà e finzione, è un espediente ben riuscito.

Fabiola Perrotta precisa “Non avevo intenzione di raccontare troppo della mia vita: volevo attingere il giusto. Ho cercato di far rivivere soprattutto momenti e esperienze comuni nel quale il lettore potesse rispecchiarsi. Le mie vicende personali, in primis la morte di mio padre, sono state utilizzate per poter inviare un messaggio di speranza a chi legge. Nonostante tutto il dolore, la forza dell’amore, nella vita di Guadalupe, ha prevalso sempre”.

L’autrice poi  spiega “Dopo un rinnovato lutto per la perdita di un amico, ho riscoperto l’amicizia con la sua vedova. Ho deciso di scrivere di come ancora una volta l’amore sia rinato proprio dal dolore.”

La crescita finale di Guadalupe è dunque caratterizzata dalla forza che riesce a trarre da eventi nefasti. Le fasi lunari ne sintetizzano la gradualità. Particolarmente suggestivo sono le descrizioni scientifiche oppure riferimenti mitologici, storici o musicali che l’autrice ha aggiunto a conclusione di ogni capitolo.

F. Perrotta dichiara ancora: “La Luna rappresenta per me un elemento romantico e contemporaneamente femminile. Ho iniziato a scrivere al chiaro di Luna raccontando di una donna, Guadalupe, e delle tante figure femminili che hanno popolato la sua vita. Più scrivevo più mi accorgevo che c’era un legame. La sua capacità di rinascere è proprio ciò che la accomunava alla storia della protagonista.”

Partendo dalla Luna, le figure femminili sono pilastro portante nel racconto e si ripresentano in modo costante durante tutto il ciclo di narrazione. Le figure di maggior rilievo e più controversie sono la madre descritta come distaccata dai figli, proiettata verso la cura del marito e non abbastanza forte da diventare punto di riferimento per la protagonista, dopo la morte del padre. Le sorella maggiore Luise presentata come fredda, schiva, distante, simile alla madre.

A differenza di Guadalupe, la sorella minore Gemma è invece dipinta come debole caratterialmente, se pur di buon cuore, sarà legata alla protagonista ma parranno non capirsi mai fino in fondo. Le amiche di infanzia, di scuola sono presentate come figure principalmente positive e descritte come unici legami forti, prediletti da Guadalupe.

Fondamentale è l’attenzione che la Perrotta dedica alla  figura  della nonna paterna. Descritta come una donna con la sindrome di Penelope, a lei l’autrice dedica un intero capitolo: “E’ il capitolo alla quale sono più affezionata. Descrivere mia nonna mi ha dato tanto conforto. Il suo ricordo mi fa capire quanto lei sia stata importante per me e per il mio percorso. Come figura positiva per la mia crescita personale era doveroso dedicarle un’ intera parte. Il libro invece l’ho dedicato a mia madre, decisamente simile alla madre della protagonista, che pur essendo una figura non del tutto positiva , è stata egualmente importante perché, come dice la dedica, ci ha comunque amato”.

Il ricordo della nonna porta con se altrettanti episodi ricchi di vividi particolari che ricreano quei sapori , quegli odori e quei momenti di un tempo lontano dalla quale traspare tutta la nostalgia che l’autrice prova nel descriverli. Altra nota da sottolineare è la particolare attenzione data al nome della protagonista: Guadalupe è legato ad un aneddoto significativo della vita dell’autrice. Come lei stessa racconta: “Quando nacqui, mio padre voleva chiamarmi così ma ai tempi non sembrava neanche un nome .Si optò per Fabiola. Mi sembrava giusto utilizzarlo almeno per la protagonista del mio romanzo. La mia scelta è stata dettata, quindi, puramente affettiva. Ho scoperto cosa significasse solo in seguito.”

L’appunto che si potrebbe fare al romanzo riguarda la sua conclusione: la transizione della protagonista all’età adulta senza però far trasparire null’altro del suo vissuto più maturo. F. Perrotta non esclude un seguito anche se avverte: “La conclusione è riferita alla fine di un periodo ben preciso della vita. Ho intenzione di raccontare di una protagonista o un protagonista più maturo ma non so se riprenderò la figura di Guadalupe. Attualmente lavoro ad un altro progetto che riguarda la raccolta di aforismi e pensieri per l’anima. Ho aperto per questo un canale Youtube con l’intento di diffonderli ad un maggior numero di persone. E’ un impegno che mi rilassa e mi dà gioia”.

Veronica Tomassini, autrice di ‘Vodka Siberiana’: un osceno viaggio metafisico ai confini dell’amore

Amare ci rende divini, sembra essere questo uno degli adagio che attraversano le pagine del mordente e schiettissimo romanzo epistolare Vodka siberiana, autopubblicato dalla scrittrice stessa, Veronica Tomassini, collaboratrice presso il Fatto Quotidiano, e autrice di opere pregevoli come Sangue di cane, Laurana 2010; Il polacco Maciej, Feltrinelli 2012; L’altro addio, Marsilio 2017; Mazzarrona, Miraggi 2019, candidato al Premio Strega), perché le case editrici nostrane sono troppo impegnate a pubblicare autori scialbi, standardizzati, politicamente corretti, e banali.

Vodka Siberiana è un viaggio metafisico nel male da cui scaturiscono l’amore e la compassione; un libro quasi insaziabile che abbraccia il trascendente, lo interroga, dove i personaggi naufragano per poi cogliere brandelli di infinito, alla maniera di Dostoevskij, non a caso tra gli scrittori che hanno maggiormente influenzato Veronica Tomassini. I personaggi di Vodka siberiana, sono attratti e al contempo respingono qualcosa che li chiama, incarnando ossessioni, vizi, debolezze, mostruosità che travolgono il lettore più esigente e sensibile, meno gli editori markettari.

Le lettere raccolte dalla Tomassini diventano un romanzo e raccontano la solitudine storica di un tempo, metà anni ’90, dopo la caduta del muro, il tempo finito nella Storia dei paesi dell’ex cortina. Dal disordine – ovvero l’avventata democrazia che piomba simile a un vento disturbante sopra l’elegia comunista oramai esangue, inchiodata finalmente al vero crimine – a quel caos la cui tragicità ha i contorni di una profezia biblica, nutrono generazioni di spostati, la cosiddetta torma di uomini ics. Vagabondi, travasati nel pingue e distratto Occidente, bevitori, portatori di lutti perenni. Oscenità da estinguere in un parco di una metropoli o di una modesta città di provincia, europea, italiana. Nello specifico, ovvero, nel mio romanzo, una città di provincia siciliana. Questa l’originale sinossi del romanzo della scrittrice siracusana.

Veronica Tomassini ci parla di amore, vero, ma di un amore che morte, tradisce, fa male. Di un amore immortale, che è divino, che ama l’altro prima ancora di conoscerlo e che deve passare prima tra i meandri dell’animo tenebroso per poi giungere alla constatazione che ciò che è davvero reale è l’invisibile e l’inverosimile. Bisogna vivere come se si abitasse un altro mondo, sembra suggerirci Veronica Tomassini, abbandonandosi al mistero, compreso quello dell’amore. Amare dunque è normale oppure no? Tutti parlano d’amore, confondendolo con la passione, con un sentimento che gratifica, smuove, fa sentire vivo. Ma l’amore, come dice l’autrice non è nemmeno un sentimento. Mentre si attende l’amore o lo si vive con fatica, bisogna accettare quello che ci sottrae la vita, incastonare la propria solitudine tra le gocce della pioggia che ci bagnano, traendo bagliori di luce e di speranza dal buio, come le grande mistiche.

In tal senso Veronica Tomassini è una mistica della scrittura, una testimone di fatti unici, oltre ad essere una scrittrice che ha un approccio cristiano alla vita e alla Storia: la sua penna è una spada con la quale affonda nella sofferenza umana per tentare di afferrare il mistero della vita che non sembra essere nefasto, nemmeno per i bevitori dei suoi romanzi immersi in un intreccio rovesciato, e in uno stile minimale, annebbiato, ma fulminante e lucido; si tratta di un realismo accompagnato da un piglio volutamente traballante e da atmosfere ed echi sacri quello della Tomassini, atto a raccontare gli emarginati dell’est che vagano verso il nulla. Figure di spicco sono un professore schizofrenico e una donna, voce narrante e alter ego della scrittrice, che narra dei miserabili slavi in un degrado senza tempo, perché sono le passioni e i desideri umani che hanno animato e animano la Storia non tanto la ragione che pure genera mostri e miseria prima di tutto ideologica ed intellettuale.

Tuttavia l’autrice conferisce dignità ai suoi slavi ubriachi, depositari del male che si riscattano infilzando metaforicamente la borghesia occidentale, le sue regole, la sua ipocrisia, i suoi interessi, il suo “buon” pensiero, le sue narrazioni epiche.

Risulta utile e calzante fare un riferimento alle parole di Dostoevskij nella lettera alla Fonvizina: «la verità si rende chiara nella disgrazia», la verità cioè si chiarisce nelle prove della vita. Veronica Tomassini sembra suggerire anche questo: scegliere Cristo e non una verità dimostrata, significa scegliere un incontro personale su questa via e non una dimostrazione logica, per quanto convincente. La verità non viene negata, ma ricollocata in modo diverso. È la persona che ci attira, non un argomento. D’altronde il Venerdì Santo, Gesù non saliva al cielo, ma scendeva agli inferi…

Non è un caso che, non considerata come giustamente dovrebbe, il romanzo d’esordio della Tomassini, Sangue di cane, è stato oggetto di studio, di un saggio (Righteous Anger in Contemporary Italian Literary and Cinematic, edito dalla Press University di Toronto, a cura di Stefania Lucamante), di corsi  e convegni, in diverse università americane.

 

La perfezione del dolore si sarebbe manifestata alla fine del tempo fissato per te e gli abitanti della casa costruita sulle maree. Una ciurma di sbandati con una sola aspirazione: disaffezionarsi alla vita. La vita, qualsiasi cosa volesse significare. Allora ti sembrava che fosse soltanto una questione di sottrazione, che la vita avanzava, togliendo. Nella forma più nobile, la vita sottrae. Il gesto divelto della prova. Riconsegna talvolta, anzi lo fa senz’altro, non quel che credevi, forse, o speravi. Ma è meglio, è peggio?

Veronica Tomasini

1 Quando ha capito che avrebbe voluto scrivere nella vita?

Non ricordo, a essere sincera. O meglio ricordo un tema in quinta elementare, sul tempo che passa, non che fossi una cima. Riuscì bene. Non so, tirai fuori frasi strane per una bambina, un colpo di fortuna. Poi penso ai diari che mi regalavano ai compleanni, diari inutili e con il lucchetto. Regali deludenti, pensavo con stizza. Cominciai a scrivere così, roba infantile, niente di che. Però quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande – ecco questo lo ricordo, ma non so spiegare la ragione – rispondevo: la giornalista o la scrittrice. Non la ballerina, chessò, la cantante. La congiunzione mi fa specie oggi, cioè è quel che ho fatto veramente nella vita. Ma lo dicevo senza convinzione. E la congiunzione era una disgiuntiva, bizzarro. Comunque leggevo molto, mi raccontavano molte storie, il nonno e lo zio umbri. Quanto mi piaceva. A cinque anni sapevo leggere, anche se non avevo ancora iniziato la scuola, conoscevo l’inglese, le canzoni di Franco Califano e di Fabrizio De André. A otto anni ho letto il diario di Christiane Felscherinow, “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”. Lì è stata la deflagrazione, qualcosa di irreversibile. Oggi quel libro non supererebbe la decima pagina, un libro in qualche modo maledetto. Lo prestai a una compagna di liceo, non tornò più indietro. Scoprii il viso di Christiane molti anni dopo. A Christiane ho scritto una lettera. Da adulta. Mi ha letta. La compagna di liceo è morta in un incidente stradale. Mi sembrò un presagio. E pensai a quel libro.

2 Chi sono gli scrittori che hanno influenzato la sua scrittura e il suo pensiero?

I russi. Dostoevskij su tutti; Tolstoj, Gorki, Gogol, Cechov, ma anche Isaak Babel, Saul Bellow. Ai russi dobbiamo tutto, il pensiero russo. La grande letteratura è russa. Sì certo poi ho amato i naturalisti francesi, il neorealismo. Ho amato Pavese, Levi, Buzzati, Bonura, Pratolini. La letteratura americana del primo Novecento.

3 Cosa pensi dell’editoria italiana, come è stata la tua esperienza sotto questo punto di vista?

Difficile rispondere. Ho esordito ufficialmente nel 2010 con “Sangue di cane”, Laurana editore. Avevo però già pubblicato le cosiddette opere minori. L’esordio con “Sangue di cane” fu un caso letterario. Non so dire molto, sono povera in canna, malgrado l’exploit. Non so cosa dire dell’editoria italiana. Non è il mercato francese, ecco, se vogliamo buttarla lì. Il mercato francese che ancora tiene a distinguere l’aristocraticità della parola dal resto.

4 Cosa manca agli scrittori nostrani che però sembrano avere molto successo in termini di vendita? Come spiega certi fenomeni editoriali?

Non li spiego. L’imbonimento massificato, una specie di massive attack alla specificità elettiva di ognuno; il disorientamento indotto sottilmente, in gironi di fallibilità paurosi e che noi non vediamo, un’orchestra monotono che vuole confondere gli specchi, il bello con il brutto, la democratizzazione che diventa mediocrità, ma sempre dentro un’azione consapevole e utile a qualcos’altro, a un imbonimento appunto in pendant con buonismi vari. Siamo dentro la grande bruttezza. Siamo dentro un rincoglionimento collettivo utile ad atro, si forgiano non pensatori. Una “mariadefilippizzazione” estesa come unico manifesto su cui conformarsi. Questo è il meglio che abbiamo stasera? (cit.).

5 Veniamo al suo ultimo libro, Vodka Siberiana, come nasce questo titolo?

È un omaggio al bevitore, alla solitudine del bevitore. Il tributo all’empietà che diventa il fiore della compassione altrui e contiene salvezze recondite. Diceva Marek Hlasko che esiste una felicità grande e dolorosa; credo che si riferisse alla felicità del bevitore, nell’istante prima di crollare sotto lo sguardo sdegnato degli astanti, di solito di gran lunga migliori. “Vodka Siberiana” è la storia di una solitudine antica, ci riguarda tutti; ma io racconto i bevitori dell’est; vagabondi; malati di nostalgia.

6 Quali ritiene essere gli aspetti più attuali e quali invece quelli più classici del suo romanzo?

La solitudine dell’uomo. Il cardine attorno cui uno scrittore lavora, io penso.

7 Come si fa, quando si tocca il fondo, a risalire, a trovare parole adatte per chiamare le cose?

Si è sopravvissuti. Esserlo basta a tutto. Il dolore si trasforma, trasforma anche quel che guardi. Il dolore contiene la spiegazione segreta; piccoli brani da fissare; tenerli stretti al petto. La lucidità del dolore spalanca universi inauditi, apre gli oceani come il costato di una fiera.

8 È più abissale il dolore o la solitudine?

La solitudine. La solitudine senza Dio. La solitudine e basta. Ma senza Dio come si fa?

9 Nel suo libro racconta di un’umanità derelitta e disperata dove c’è spazio anche per la pietà. Bisogna vivere nonostante tutto, andare avanti come diceva Camus?

Andare avanti. Nonostante tutto. Nonostante tutto potrebbe diventare l’esortazione evangelica e cristica del non temere. Allora acquista un senso, il dolore lo è, alla fine e all’origine. Tutto inizia e finisce con il dolore se vogliamo: la nostra nascita, la nostra morte. E invece è solo un preludio: al risveglio, la Resurrezione. Malgrado ciò, non so davvero come “l’umanità derelitta e disperata” trovi umane forze per arrivare anche solo alla fine del giorno. Non so davvero. Tuttavia soltanto nei giorni in cui ho incontrato quel meraviglioso cesto di fiori che erano loro – i poveri, gli abietti, i disperati – ho imparato la felicità. Non ho mai vissuto di più. E non saprò mai tradurre quei giorni, solo il pensiero mi commuove. Ancora adesso mi chiedo: ma è esistito sul serio, tutto quel che hai visto, loro, quei giorni, quegli anni?

10 La razionalità può andare d’accordo con la poesia o quest’ultima reputa che sia troppo anarchica?

No, la razionalità è un deterrente.

11 Che visione ha della Storia?

La Storia è il segno di Dio sul destino di ognuno. Altrimenti è il caos di eventi che soffiano ferocemente sull’uomo senza annunciare. In definitiva si annuncia la stessa bella notizia, Il Figlio dell’Uomo. Anche alla fine di terrori, lustri di dittature e abomini.

12 Lei sonda il sottosuolo, ritiene come dice Rousseau nelle sue Confessioni che la malattia è inscritta fin dall’origine, ma che tale ferita, come sostiene Starobinski nel Rimedio nel male, mobiliti tutte le forze riparatrici? In questo processo secondo Lei conta di più la coscienza o il nostro livelli di civilizzazione?

Domanda complicata. Non so perché il mio sguardo finisca dove gli altri lo tolgono; dove per gli altri comincia il buio, per me inizia la luce. Non so spiegare la curiosità, la contingenza, il fatto che ci sia finita dentro. Sono solo una testimone.

13 Prossimi progetti?

Scrivere.

Diego Galdino, autore di ‘Una storia straordinaria’: Sono gli innamorati a rendere straordinaria anche l’abitudine

Lo scrittore romano Diego Galdino ama dare ai lettori cose belle, storie che fanno sognare, emozionare; storie che probabilmente molti di noi desiderano, compresi i critici che storcono il naso davanti ai suoi fortunati libri ( l’autore è infatti ai primi posti nelle classifiche
della Germania, Spagna, Serbia, Polonia e Bulgaria). Schietto, umile e romantico, Diego Galdino ha esordito nel 2014 con il best seller Il primo caffè del mattino, edito da Sperling & Kupfer e gestisce un bar nel centro di Roma, sua amata città che fa da sfondo anche al suo ultimo romanzo, Una Storia straordinaria, Leggereeditore 2020. Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, ritmato, sensoriale, consigliato a chi fantastica di vivere una storia appassionata e piena di devozione e a chi pensa, come l’autore, che tutti nel mondo, ogni tanto, hanno bisogno di leggere delle favole.

La sinossi del romanzo: Luca e Silvia sono due ragazzi come tanti che vivono vite normali, apparentemente distanti. Eppure ogni giorno si sfiorano, si ascoltano, si vedono. I sensi percepiscono la presenza dell’altro senza riconoscersi. Fino a quando qualcosa interrompe il flusso costante della vita: Luca perde la vista e Silvia viene aggredita in un parcheggio. La loro vita, sconvolta, li porta a chiudersi in un’altra realtà e il destino sembra dimenticarsi di loro. Eppure, due anni dopo la loro grande passione, il cinema, li fa conoscere per la prima volta e Luca e Silvia finiscono seduti uno accanto all’altra alla prima di un film d’amore. I due protagonisti, feriti dalle vicissitudini degli eventi passati, si ritrovano, così, loro malgrado, a vivere una storia fuori dall’ordinario. Ma l’amore può essere tanto potente da superare i confini dei nostri limiti e delle nostre paure? E il destino, quando trova due anime gemelle, riesce a farci rialzare e camminare insieme?

 

1) Come si è avvicinato alla scrittura?

Ho iniziato a scrivere molto tardi, ma poi non ho più smesso. Per me la prima storia che ho scritto resta indimenticabile perché è nata in un modo particolare e per merito di una ragazza a cui sono stato molto legato.Un bel giorno mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa di Rosamunde Pilcher, e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene e poi non ho più smesso fino ad arrivare a Il primo caffè del mattino. 

2) Pensa di esprimere in gran parte se stesso quando scrive o cerca di compiacere i suoi lettori affezionati?

Per me la scrittura è da sempre un modo per evadere dal mio contesto quotidiano, una via di fuga, un modo per fare quei viaggi che non posso fare fisicamente. Ma la scrittura a volte è anche una seduta terapica e il libro che stai scrivendo diventa quello psicologo a cui riesci a dire quelle verità che non confesseresti a nessun altro. Perché la scrittura ti giudica oggettivamente e se deve dirti che sei uno stronzo te lo dice senza avere paura di ferirti. “Più sei vero e più piacerai ai lettori perché loro sono come te, hanno bisogno di solo cose belle”.

3) Lo scrittore francese Gide sosteneva che la buona letteratura si fa con i cattivi sentimenti, lei cosa ne pensa?

Secondo me lo scrittore Gide ha detto una stupidaggine. La letteratura ha bisogno di sentimenti buoni e cattivi per essere buona, in egual misura e non è detto che alla fine sia buona lo stesso. La buona letteratura ha bisogno solo di scrittori nati per scrivere.

4) Secondo lei perché i suoi libri hanno successo anche all’estero?

Perché tutte le persone del mondo, ogni tanto, hanno bisogno di leggere delle favole. Magari ambientate nella città più bella del mondo.

5) I libri che scrive sono quelli che vorrebbe leggere?

Io leggo di tutto, ma di sicuro il genere romantico è quello che prediligo, quindi credo che sì i miei romanzi lì leggerei volentieri. In effetti quando scrivo entro in una specie di trance, tanto che dopo rileggo quello che scrivo quasi con sorpresa, come se non fossi stato io a scrivere quelle parole e mi faccio i complimenti.

6) Il libro che avrebbe voluto scrivere?

La sceneggiatura del film coreano Mare da cui è stato tratto il remake del film La casa sul lago del tempo, una storia bellissima e geniale.

7) I protagonisti del suo ultimo romanzo, vivono una storia d’amore fuori dall’ordinario. L’Amore rende straordinaria anche l’abitudine?

Sono gli innamorati a rendere straordinaria anche l’abitudine. Ma credo che la migliore risposta a questa domanda siano le parole del protagonista del mio ultimo romanzo. Luca rise piano, scuotendo la testa. «Assolutamente no, il mio discorso è un avvertimento in positivo. Tu in questi giorni mi hai fatto capire che l’amore è come uno di quei bracieri votivi che si trovavano nei templi dell’antica Grecia e l’innamorato, in questo caso io, è un po’ come quelle ancelle che erano destinate a passare tutta la loro vita a cercare di mantenere il fuoco del braciere sempre acceso… Non ti puoi distrarre o addormentare, specialmente la notte. Perché altrimenti il fuoco rischia di spegnersi. E se è vero che credi nell’amore, come le ancelle credevano nel dio del tempio, non puoi permetterlo…»

8) In questo suo ultimo romanzo si respira anche un po’ di cinema. Cos’è per lei il cinema e da questo punto di vista come vede Roma?

Il cinema è una parte inscindibile della mia vita, come l’arte, la lettura e fare i caffè. Roma è da sempre lo scenario perfetto per ogni storia e qualsiasi tipo di film. Credo che la risposta migliore a questa domanda sia il film La grande bellezza di Sorrentino. Nomen omen.

9) Pensa a volte di risultare troppo sentimentale o adolescenziale?

Magari fossi adolescenziale, credo che il modo più bello di esprimere i sentimenti sia quello adolescenziale, un amore senza stare a pensare a “e adesso?”

10) Cosa pensa di aver aggiunto a questo suo ultimo lavoro letterario, in relazione ai suoi precedenti libri?

Le parolacce…

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