‘Donna con due ombre’: l’esaltazione della bellezza unita alla denuncia ambientale

Donna con due ombre, edito da Homoscrivens è l’ultimo romanzo di Rita Guardascione.

Classe 1964, la scrittrice nasce a Monte di Procida, in provincia di Napoli. Diplomata, insegna prima nella scuola elementare, poi si dedica al commercio.

Amante del teatro e delle fiabe, rappresenta la pièce Una condizione assolutamente privata (teatro Leopardi 1994)(Castello aragonese di Baia1996)(Benevento città spettacolo rassegna 1997). Nel 2003 pubblica Il lago rapito con Homoscrivens; nel 2005 la filastrocca La particella Universale. Nel 2006 vince il concorso internazionale “Una poesia per l’Alzheimer” con il racconto L’assenza.
Del 2017 è il romanzo Donna con due ombre.

Donna con due ombre: Sinossi

La copertina del libro

Donne con due ombre è una spy-story dal sapore thriller.

Micol conduce una vita apparentemente normale. Ha trentacinque anni e si muove in una Napoli affascinante e contraddittoria, che fa da sfondo alle sue vicende e a quelle degli altri personaggi.

Pur essendo un’affermata psicoanalista conduce una doppia vita, celando a tutti il suo impenetrabile ruolo di killer. Un’arma di morte mirata e precisa che lavora alle dipendenze di un uomo potente e spietato, Mario Alain.
Mario Alain vanta un legame di parentela con la protagonista, conosce il suo passato e tiene sotto minaccia suo padre, obbligando la donna, indirettamente, a uccidere per lui. Ma dopo diciassette anni, le due vite di Micol cominciano a scontrarsi, a incrinare il delicato equilibrio che le teneva insieme. Mentre la Micol-psicoanalista si imbatte in Jessica, quattordici anni e cinque tentativi di suicidio, e nel suo mondo di degrado e miseria, la Micol-killer è costretta a sparare ancora per saldare il debito con lo zio, il quale le impedisce di estinguere il suo obbligo.

Una fitta rete di personaggi si intersecano in questa doppia esistenza, palesandosi a poco a poco per quello che realmente sono: pedine di un gioco lucido e crudele, architettato dal boss per consolidare il suo potere.
Intanto l’odio cresce dentro Micol: l’odio per quell’uomo che ha deciso di avvelenare la propria terra e uccidere la propria figlia; quell’uomo senza sentimenti e senza scrupoli, ennesimo esempio di “etica camorristica” in un paese stuprato incessantemente.
In uno scontro finale Micol riesce a uccidere Mario Alain, mettendo fine al suo regno di terrore. Oramai libera dal giogo del ricatto, Micol finalmente può iniziare a rimettere insieme i pezzi della propria esistenza.

Era il cinque settembre di un anno fa, il vento che soffiava dal mare era caldo, troppo caldo, eppure tremavo, il cuore aveva ac- celerato i suoi battiti improvvisamente. Mi guardai le mani, erano instabili. Inspirai ed espirai tre boccate d’aria, una dietro l’altra, rilassai le spalle, presi la Glock 19c e l’appoggiai sul muretto, tra le gambe per proteggerla dagli sguardi. Di colpo il tremore si arrestò. Una forza sconosciuta mi salì dalle viscere, per la prima volta pro- vai una sensazione di sollievo, senza il peso e la freddezza di quel ferro appoggiato alla mia pelle.
Sarebbe stato bello poter scegliere di liberarmene, abbandonarla lì come una disgrazia da fuggire, se solo avessi avuto un’alterna- tiva. Purtroppo non era quello il tempo. La infilai di nuovo nella tasca del K-way, proprio in mezzo al seno, e contemplai la sua for- ma sul cuore mentre seduta rivolta verso il mare guardavo oltre gli occhiali da sole sperando di non trovarmi mai troppo lontana da lì, da quella terra che chiamano flegrea.
L’unico luogo dove mi sono sempre sentita a mio agio.

A differenza dei personaggi principali, – ha dichiarato la scrittrice Rita Guardascione – i luoghi che descrivo sono tutti reali. C’è Napoli e ci sono i Campi Flegrei dove io sono nata e con la quale la protagonista ha un legame inconsapevole e indissolubile.

E ha aggiunto: Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo oltre alla voglia di creare e dare corpo al mio personaggio, c’era la volontà di evidenziare un disagio intimo che molti come me vivono ogni giorno perché spettatori di realtà contrastanti, convivenze di bellezza e disarmonia. L’obiettivo era quello di dirigere spot su vari luoghi evidenziando la propria fisicità attraverso un personaggio, inoltre, sottolineare come, certi soggetti, concorrono alla invivibilità di questi posti a discapito di molte persone che vivono lì e giorno dopo giorno diventano invisibili.

Contemporaneamente desideravo esaltare la bellezza della terra flegrea e di Bacoli che, la protagonista, sente come la sua seconda casa. Micol, infatti, pur ignorando le sue origini attribuisce alla bellezza di questi posti il suo attaccamento e li ama, come li amo io, dimenati tra l’armonia della natura, della storia che si respira ovunque e l’incuria, figlia di un immobilismo ancestrale del quale siamo vittime e artefici.
Per anni siamo rimasti a guardare fingendo di non vedere chi la stava stuprando. Purtroppo è accaduto e le ferite sono evidenti. Anche se la bellezza le occulta, noi sappiamo che ci sono. Nel romanzo ho dato a Micol il potere di difenderli prima che fosse troppo tardi. Nella realtà speriamo nel potere della politica giovane e consapevole”.

 

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‘Caterina’, il thriller psicologico di Vincenzo Zonno che capovolge ruoli dati per scontati

Cat è un’adolescente che, dopo aver perso prematuramente la madre, vive e lavora nel piccolo circo itinerante gestito dal patrigno. Sogna di diventare una funambola, ma la realtà è dura e avara di soddisfazioni. L’uomo che dirige la compagnia e che dovrebbe farle da padre è severo e autoritario, così come il resto degli artisti che provano invidia o indifferenza. Quando il circo si stabilisce in una foresta isolata dal più vicino centro urbano iniziano ad accadere eventi misteriosi. La natura che li circonda sembra nascondere segreti al limite dell’illusione, in un continuo vortice onirico, sempre a metà tra il sogno spettrale e la realtà, tra l’allucinazione e la macabra certezza di essere osservati. Qualcosa di oscuro si muove tra le ombre del tempo. Questa è la sinossi dell’ultimo romanzo di Vincenzo Zonno, scrittore pugliese che vive da tempo a Bologna, Caterina (Watson edizioni), un thriller onirico, un viaggio nella mente e nelle paure che ci attanagliano e che ci fanno smarrire il senso della realtà, e perdere nell’illusione.

Caterina, titolo che fa riferimento al nome della diciasettenne protagonista del romanzo di Zonno, è un libro che punta molto sulle descrizioni degli stati d’animo dei personaggi, soprattutto su quello della giovanissima protagonista, osteggiata dal mondo, amante delle marionette del Bulgaro, persa nelle sue fantasticherie e nei suoi desideri.

Il romanzo è incentrato sulle azioni dei personaggi, e sui pensieri che visitano la protagonista: tutto pare avvenire nella sua mente che trasforma la realtà circostante, che può essere sogno o incubo. Certamente in Caterina location, stati fisici e psichici e trama interagiscono efficacemente, sebbene siano presenti ridondanze, didascalie, frasi già lette e ripetizioni a scapito di una narrazione più asciutta che avrebbe giovato di più alla storia.

Se la foresta è lo scenario privilegiato per sentire paure e avvertire misteri, il circo, luogo dell’onirico per eccellenza, affascinante quanto opaco, qui diventa palcoscenico dove si consumano odi, sfide, competizioni, rancori, ed invidie, dove i personaggi mostrano come le loro vite  appartengano ai cilindri ed ai trapezi, come essi non camminino su linee rette e terreni solidi. E’ tutto qui il senso del romanzo “distorsivo” di Zonno: deformare, cambiare significato ai simboli del circo dove Caterina si accorge dopo un po’ di tempo di essere al contempo
protagonista e spettatrice dello spettacolo in corso.

L’impasto di dramma e thriller arricchito da incursioni della tecnica del flusso di coscienza che contribuiscono alla resa emotiva del romanzo che non scivola mai nel sensazionalismo, puntando a spaventare il lettore con bagni di sangue e sequenze gratuitamente truculente, bensì l’autore mira a coinvolgere il lettore, facendogli provare la più atavica delle paure: quella per l’ignoto.

Caterina è una storia che affascina e che si riempie soprattutto nelle ultime sessanta pagina di maggior suspence, irrorata da una buone dose di sentimento e commozione, che ha per protagonista una ragazza con la quale si entra subito in empatia, la cui purezza d’animo ci ricorda per certi versi il bambino di Shining, e la sua “luccicanza”, che le consente di vedere ciò che gli altri non vedono e di carpire i segreti di una natura misteriosa che ai più sfuggono.

Caterina è un viaggio allucinogeno dove i confini tra sogno e realtà sono labili e che ribalta gli esiti di vicende già scritte da adulti come recita una frase del libro: “Quando è il buio a comandare
chiunque può essere il mostro chiunque la vittima”. Nella protagonista, un cigno nero che simboleggia l’eccezionalità della natura, in cui ognuno di noi può rispecchiarsi, è la funambola sul filo della vita aggrappata ai suoi sogni. Zonno ci dice che quando si ribaltano i giochi, quando l’innocenza si ribella, e si vira nel relativismo, la vendetta può essere spietatamente considerata giustizia da chi, secondo chi la esercita, la pratica “giustamente”, in assenza però di raziocinio, si scivola nel terrore, perché anche chi non è più vittima può portare sulle spalle il fardello dell’essere diventato carnefice. Caterina è un romanzo molto originale che trascina appieno il lettore, per il quale sarebbe stato opportuno uno stile più asciutto, ma senza dubbio è tra le opere più interessanti e non banali nel panorama letterario italiano attuale, dove scrittori emergenti di qualità fanno fatica ad affermarsi.

L’interrogativo che emerge dalle pagine del romanzo di Zonno è lynchiano: in fondo non è la vita stessa a sembrarci un horror? Un enigma? Tuttavia nel finale Caterina non si fa troppe domande e si incammina per vivere una nuova avventura ignota che ha le sembianze di un’isola.

L’autore

Vincenzo Zonno nasce a Brindisi ma vive a Bologna dal 1990. La sua prima formazione artistica inizia nella musica e successivamente nella danza. Come scrittore inizia a pubblicare alcune raccolte di racconti, prima di esordire con due romanzi storici e successivamente con un thriller psicologico. Il primo, “Non è un vento amico”, edito da Vocifuoriscena, ottiene molte recensioni positive e un piazzamento nei primi cinque classificati del premio Perseide di Roma. Il secondo, “Sherlock Holmes e la grande madre”, pur essendo uno storico è pubblicato come apocrifo Sherlockiano.

 

A nord. Devo andare a nord dove il mare non ha fine e la terra brucia in mezzo al gelo. Dove l’acqua rovente sgorga direttamente dalla
roccia e si dissolve prima di raggiungere il cielo. Dove il sole non scalda se non il cuore e i venti ti bastonano impietosi, rammentandoti a ogni istante che sei un uomo: un essere debole e indifeso. (Da Caterina)

‘Una storia crudele’, il thriller psicologico di Natsuo Kirino che fa trapelare una giustificazione per l’autoalienazione

Non è usanza di Natsuo Kirino andarci leggera con le storie truci e con questo Una storia crudele, romanzo thriller del 2004, ce ne da ulteriore conferma, non è un libro per stomaci delicati. La trama stessa, e non solo la grande capacità introspettiva dell’autrice, lo suggeriscono. La storia parte infatti con una lettera, tanto semplice quanto crudele. Anzi da due. La prima è quella che il marito della protagonista (Ubukata Keiko, conosciuta con lo pseudonimo di Koumi Narumi) invia all’editore di lei, che è una scrittrice, avvertendolo che la donna è scomparsa ormai da due settimane e che ha lasciato quel manoscritto per lui. La seconda lettera è la causa scatenante di tutti gli eventi, che viene inserita dalla stessa Keiko in testa al suo nuovo romanzo, Una storia crudele appunto. Quest’ultima le è stata inviata da Abekawa Kenji, l’uomo, da poco uscito di prigione, che l’aveva rapita quando aveva appena dieci anni. Da qui ci immergiamo nel romanzo di Keiko, che decide di raccontare dopo più di vent’anni la storia del suo sequestro.

Keiko viveva con i suoi genitori in una casa popolare della zona industriale nella città di M., non distante dal quartiere notturno di K. Molto legata alla figura paterna, è invece sofferente alle disattenzioni e alla mancanza d’affetto da parte della madre, punto di riferimento assai evanescente. Una sera la bambina decide di avventurarsi fuori casa per cercare il padre, andando a finire tra le braccia di Kenji. A un certo punto un ragazzo giovane con in braccio un grosso gatto la ferma per la strada, convincendola a seguirlo. Arrivati in un vicolo, lontano da occhi indiscreti, le mette un sacco nero in testa e la rapisce. Per un anno nessuno avrà più notizie di Keiko.

La donna racconta che quella sera d’autunno, mentre era sull’autobus che l’avrebbe riportata dalla lezione di danza sino a casa, già durante quel tragitto che poi sarà destinato a interrompersi, il desiderio manipolatorio del rapitore era mutato in una sorta di presenza attiva nella sua vita. Kenji si era già trasformato in burattinaio e muoveva abilmente i fili della vita della piccola Keiko, questa almeno è la sensazione straziante che ne ha la donna, scrivendo e ricordando. Dal bus, infatti, la bimba vede la cittadina di K. dalle luci scintillanti nell’oscurità imminente. Le passa la voglia di andare a casa e raggiungere la madre sempre distante, vederla cucinare e annoiarsi; vuole andare incontro al padre, sicura che sia a bere con i suoi colleghi in uno di quei locali. Un’impresa quasi impossibile, visto l’alto numero di bar e ristoranti del quartiere, ma che da subito si trasforma in un’avventura entusiasmante agli occhi della bambina. E’ così che, già guardando lo sfarfallio delle lanterne dal finestrino della corriera, Keiko viene spinta dritta per la strada invisibile che la porterà a scomparire per dodici lunghi mesi.
Cosa accadrà durante questo interminabile periodo, mentre la bambina rimarrà prigioniera nell’appartamento del giovane Kenji? Non posso svelarvi tutti i segreti del romanzo, ma posso dirvi che la cangiante mutevolezza dei sentimenti umani, dei pensieri, delle decisioni, delle pulsioni che spingono a sopravvivere, posso dirvi che tutti questi saranno i temi che vi accompagneranno in questa storia a tinte forti, nere.

Abekawa Kenji è un ragazzone di venticinque anni con qualche problema di sviluppo mentale, immerso nella solitudine come un frutto acerbo in un liquore denso. Impossibile per lui liberarsi e riscattarsi da un destino malsano e bieco che è già pronto per lui da tempi immemori. Keiko diventerà la sua migliore amica, le darà anche un soprannome, Micchan. Sarà colei con cui sfogarsi per notti intere sulle ingiustizie che il mondo gli rovescia sulle spalle giorno dopo giorno. Il ragazzo passa le sue giornate tra casa e lavoro, si sente fuori luogo ovunque, tranne quando riesce a condividere i suoi infantili pensieri con il suo piccolo animaletto da compagnia, la bambina rapita. La lettera, che ci introduce nella storia sin dall’inizio del libro, è un tornasole molto cristallino della mente di Kenji e della sua visione distorta del mondo.

Buona parte del romanzo della Kirino è dedicata al ritorno alla vita della bambina dopo la separazione dalla casa del rapitore. E’ un lento percorso quello di Keiko, non viene capita né compresa da nessuno, tanto meno dai genitori e dallo psichiatra che la ha in cura. Come racconta la stessa Keiko nel suo libro-verità, si crea in lei una spaccatura. Di giorno si comporta come qualunque altra alunna e figlia educata, ma di notte inizia a vivere una vita alternativa plasmata dalla sua fervida immaginazione. E’ questo l’unico luogo in cui si sente al sicuro.

Una storia crudele è uno dei libri più crudi di Natsuo Kirino. Con un tono leggerissimo, quasi noncurante, srotola davanti ai nostri occhi un telo colmo di brutture, di brividi lungo la schiena, di esempi atti a dimostrarci quanto la natura umana possa essere incomprensibile. Potremmo dilungarci molto sulla scrittura di questa autrice: grande indagatrice dell’animo umano, le sue frasi vanno dritte al punto, le sue descrizioni sono semplici, ma efficaci, forse uno dei suoi più grandi pregi è quello di saper creare situazioni di disagio, di fastidio nei suoi protagonisti. E la scintilla scocca quando anche il lettore percepisce questa sensazione contro natura: qui si rivela la grandezza di Natsuo Kirino. Il coinvolgimento epidermico è il suo asso nella manica, non manca mai di darne prova. Kirino è molto abile nel dare spazio ad un forte senso di pudicizia e di imbarazzo, tanto potente da poterci addirittura scorgere qualcosa di autobiografico, oltre a far trapelare una giustificazione per l’autoalienazione scaturita dall’incapacità di un mondo adulto idealizzato in maniera negativa.
L’atmosfera generale del romanzo è grigia, dimessa, costituita da immagini distorte o dai molteplici significati in cui i ruoli si ribaltano e si confondono con fatti intricati che vengono resi più sopportabili nello svelamento di contatti tra immaginato e reale.

“Signor Yatabe!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola, battendo i pugni contro la porta. “Aiuto! Aiuto!”. Ero sicura che in questo modo Yatabe si sarebbe finalmente accorto della mia presenza. E invece non accadde nulla. La porta si riaprì e venne dentro solo Kenji. Fremente di rabbia, mi mollò un pugno sulla testa, mandandomi distesa al suolo. Un tonfo risuonò nella stanza e dopo un paio di secondi, un dolore pulsante alle tempie, non potei fare a meno di lanciare un urlo. “Micchan, così non va…così non va…così non va”. Mugugnando all’infinito quella stessa frase, Kenji prese a sferrarmi un pugno dopo l’altro sul capo, mentre cercavo disperatamente di parare i suoi colpi con le mani.
“Perdonami… ti prego… non lo farò più!” balbettai tra un singhiozzo e l’altro.
“Stai dicendo la verità?” mi chiese ansimando “Non griderai più? Giuramelo!”
“Sì, sì, te lo giuro, non lo farò mai più, te lo prometto!”.
Com’era possibile che Yatabe non mi avesse sentita urlare? Accortosi del mio sguardo perplesso, Kenji mi fissò con un ghigno diabolico.

E proprio questo è il fascino di Una storia crudele, di una narrazione che la Kirino schiude nella zona liminale fra il sogno e il reale, e, nel gioco di specchi e di immagini rifratte che costruisce, riesce a mantenere alta la tensione e a tenere avvinto il lettore dalla prima all’ultima riga.

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