‘Inferno’ di Ron Howard, tra azione e una love story non banale

Inferno (Warner Bros, 2016) è l’ultimo film di Ron Howard, un thriller psicologico che consacra il rapporto fra il regista di A Beautiful Mind e il carismatico attore Tom Hanks, ancora una volta nel ruolo del professor Robert Langdon. Nel cast anche Felicity Jones, una ‘spalla’ efficace per Tom Hanks, e Irrfan Khan, personaggio perennemente in bilico fra Bene e Male con una spiccata vena ironica. Dopo Il Codice Da Vinci (2006) e Angeli e Demoni (2009) tornano le indagini del simbolista di Harvard che stavolta non avrà a che fare con enigmi riguardanti la religione cattolica, bensì con argomenti più attuali, come il sovrappopolamento della popolazione terrestre.

Inferno comincia con Robert Langdon ricoverato in un ospedale di Firenze, reduce da un colpo di arma da fuoco e affetto da un’amnesia momentanea che non gli consente di ricordare le ultime 48 ore. Qualcuno lo sta cercando per ucciderlo e la dottoressa che lo ha in cura, Sienna Brooks, lo aiuterà a scappare e a cercare di ricordare quanto accaduto. L’ ‘incidente’ di Robert Langdon ha a che fare con il suo ruolo nella ricerca di Inferno, un virus letale che il miliardario visionario Bertrand Zobrist ha creato prima di morire e che, se messo in circolo, dimezzerebbe la popolazione terrestre in pochi giorni, risolvendo così il problema del sovrappopolamento. Le ricerche di Langdon, nella migliore tradizione del binomio Howard- Hanks, vertono sul simbolismo nell’arte (la città di Firenze ne è lo scenario perfetto) e nella letteratura (con un omaggio all’Inferno di Dante Alighieri).

Analisi stilistica e tematica di Inferno

Inferno si configura come un film dall’andamento diverso rispetto ai due precedenti della stessa serie, è più d’azione e mette da parte la componente simbolica che invece era stata la ‘chiave di lettura’ ne Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni. Questo penalizza di molto la riuscita della pellicola, che punta tutto sulla corsa contro il tempo per impedire che il virus venga rilasciato. La costruzione della storia è a puzzle e quindi non segue l’andamento cronologico. Inferno comincia in medias res e nel corso dell’azione si cerca di colmare le lacune lasciate all’inizio, purtroppo non riuscendoci. Quello che ne viene fuori è un film confuso, che lascia più interrogativi che risposte alla fine. Sono da salvare la fotografia (bellissime le riprese col drone su tutta Firenze , nonché le scene visionarie dell’Inferno dantesco dentro la mente di Robert Langdon) e la filosofia che fa da sfondo al film. Una massima che si ricorda anche quando lo schermo diventa nero è: “i luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali”. Quali sacrifici è giusto compiere per un Bene più grande? Qual è il confine fra il Bene e il Male? Sia nel film che nella vita vera la differenza non è così netta come potrebbe sembrare.

L’eclettico Ron Howard è riuscito a districarsi abbastanza bene dalla macchinosità delle due precedenti pellicole (troppo didascaliche) della saga di Dan Brown giocando sulle differenze tra la prima parte fatta di azione spericolata e la seconda che si concentra sui risvolti sentimentali per nulla banali dell'”introversa” relazione tra i due protagonisti.

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