Cosa è stato davvero il Medioevo, oltre i luoghi comuni e l’ignoranza dei moderni

“Siamo rimasti nel Medioevo!”. E’ una frase comune, che ripetono quasi tutti, senza nemmeno pensarci. Eppure è sintomo di ignoranza, cioè di non conoscenza della storia. Lo ha spiegato la celebre storica francese Régine Pernoud, specialista del Medioevo: «Quando si dice “in quel campo si è rimasti ancora al Medio Evo” si e detto tutto! Come è possibile che si sia ancora legati, nella nostra epoca scientifica, a nozioni così semplicistiche e infantili su tutto ciò che riguarda il Medio Evo?».

E’ anche vero che «dalle scuole elementari all’università — quasi senza eccezioni — si testimonia sempre lo stesso disprezzo per l’insieme del millennio che va dal V al XV secolo. È lo stesso disprezzo che manifestano i media in tutta tranquillità. Giornali, televisione e, appunto, il cinema, presentano invariabilmente gli stessi schemi: ignoranza, tirannia, oscurantismo». Che il Medioevo sia sinonimo di oscurantismo lo hanno voluto far credere gli illuministi, gli intellettuali antireligiosi del XVII per affermare la supremazia della loro epoca. Ma nessuno storico sostiene più i “secoli bui”: «tutto ciò che ci resta dell’epoca, tutto è bello», ha spiegato la Pernoud. Ciò fa parte del tabù di una società che pretende rifiutare tutti i tabù. «Non se ne discute nemmeno più, si accettano allegramente enormi assurdità considerate come fatti acquisiti. È così, e non c’è bisogno di dimostrazione. Tutto questo i medievalisti lo sanno, ma si guardano bene dal ripeterlo: non sarebbe serio!».

Fortunatamente qualche storico che ha il coraggio di andare contro il pensiero dominante e mediatico c’è, uno di essi si chiama Jacques Le Goff, tra i più autorevoli studiosi viventi della storia e della sociologia del Medioevo (e profondamente agnostico). In questi giorni ha rilasciato un’intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, in cui ha spiegato che «come dice il nome, il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio, di transito tra l’Antichità e la Modernità, ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo. Ci sono cambiamenti che non modificano in modo sostanziale la natura della vita dell’umanità. L’economia resta rurale, ciclicamente caratterizzata da carestie. Nonostante la rottura – importante – tra cristianesimo tradizionale e riformato, è sempre il cristianesimo a determinare una visione omogenea e religiosa di un’eternità definita da Dio».

Medioevo: origine del termine e periodizzazione

L’idea di Medioevo nasce con l’Umanesimo italiano, quando letterati e artisti individuarono nell’itinerario della civiltà tre fasi: l’antichità classica, l’età dell’imbarbarimento e decadenza seguita alla caduta dell’Impero romano., l’età nuova da essi inaugurata. Il termine fu coniato dall’umanista Blondus Flavius nel ‘400, per indicare tutto il periodo di mille anni intercorso tra la caduta dell’Impero Romano e l’Umanesimo. Certamente il termine Medioevo è ormai nell’uso e ci resterà, ma parlarne come di un periodo unico non ha più senso, sia che se ne parli in positivo che in negativo. Anche la periodizzazione in Alto e Basso Medioevo (prima e dopo il 1000) è già meglio, ma è ancora troppo sommaria. Il concetto di unicità del periodo aveva senso soltanto secondo la concezione negativa dei tempi in cui fu coniato il termine, quando lo si vedeva erroneamente (o piuttosto lo si presentava tendenziosamente) come un’eclissi totale della cultura classica.

Anche Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, ha recentemente criticato a sua volta che «nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora». Ma ovviamente non è così, gli storici lo sanno mentre i liberi pensatori non riescono a separarsi dai loro dogmi.

Le donne del Medioevo

Uno dei misteri più grandi è stata la fuorviante trasformazione del termine “medievale” in aggettivo – cito il Dizionario Treccani – riferito a «concezioni e principî superati e retrogradi». Pare che dietro tutto questo vi sia lo zampino illuminista, ma vale la pena vederci chiaro.
Anche perché il vituperato Medioevo ci ha regalato arte, cattedrali, monasteri e cultura ancora oggi (anche economicamente, si pensi al turismo) fruttano patrimoni: non so se invece fra alcuni anni – ne dubito – qualcuno vorrà andare a farsi qualche giro, non solo se pagante ma neppure se pagato, in molti aborti firmati dalle nostre archistar; ma quanto scommettiamo che per quanto l’epoca medievale ha lasciato vi sarà ancora interesse? La stessa terrificante Inquisizione medievale, invocata come la vergogna della storia, tutto fu fuorché tale: l’apice delle caccia alle streghe si registrò nelle regioni germaniche protestanti più che in quelle cattoliche. Inoltre tutto fu, il Medioevo, fuorché ostile alla donna: i nomi di Matilde di Canossa, Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia, Ildegarda di Bingen  o Eleonora de Serra-Bas, giudice di Arborea dal 1383 al 1404, che promulgò la stesura definitiva della “Carta de Logu”, una raccolta di leggi ed ordinamenti giuridici che sono la prefigurazione del moderno stato di diritto, dicono nulla? Senza parlare delle cinture di castità, bufala totale: perfino al Museo d’arte medievale di Cluny a Parigi, per dire, fino a non moltissimi anni fa se ne poteva ammirare una che si credeva appartenuta alla regina di Francia Caterina de’ Medici: peccato che fosse una patacca.

Curiosa pure l’idea che esser medievali sia sinonimo di essere «retrogradi»: storici come Jean Gimpel, hanno parlato, per quell’epoca, d’una vera e propria rivoluzione industriale. Le stesse invenzioni non mancarono; pensiamo all’aratro meccanico, alla ferratura dei cavalli, al verricello, alla carrucola, alle staffe lunghe, all’arco rampante, alla volta a crociera, all’aggiogatura a spalla, al sapone, alla vite elicoidale, al bottone, al martinetto, allo specchio, agli occhiali, al prosciutto, allo champagne, al parmigiano e tanto altro. Quanto alla leggenda della terra creduta piatta, nel Medioevo circolava ampiamente – in latino – il Timeo di Platone, dove si parla di un «mondo in forma di globo, tondo come fatto da un tornio, con i suoi estremi in ogni direzione equidistanti dal centro, la più perfetta e la più simile a se stesso di tutte le figure…».

Tra ignoranza e falsi miti

Strano davvero, insomma, che il vituperato Medioevo fosse un’epoca così barbara e ignorante. Così barbara e ignorante, fra l’altro, da aver donato all’umanità gente come san Francesco d’Assisi – uno dei più significativi santi di tutti i tempi -, come san Tommaso d’Aquino – uno, se non il teologo più grande di tutti i tempi – e come Dante Alighieri, la cui Divina Commedia è un’opera talmente straordinaria che rivela un’intelligenza – dicevano intellettuali quali Federico Zeri (1921–1998) – incredibile, mostruosa, tale da fare quasi escludere che il Divin Poeta fosse un essere umano. L’era delle «concezioni e principî superati e retrogradi» è stata inoltre – alla faccia del suo presunto degrado – quella dei Comuni, delle libertà municipali, della Magna Charta.

Fa sorridere pure il collegamento fra il Medievo e l’odio contro le persone omosessuali: su Wikipedia, tempio della cultura 2.0, da un lato si ammette che nell’Alto Medioevo l’omosessualità era trattata come peccati come l’adulterio ed i rapporti prematrimoniali, dall’altro si dice che nel Basso Medioevo scattarono persecuzioni della quali, guarda caso, mancano però le fonti. In ogni caso, a proposito di omofobia, si fa bene a ricordare che ad incarcerare Oscar Wilde non furono né i medioevali e neppure i cattolici, bensì l’Inghilterra vittoriana. E potremmo continuare se il mistero di “medievale” come insulto non fosse già abbastanza fitto e ingiustificato. La sola vera colpa del Medioevo, in realtà, è una: essere stato cristiano. Profondamente cristiano. E questa proprio non gliela si può perdonare.

Usare l’ etichetta “medievale” per definire qualcosa come “retrogrado, superato” è solo un pregiudizio usato da persone che non hanno avuto solide basi nello studio della storia medievale, fermandosi solo alle quattro righe a riguardo che vengono impartite dai libri di liceo e che di superficialità non mancano. Nel corso dei miei studi liceali mi sono reso conto di quanti concetti troppo semplicistici e fuorvianti ci siano, soprattutto nella materia della storia, della letteratura e della filosofia.

I valori del Medioevo, culla della scienza moderna

Il medioevo non è solo superstizione e guerre, ma anche grandi valori di eroismo, di carità, di altruismo, di amore; è un periodo storico pieno di pathos, di ideali, di conflitti, ma anche di matematica, di geometria, di opere d’ arte irraggiungibili e di forte senso spirituale. Almeno non è un periodo dove ideologi umanisti congetturavano che ci fosse davvero un’ epoca di decadimento e di passaggio dalla gloriosa età classica (ancora più retrograda di quella medievale) a quella moderna, anche se già definire questo periodo storico come “medioevo” è un problema di base, in quanto ci sono tanti “medioevi” uno più complesso e diverso dell’ altro, cosa che non possono ancora capire i vari asini di questo studio e i vari sofisti televisivi anch’ essi asini a riguardo, ma che almeno hanno dalla loro parte l’ illusoria “aura di tuttologia” che ostentano davanti allo schermo, non avendo comunque studiato pressoché nulla all’ università riguardo al Medioevo.

Non dimentichiamo anche uomini di scienza, come Grosseteste, Buridano, Ockham, Oresme, Bessarione, Peuerbach, Bacone e tanti altri, sui cui lavori, senza soluzioni di continuo, si sono formati i piu’ noti ed osannati scienziati rinascimentali, come Copernico, Galileo, Leonardo, fino a Newton.

L’elemento centrale che caratterizza negativamente  il Medioevo è semmai la crisi del Sovrano. La macchina amministrativa dell’impero romano non era più in grado di assicurare la statualità. Molti funzionari imperiali si posero il problema di non disperdere il patrimonio di conoscenze accumulate , gli amanuensi che nei monasteri copiavano i libri sono l’esempio classico che ribalta i termini della critica al medioevo.

In “I filosofi di Dio”, lo studioso James Hannam sfata molti dei miti sul Medioevo, dimostrando che le persone medievali non pensavano che la terra fosse piatta, né Colombo dimostrò che era una sfera; l’Inquisizione non ha bruciato nessuno per la loro scienza, né Copernico ha paura della persecuzione; nessun Papa ha cercato di vietare la dissezione umana o il numero zero. “I filosofi di Dio” è una celebrazione delle conquiste scientifiche dimenticate del Medioevo – progressi che sono stati fatti spesso grazie, piuttosto che a dispetto, all’influenza del cristianesimo e dell’Islam. Progressi decisivi sono stati fatti anche nella tecnologia: gli occhiali e l’orologio meccanico, ad esempio, sono stati entrambi inventati nell’Europa del XIII secolo. Tracciando un viaggio epico attraverso sei secoli di storia, l’opera di Hannam che consgliamo caldamente a chi conosce l’inglese, visto che non è stata ancora tradotta in italiano, riporta alla luce le scoperte di geni trascurati come i già cutati John Buridan, Nicole Oresme e Thomas Bradwardine, oltre a mettere in campo il contributo di figure più familiari come Roger Bacon, William di Ockham e San Tommaso d’Aquino.

Vediamo anche come i calcolatori della Merton dell’Università di Oxford abbiano sviluppato il teorema della velocità media, che Galileo (senza dare credito) ha applicato agli oggetti che cadono in un campo gravitazionale uniforme. Oresme ha anche dimostrato questo teorema, da quella che si sarebbe chiamata geometria cartesiana secoli dopo. Galileo ha presentato una dimostrazione geometrica praticamente identica, senza credito.

Il capitolo secondo del saggio ha un titolo che considererebbe più incredibile e cioè “Il Papa matematico”. Sì. Il Papa era interessato alla matematica e lo studiava e questo spesso significava andare dai musulmani che avevano la matematica e vedevano quello che avevano da dire. Il mondo musulmano ha avuto un vantaggio nel controllare la parte orientale dell’area, dove sono conservati gli scritti greci. I cristiani per lungo tempo non avevano accesso agli scritti greci e quindi non avevano gli scritti scientifici dei popoli passati. Quando li hanno presi, li hanno divorati. La chiesa non era contraria ai libri come hanno sostenuto alcuni. Per tornare al papa matematico, si chiamava Gerberto ed era molto interessato alla matematica e all’astronomia ed era uno studioso del suo tempo. Era particolarmente affascinato da un astrolabio, un dispositivo che aiutava qualcuno a distinguere il tempo dalla posizione delle stelle.

Hannam scrive in conclusione dell’ascesa della ragione, che in gran parte ha luogo con Anselmo d’Aosta. A pagina 44, leggiamo che insegnò ai suoi allievi la grammatica e la logica latine in modo che fossero pronti ad affrontare la Bibbia. Se potessero vederci i medievali giudicherebbero noi moderni dei volgari barbari, ignoranti, superbi, privi di quel senso del sacro che ci permette di realizzare cose belle ed importanti.

 

Fonti: G. Vitolo, Medioevo, I caratteri originali di un’età di transizione

J. Hannam, Filosofi di Dio

 

 

‘San Tommaso d’Aquino’ di Chesterton: chiarimenti di alcuni equivoci sul tomismo che hanno compromesso la reputazione del cristianesimo in Europa

Ma se la crisi dell’Occidente, l’epoca del nichilismo e l’era della tecnica non fossero il capolinea definitivo, l’alba dell’apocalisse? Se dietro a quest’epoca di spaesamento e obsolescenza di tutti i valori si preparassero una rinascita, una redenzione e una riscossa? E se questa rinascita non passasse da simboli ed ideologie nuove, ma dalla Fede cristiana, dalla promessa di redenzione della Croce e di salvezza della resurrezione? Non stiamo fantasticando, ma solo cercando di riportare, in modo forse un po’ troppo ottimistico, ma comunque lucido, una sensazione che riscontriamo, un sentore diffuso che ci sembra di cogliere, una percezione di reale e concreta inversione di tendenza. Si notano molti ragazzi che, stanchi dello sballo da discoteche, ritornano in oratorio a costruire progetti e a rinsaldare comunità vive; altri che ritornano a sposarsi in Chiesa, guardando con diffidenza o con insoddisfazione la semplice convivenza; perfino in merito alle vocazioni – pur in un tempo di calo verticale delle ordinazioni – ci sembra di vedere in giro più preti giovani, freschi di sacerdozio e con un entusiasmo diverso nella predicazione e nell’aggregazione di ragazzi.

Ora, non vogliamo sembrare ingenui: la situazione ad oggi è ancora profondamente buia, notiamo ancora la mentalità diffusa che indica la Fede come qualcosa di sorpassato, che ripiega verso il relativismo mondano o verso la spiritualità orientale, quando non proprio verso l’Islam. Ma quello che notiamo non è un fenomeno attuale, ma potenziale; non è ancora una rinascita, ma i primi vagiti di una rinascita. Abbiamo come la sensazione che, mentre il Papa fa discutere con le sue uscite pubbliche controverse e con le sue biografie un po’ equivoche, i giovani stiano abbracciando un cristianesimo più forte, non mediatico e flessibile, ma risoluto e combattivo, a dispetto del mondo.
Paradossalmente, non è la popolarità mediatica del Papa regnante ad averli spinti al cristianesimo, ma è la profonda ripugnanza per il cristianesimo della società attuale, fatua e superficiale, ad averli ricondotti al cristianesimo come risposta esistenziale profonda e radicale, proibita e scandalosa. Non vogliamo dire che sia sorto un movimento contro Papa Francesco, ma che questo sia completamente indipendente dal Papa; serpeggi in tutta Europa silenzioso ma pregnante, solido ma sommesso. In un certo senso, preferiamo pensare che sia parallelo al Papa, nel senso che va nella stessa direzione, ma ad altezze e gradi differenti. Si pensa a queste cose leggendo la biografia di San Tommaso d’Aquino di Chesterton, nella versione ristampata dalla Lindau, con la prefazione di Monsignor Luigi Negri. Chesterton scrisse quest’opera nel 1933, quando la crisi del ’29 ancora dava i suoi tremendi colpi al mondo anglosassone ed americano e nell’anno in cui Hitler vinceva le elezioni in Germania. Qualche anno prima si era cimentato nella agiografia di San Francesco, che era stata l’opera prima dopo la sua conversione al cattolicesimo. L’opera su San Tommaso è breve ma densissima, complicata ma a tratti di vera genialità, tant’è che riscosse la stupefatta ammirazione di tomisti di lungo corso e di chiara autorevolezza, come Jacques Maritain e Anton C. Pegis.

Perché quest’opera è così importante? Come si riallaccia al discorso sulla riscossa europea grazie alla rinascita della Fede cristiana? In che modo quest’opera ha a che fare con la convinzione che la Fede cristiana possa tornare ad essere cardine e fondamento della civiltà europea, e non soltanto un orpello vuoto al servizio dei politicanti, come lo è stato quasi sempre nell’ultimo secolo? Perché Chesterton parlando di Tommaso parla del tomismo, e chiarendo alcuni equivoci sul tomismo chiarisce alcuni equivoci che hanno compromesso moltissimo la reputazione del cristianesimo in Europa, che si sono annidati come pregiudizi e si sono insidiati nella mentalità condivisa. Quello di Chesterton è più di una biografia di Tommaso: è un libro fondamentale (definitivo, dice Luigi Negri nella prefazione) sul cattolicesimo, su cosa sia e cosa debba rappresentare, lontano dalle mistificazioni e dagli equivoci che l’hanno screditato negli ultimi secoli. In realtà l’opera di Chesterton parte dalla vita di Tommaso, così densa di pensieri ma relativamente povera di fatti, per approdare ad una disamina, breve e folgorante, della dottrina tomista. Il racconto della sua vita sfocia nell’incontro con la sua opera, perché l’uomo fu tutto devoto all’opera, alla sua missione per conto di Dio: rendere giustizia al tomismo è il modo migliore di omaggiare la vita di San Tommaso.

E allora, attraverso l’analisi dell’opera di Tommaso, Chesterton ci mostra davvero cosa sia il cattolicesimo. Il più grande equivoco sul cristianesimo oggi, e quello che non a caso è con maggiore forza chiarito da Chesterton nel libro, ma anche da San Tommaso nella sua opera, è quello secondo il quale il cattolicesimo sarebbe una religione fondata sull’astensione dalla vita, sull’ascesi, sul disprezzo della carne e della corporeità. In realtà, tutti questi erano caratteristiche dell’eresia manichea, quella che, non a caso, Tommaso combatté con maggior vigore.
Chesterton sostiene che la Chiesa dei primi secoli avesse effettivamente ceduto ad una visione troppo spiritualistica, diffidente rispetto ai sensi e alla carnalità, troppo debitrice nei confronti di Platone e della sua concezione del corpo come gabbia da cui emanciparsi. Lo stesso Agostino viene guardato da Chesterton con un misto di ammirazione e di apprensione, perché la sua ascesi verso Dio, solitaria e verticale, fondata sulla grazia e sulla predestinazione, a suo giudizio per i discepoli troppo fanatici diventò una suggestione verso il manicheismo (di cui Agostino era stato adepto) e più tardi sarà il viatico che condurrà molti al luteranesimo. Ad Agostino, che recuperò Platone, fa da bilancia con forza Tommaso, che recuperò Aristotele.

Se Agostino aveva tentato un percorso diretto verso il cielo, per Chesterton, Tommaso è l’uomo che riconcilia il cattolicesimo con la terra, che è viatico del cielo; con il corpo, che è unito all’anima. E la legittimazione più chiara con cui Tommaso riabilita Aristotele, il corpo ed i sensi non è, come non si stanca di ripetere Chesterton, anticristiana, paganeggiante o orientale, ma all’opposto è il fondamento, il centro stesso della Fede cristiana: ovvero l’incarnazione. A ben vedere, non esiste nessuna religione come il cristianesimo che stimi il corpo, lo apprezzi e lo valuti, perché non esiste nessun’altra religione fondata sulla convinzione che Dio, da trascendente e celeste che era, si sia fatto carne e sangue. Come si può affermare che il cristianesimo disprezzi la carne, se è una religione fondata sull’incarnazione? Come si può affermare seriamente che il cristianesimo disprezzi il corpo, quando è il Corpo di Cristo che ogni domenica i cristiani ricevono?

Chesterton qui chiarisce ciò che, ad esempio, Nietzsche non riuscì mai a capire: ovvero che Cristo non è il Dio dell’astensione dalla vita, della rinuncia e della repressione; ma all’opposto è il Dio del corpo e del sangue, dal pane e del vino. La rinuncia alla volontà, la ricerca del Nulla, l’ascetismo che combatte la vita ed i suoi impulsi, non fanno parte dell’eredità e della testimonianza di Gesù, dice Chesterton, ma di quello di Buddha. È il buddismo la religione dell’astensione dalla vita, della soppressione degli istinti vitali, della fuga della vita per fuggire dal dolore; quando al contrario il cristianesimo prescrive di portare il proprio dolore, accettare di essere presi di mira per aver aderito al messaggio di Gesù, per arrivare ad una vita più piena, più forte e redenta. A ben vedere Nietzsche, com’è stato molto osservato da alcuni esegeti cattolici acuti, criticando il cristianesimo critica in realtà il buddismo (diceva che il pericolo che vedeva per l’Europa era quello di un’Europa buddista…), mentre i suoi ammonimenti a vivere una vita fedele alla terra, ai sensi ed alla realtà sono quanto di più simile ci possa essere alla predicazione di Gesù: a ben vedere Cristo assomiglia molto più a Dioniso che non a Buddha. Questo è davvero il principale equivoco che pende sul cristianesimo, che però è bastato a screditarlo agli occhi di intere generazioni, a farlo apparire qualcosa di mortifero e putrido, di violento ed innaturale. Chesterton ride ad esempio quando dice che gli è capitato di leggere in un serio commento di un critico che la Chiesa cattolica vedrebbe il sesso come un peccato. Poi però commenta pungente:

Lascio risolvere al critico la questione riguardo a come mai il matrimonio sia un sacramento se il sesso è peccato, e come mai siano i cattolici ad essere a favore delle nascite ed i loro avversari ad essere in favore del controllo demografico.

La Chiesa non mortifica gli istinti naturali dell’uomo, e se si fa carico di irreggimentarli, limitarli, circoscriverli, non è per una mortificazione gratuita, per disprezzo della vita o volontà di affrancarsene, come in certe tradizioni orientali; ma perché, come spiega Chesterton citando Tommaso, accanto al piano della creazione, lo spirito cattolico si muove anche su quello della caduta. In questo senso, l’ascetismo cattolico (o, più in generale, certi precetti di castità e di astensione temporanea dal piacere dei sensi) rappresentano una più o meno saggia precauzione contro il pericolo della caduta, ma mai un dubbio riguardo alla creazione. È per questo che, pur non somigliando a Buddha, Cristo non può essere neppure identificato con Dioniso. È troppo facile, come si fa oggi, abbandonarsi in tutto e per tutto alla sensualità, fingendo di non vedere che la morbosità, il libertinismo esasperato e l’iper-sessualità conducono dovunque ad istinti masochistici, violenti o autodistruttivi. È troppo facile rimpiangere un fantomatico naturalismo pagano precedente al cristianesimo senza vedere il lato oscuro e tremendo di quelli che dovevano essere i riti orgiastici, quel godimento così vicino alla voluttà mortale. E però questa prescrizione di un ordine ai sensi non scade mai in una mortificazione fine a se stessa della vita, e la grande eredità di Tommaso è proprio questa: aver riabilitato Aristotele, aver chiarito che nel cristianesimo non c’è contrapposizione, come nel platonismo, tra corpo e anima, tra terra e cielo; perché il corpo è la casa dell’anima, non la sua gabbia, e la terra è la strada per il cielo, non la sua copia sbiadita. Ed è così appunto perché è Dio che si è fatto corpo, è Dio ad aver vissuto in terra.

Il corpo non era più lo stesso di quando Platone, Porfirio e gli antichi mistici l’avevano dato per morto. Era stato appeso ad un patibolo. Era risorto da una tomba. L’anima non poteva più disprezzare i sensi che erano stati gli organi di qualcuno che non era soltanto un uomo. Platone poteva disprezzare la carne, ma Dio non l’aveva disprezzata.
San Tommaso restituisce Cristo alla sua più compiuta eredità, depurandolo dall’ascetismo eccessivo, mortifero di certi agostiniani eccessivi, che sarebbero poi confluiti nei manichei e, secondo Chesterton, nei luterani. Ma più ancora: secondo Chesterton San Tommaso è il primo a chiarire, in modo inequivocabile, l’unicità e la specificità del cristianesimo, ovvero la congiunzione perfetta di vita terrena e vita ultraterrena, di Dio e prossimo, di anima e corpo, di intelletto e realtà. È per questo che, secondo Chesterton, una rinascita dell’Europa sotto il segno del crocefisso è possibile solo attraverso una nuova presa di coscienza, che passa dalla comprensione di Tommaso, di che cosa sia il cristianesimo: non una scelta tra le tante, in un pluralismo che porta le religioni ad un piano di uguale insignificanza, ma la sola scelta sempre, coerentemente, contro il nichilismo, a favore della vita.

Altrove ci sono solo monoteismi severi e distanti, troppo facili da trasformare in ideologia; o panteismi irenici, che ci promettono di naufragare in un tutto organico, che ci fanno perseguire il piacere e schivare il dolore, ma non sopiscono le nostre angosce e non ci indicano vie per salvarci:

Più si capisce la grandezza delle reazioni improvvise e delle rinunce di Buddha, più ci si rende conto che intellettualmente egli era agli antipodi del concetto di redenzione universale del Cristo. Uno vorrebbe annientarsi, l’altro vorrebbe tornare alla sua creazione: al suo Creatore. (…). In un certo senso sono complementari e si equivalgono, come un dosso e una cunetta, come una valle ed una collina. (…). C’è ben poco al mondo che si possa confrontare a queste due alternative in quanto a completezza. E chi non si sentirà di scalare la montagna di Cristo, precipiterà fatalmente nel baratro di Buddha.

Ecco, saremo troppo ottimisti, o forse ingenuamente proiettiamo le buone impressioni che abbiamo ricevuto su scala più ampia, ma abbiamo la sensazione che nelle nuove generazioni si stia affermando un’idea di cristianesimo più vicina al suo significato originario, cioè di vita, salute, gioventù, fecondità; e questo quanto più si vedono coloro che imboccano altre strade, perdersi su vie sterili e sentieri perdenti.

 

 

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