Il formalismo russo: l’importanza del linguaggio all’interno di un testo

Sviluppatosi tra il 1914 e il 1915 a Mosca e a Pietroburgo, il formalismo russo rappresenta un’importante ed influente scuola di critica letteraria, inizialmente coniato con intenti denigratori, in quanto volto ad indagare solo l’aspetto formale dell’opera letteraria, non avendo il linguaggio una funzione pratica. In questo senso la letteratura serve esclusivamente a mostrare le cose da un punto di vista diverso, senza badare al contenuto e alla dimensione metatestuale, anticipando cosi le istanze dello strutturalismo. Anzi, è l’artificio, la forma che genera il contenuto, ciò che rende letterario un testo non è la storia della cultura, ma il linguaggio.

I saggi “La Resurrezione della parola” di V. Šklovskij e “Dostoevskij e Gogol” di  Rozanov e J. N. Tynjanov a gettare le basi della scuola futurista che rivendica la funzione creativa della parola che esprime concetti puri. Aspetto centrale della riflessione dei formalisti russi è la contrapposizione tra fabula ed intreccio, la prima indica la storia cosi come è avvenuta, rispettando l’ordine cronologico, l’intreccio, al contrario, è uno degli strumenti più importanti della letteratura e riorganizza la fabula, la rielabora attraverso descrizioni , digressioni, anticipazioni.

Si riscontrano quindi nei testi il protagonista che deve superare molte avversità, l’antagonista, la proibizione, la trasgressione, la conseguenziale punizione  (colpa da espiare), l’estraniamento (concetto proprio di Tolstoj, quando gli avvenimenti non vengono chiamati con il loro nome ma è come se fossero visti e trattati per la prima volta) e di nuovo una trasgressione che porta ad una nuova punizione.

L’intreccio poi ha un “motivo”, come lo ha definito Tomashevsky, che può essere rappresentato da una singola azione; i motivi poi possono essere liberi e legati; i primi non sono essenziali ai fini della storia in sé, dovuti allo stile adottato dall’autore, mentre i secondi sono obbligatori, richiesti dalla storia.

Anche Propp nella sua “Morfologia della fiaba” si occupa  della scissione tra fabula ed intreccio, definendo il concetto di Funzione in riferimento ai personaggi, ovvero l’operato, le azioni del personaggio definite dall’autore stesso. Si distinguono cosi degli elementi variabili, come le caratteristiche fisiche , psicologiche , le qualità morali, gli aspetti caratteriali, e quelli invariabili, ovvero la funzione del personaggio stesso. Propp individua 31 funzioni che saranno poi analizzate anche dal filologo e critico Cesare Segre (la famosa analisi della novella del Decameron di Boccaccio, “Lisabetta da Messina”).

Se Propp ha fatto valere l’esigenza di conoscere l’oggetto fiaba in sé attraverso la morfologia individuando un certo numero di funzioni e le relazioni, la scuola di Bachtin analizza la struttura linguistica dei testi letterari, soffermandosi sulla loro natura ideologica in quanto segni sociali opponendosi quindi a linguisti come Saussure e alla  sua concezione astratta e sincronica della lingua. Secondo Bachtin poi tutto è dialogico, vista la pluralità dei significati.

 

Caratteristiche della critica contemporanea

La critica contemporanea si è orientata molto verso l’analisi filologica per comprendere il percorso storico-creativo dell’opera di cui i massimi rappresentanti sono: Salvatore Battaglia, Vittore Branca, Lanfranco Caretti, Dante Isella, Giorgio Petrocchi; e verso quella linguistica rinnovata da Saussure tramite il metodo e il concetto di lingua come sistema e da Jakobson tramite la funzione  poetica del linguaggio. Tuttavia non si può analizzare la critica contemporanea senza partire dagli elementi del pensiero di Benedetto Croce scaturiti nel Novecento per cui l’arte è autonoma ed è impossibile concepire la natura di un’opera al di fuori di essa, concetto che se da una parte ha eliminato i giudizi morali e modelli letterari fissi, avendo fortuna presso i post-crociani, dall’altra non ha costruito un metodo preciso.

Si avverte l’esigenza di una critica idealista per dare concretezza alle teorie crociane  che si incontrano con il marxismo per opera di Antonio Gramsci che rifiuta il concetto di autonomia dell’arte e  non distinguendo più tra teoria e prassi; e di Marx e Engels i quali concepiscono l’arte come una forma di ideologia.

Molta influenza ha poi la scuola del “formalismo russo” che vede tra i suoi massimi esponenti Vladimir Propp con la sua “Morfologia della fiaba”dove viene attuata per la prima volta la divisione tra fabula ed intreccio.

Durante il periodo staliniano nasce “il realismo socialista” di Zdanov che promuove i valori del comunismo ma contro i quali si scaglia il filosofo ungherese Luckàcs che rifacendosi allo storicismo romantico elabora il “realismo critico”

Alberto Asor Rosa invece sottolinea il carattere provinciale e piccolo-borghese della letteratura italiana tra Ottocento e Novecento: ma di certo nomi come Verga, Montale, Gadda non sfigurano affianco ai Kafka, Proust o Musil.

Particolare attenzione merita  la critica semiologica attuata da Eco, da Peirce e da Bachtin, da Segre contro lo strutturalismo formalistico per un’analisi delle varie forme dei codici letterari unita allo studio sociologico e antropologico.

Un discorso a parte merita il critico Giacomo Debenedetti che con il suo metodo/non metodo spaziando dalla psicoanalisi alla sociologia, dall’arte alla fisica, dall’antropologia alla musica e al cinema, rappresenta un caso molto particolare, da riscoprire nel panorama della critica letteraria.

 

 

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