Jim Crace, intimo e austero affabulatore dello straniamento individuale e collettivo contemporaneo

Jim Crace è tra i più brillanti scrittori contemporanei del panorama letterario inglese. Nato il 1 Marzo 1946 a Hertfordshire in Inghilterra, dopo la laura triennale in letteratura inglese, si arruola nel Voluntary Service Overseas (VSO) e comincia a lavorare come assistente televisivo in Sudan. Nonostante la carriera giornalistica già avviata, Crace si lascia ammaliare dalla narrativa pubblicando nel 1974 sulla rivista letteraria New Review il suo primo racconto “Annie, California Plates”. La sua vita è divisa tra la mansione di giornalista freelance e lo scrittore di racconti. Tutto cambia quando nel 1986 esce il suo primo libro Continent: sono sette storie interconnesse ambientate in un immaginario settimo continente. Il libro raccoglie pieni consensi e viene insignito da prestigiosi premi come il Whitbread First Novel Award, il Guardian Fiction Prize e il David Higham Prize. Il successo riscosso fu così grande che Crace rinuncia al giornalismo per dedicarsi completamente alla scrittura.

Nel 1988 Crace pubblica il suo secondo scritto The Gift of Stones: ambientato prima dell’avvento dell’età del bronzo, racconta di una comunità di operai che abita in un villaggio nei pressi del mare che ben presto deve fare i conti con l’avvento di una nuova era.
Jim Crace comincia ad acquisire una certa notorietà imponendosi prepotentemente nel panorama letterario di quegli anni. La fama lo invade e il romanziere di pronta risposta continua a prolificare la sua produzione letteraria.

Nel 1992 esce Arcadia, il suo terzo libro ambientato in una immaginaria città britannica nel futuro: Arcadia è un centro commerciale che Victor, il giovane protagonista vuole erigere nello spazio occupato dal mercato cittadino. Ad opporsi ci sono però i cittadini che non sembrano disposti a sacrificare il cuore della loro città.

Due anni dopo Crace pubblica Signals of Distress, ambientato in Inghilterra nel 1836,il libro parla del naufragio di un veliero al culmine della rivoluzione industriale. Anche questa opera vince Winifred Holtby Memorial Prize.

La penna di Crace è inaresstabile e nel 1997 arriva Quarantine: rievoca un episodio del Nuovo Testamento, i quaranta giorni di Gesù nel deserto, primo testo tradotto in italiano edito da Guada nel 1998. Con questo scritto approda in Italia. La casa editrice cavalca questa positiva onda di popolarità continuando a pubblicare altri suoi libri: La dispensa del Diavolo nel 2002 (The Devil’s Larder, 2001); Una Storia naturale dell’amore nel 2004 (Being dead,1999); La città dei baci nel 2006 (Six,2003); Tutto ciò che abbiamo amato nel 2010 (The Pesthouse,2007) ed infine il lirico Il Raccolto nel 2016 (Harvest, 2013), insignito del James Tait Black Memorial Prize e dell’International IMPAC Dublin Literary Award.
I suoi romanzi più recenti sono On Heat del 2008, All That Follows del 2010 e The Melody del 2018.

Una storia Naturale dell’amore, è senza dubbio uno dei romanzi più celebri di Crace ma anche quello più singolare e crudo. Il romanzo racconta di una coppia di due coniugi: sono passati trent’anni da quando Joseph e Celice si incontrarono come studenti di zoologia in gita alla baia di Baritone Bay. Joseph, desideroso di ritrovare il sito tra le dune della loro prima volta, guida Celice in una nostalgica visita di ritorno alla Baia, ma la coppia viene uccisa da un ladro di passaggio. Nel momento della morte, Joseph stende delicatamente la mano sulla gamba di Celice. Scoperti per giorni, i corpi diventano preda di granchi di sabbia, mosche e gabbiani.

Il romanzo si snoda in quattro fili narrativi: il primo racconta le avventure dei coniugi dalla partenza per Baritone fino all’omicidio; il secondo, gli inizi della loro storia d’amore; il terzo descrive minuziosamente lo stato di decomposizione nel susseguirsi dei giorni infine il quarto racconta gli sforzi di Syl, figlia dei coniugi, per ritrovare i genitori scomparsi.
I quattro filoni si interrompono costantemente l’un l’altro, eppure il romanzo nel suo complesso è estremamente efficace. Nonostante le premesse tragiche il finale è molto tenero: il gesto di Joseph, che appena prima di morire appoggia la sua mano sulla gamba di Celice, è racchiusa l’essenza dell’amore che sopravvive alla morte. L’amore conferisce ai coniugi una consolazione conferendogli un’eterna umanità.

Jim Crace e la sua Craceland

Realismo destabilizzante o fabulismo inquietante sono le diciture usate dai critici per definire lo stile di Crace. L’autore lo chiama semplicemente “Craceland”, godendo della stima sia ai piani alti, tra critici e giornalisti, sia tra il pubblico. Questo perché il suo stile è unico, senza precedenti: lo scrittore, attraverso i suoi romanzi punta a ringiovanire generi del passato come il romanzo distopico, il romanzo di ricerca, il bestiario medievale e il fabliaux, inserendo una forte componente apocalittica, visionaria ed emotiva. Crace, attraverso l’evocazione di mondi immaginari, tratta di temi universali quali la vita, la morte e la paura per il futuro.
Il New York Times lo ha descritto come “uno scrittore magistrale, perfetto per i nostri tempi incerti e spietati”, l’unica certezza però è che i suoi libri sono sorprendentemente destabilizzanti per chi li legge, preso dal potere ritmico della sua prosa, costruita su vivide immagini fisiche e brillanti atmosfere e scaturite dallo spirito elegiaco e straniante del tagliente e spesso paradossale autore inglese che ama sfidare i suoi lettori.

“Dalla corsia, guardando verso il profilo dei salici sul ruscello, l’estremità superiore del nostro prato d’orzo, irto e tremante nella brezza, ci ha mostrato finalmente le sue ocre e i suoi cadmi, le sue ambre e i suoi cromi. che per così tanto tempo in questa lenta estate erano deboli e umidi, diventavano simili a noci e zuccheri e promettevano birre e birre invernali”. (da “Il raccolto)

 

Fonte: https://literature.britishcouncil.org/writer/jim-crace

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