“Il Procuratore muore”. Cronaca e tinte noir nel romanzo di Luisa Valenzuela

Il Procuratore muore, romanzo scritto da Luisa Valenzuela, giornalista e scrittrice molto nota in Argentina, allude a un episodio di cronaca che la scrittrice non cita direttamente, ma che è di dominio pubblico e che ha sconvolto il Paese: il presunto suicidio di Alberto Nisman, celebre oppositore di Cristina Fernández de Kirchner, attuale presidentessa, accusata di aver coperto il coinvolgimento dell’Iran nell’attentato contro un centro ebraico a Buenos Aires nel 1994.

L’ex commissario della Polizia Federale, Santiago Masachesi, costretto a un pensionamento anticipato, perché in disaccordo con la versione ufficiale del delitto, rivede dopo anni il suo primo amore con cui condivideva la passione per le letture poliziesche, e ora tra deduzioni e intuizioni può ricostruire liberamente l’omicidio del procuratore. Ma siamo di fronte a un giallo molto particolare, perché quasi a fare da contrappunto al delitto reale, l’autrice crea una finzione nella finzione: un’indagine molto personale, che richiama le atmosfere del realismo magico, così caro agli scrittori sudamericani, in cui la Valenzuela ci prende per mano per mostrarci come si arriva a dar vita a personaggi e trame, in sostanza come nasce l’ispirazione propria a ogni scrittore.

Il procuratore muore: trama e contenuti

Il procuratore muore è un romanzo giallo che racconta la storia di un commissario andato in pensione anticipata, in seguito a un caso scottante. Dal titolo di questo intrigante noir si può comprendere già qualcosa: si tratta di una storia capace di trascinare il lettore verso l’ignoto, in un’atmosfera pregna di suspense.

Il romanzo è ambientato in Argentina durante la seconda ondata della pandemia e narra la ricostruzione da parte del colto commissario Santiago Alberto Masachesi, di un caso che gli è stato tolto, un caso che riguarda la morte misteriosa di un procuratore il quale si incrocia con la storia del manoscritto della donna amata in gioventù, Teldi. Ci si trova quindi di fronte a un –romanzo nel romanzo-, una fiction nella fiction.

Il dossier sul procuratore ha inizio nell’anno 2017 nell’appartamento dell’uomo sito al numero 13 di Puerto Madero e la sua morte prende le pieghe di un caso che coinvolge le alte sfere del governo, e ammantano l’omicidio di una morte teatrale.

“Quando la Gendarmeria inscenò una farsa per dimostrare contro ogni evidenza che il famoso procuratore era stato assassinato.[…] Dato che la stanza da bagno in cui due anni prima era stato ritrovato il corpo del tristemente noto procuratore non era quella del crimine, la Gendarmeria allestì in un capannone un modello identico a grandezza naturale, con le tracce di sangue e tutti gli schizzi presenti nelle foto”.

Come tutti i romanzi gialli che si rispettino, si parte dalla biografia del personaggio, prima di addentrarsi nel vivo di un caso d’omicidio. Ma niente è come che sembra, e le capacità deduttive del commissario Santiago, lo portano ad una bruciante e sconvolgente soluzione, a cui nessuno presta ascolto. Tuttavia Santiago ha dalle sua parte, in questo caso particolare, l’amore della sua gioventù, Teldi, con la quale si avventura nelle mille congetture e ipotesi sul misterioso caso, già risolto per la popolazione argentina.

Nel luogo chiamato Azul, posto dal cielo blu come l’uniforme dell’ormai ex commissario Santi, la nebbia attorno al misterioso caso del procuratore morto,si dirada. Il commissario Masachesi, tipo stravagante, con la passione per i musei e per i romanzi gialli, convive con il fantasma del padre ancora da affrontare, insomma, un complesso di Edipo da manuale per lui. Santi per la sua personalità e per la sua fervida immaginazione viene deriso dai suoi stessi colleghi di polizia, ma sopporta con coraggio il peso della derisione e va per la sua strada.

L’autrice porta a spasso il suo commissario, lo usa come espediente per risolvere questo caso straordinario dalle tinte da delitto perfetto ma, come e si è detto, nulla è ciò che sembra.

Il mistero della camera gialla si conclude in quell’hotel nel luogo Azul e tra mille congetture e ipotesi, si ritorna al punto di partenza e il commissario assieme alla sua Teldi, con la quale condivideva la passione per i libri, può coronare il suo sogno d’amore:

“Il piccolo nido d’amore è contaminato dai complottisti, anche se nessuno sa cosa stiano tramando”.

L’intenso e breve romanzo è fitto di dialoghi e di momenti di introspezione psicologica da parte del commissario, che scavando dentro di se, cerca di confrontarsi con la figura del padre.

Luisa Valenzuela cattura il lettore sin dalle prime righe con una storia originale e non prevedibile, puntando molto su un personaggio ben tratteggiato come Santi e con un principio di storia d’amore con Teldi. Santiago è un personaggio “fedele a se stesso”, fuori dagli schemi e colto, non è il classico commissario solitario che non condivide le teorie, anzi, condivide le sue teorie con i suoi colleghi ma anziché venire preso sul serio, viene declassato con una pensione anticipata.

Il procuratore muore possiede le pieghe di una storia che richiama le tinte del realismo magico, un genere caro agli scrittori sudamericani, uno su tutto, Gabriel Garcia Marquez.

Biografia dell’autrice

Luisa Valenzuela (Buenos Aires) è scrittrice e giornalista. Nella sua lunga carriera ha pubblicato più di trenta libri fra romanzi, raccolte di racconti e saggi. Ha avuto un importante ruolo in ambito letterario impartendo corsi, laboratori, seminari e conferenze nei suoi molteplici viaggi. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, fra i quali il Dottorato Honoris Causa dell’Università di Knox (Illinois) e dell’Universidad Nacional de San Martín (Provincia di Buenos Aires), la Medaglia Machado de Assis dell’Academia Brasileira de Letras. Le sue opere sono state tradotte in più di diciassette lingue, vasta è la bibliografia di monografie dedicate alla sua produzione.

Dopo avere trascorso dieci anni a New York, dal 1989 risiede a Buenos Aires, città che l’ha nominata Personaggio Illustre delle Lettere e Cittadina Illustre.

La casa editrice

Edizioni le Assassine è un piccolo gruppo di appassionate/i di letteratura gialla che da anni lavora nel mondo editoriale, occupandosi di scelta dei libri, traduzioni, editing e comunicazione. Vuole dare espressione alla passione per questo genere letterario, proponendolo nelle sue svariate sfaccettature – giallo a suspence, deduttivo, hard boiled, psicologico, noir –, negli stili più diversi – fantasiosi, essenziali, sofisticati, semplici, d’antan – e nei contesti geografici più vari. Marocco, Malesia, Canada, Botswana, Algeria sono solo un piccolo esempio dei Paesi da cui vengono le scrittrici.

Nella collana Oltreconfine, Edizioni Le Assassine propone le scrittrici di oggi che abitano i vari angoli della Terra, unite dalla stessa passione per la letteratura gialla, ma diverse nelle loro interpretazioni, con la collana Vintage l’intento è invece di andare alla scoperta di scrittrici che a vario titolo nella storia sono state pioniere della letteratura gialla. Le loro opere sono proposte in chiave moderna, senza cancellare del tutto la polvere del tempo che le rende più preziose.

Pensieri sparsi su Borges, di Davide Morelli

Borges è stato senza dubbio uno dei più grandi scrittori del Novecento. La sua cultura è stata enciclopedica. La sua memoria è stata prodigiosa. Forse talvolta Borges ha avuto paura di essere come il suo Funes. Ricordo che per il Funes la memoria sprovvista di filtro ed incapace di oblio era diventata “un deposito di rifiuti” e aveva reso il personaggio sovraccarico di letture e di sensazioni al punto da non riuscire più a pensare. Forse questa era una sua ossessione.

Di sicuro sappiamo di altre sue ossessioni. Ad esempio odiava il calcio perché aveva paura delle folle. Aveva l’ossessione degli specchi perché moltiplicavano l’uomo e la copula. A qualcuno talvolta Borges potrebbe apparire come un reazionario. Ma se è vero che non si impegnò mai in politica, è altrettanto vero che fu cieco per buona parte della sua vita. Infatti perse la vista sia perché affetto da una grave forma di miopia, sia perché leggeva forsennatamente. Va ricordato anche che per Borges il miglior assetto politico e sociale era quello che conciliava il massimo della libertà individuale con un minimo di governo. Non un reazionario quindi, ma un intellettuale disincantato.

I suoi scritti sono colmi di miti, metafore, paradossi. La sua è una letteratura fantastica. D’altronde la letteratura nell’antichità era sempre fantastica: era innanzitutto cosmogonia e mitologia. I maestri di Borges sono stati Dante, Kafka, Pascal, Whitman, Cervantes, Keats, Valery.

Borges è stato anche un profondo conoscitore della letteratura orientale, tanto è vero che nei suoi saggi fa più volte riferimento alle “Mille e una notte”. È grazie alla vastità delle sue letture che creerà il racconto “La ricerca di Averroè”, in cui narra di questo medico arabo che chiuso nell’ambito dell’Islam cerca di tradurre le parole “commedia” e “tragedia” da uno scritto di Aristotele.

Lo scrittore argentino in poche pagine mette in evidenza magistralmente i limiti gnoseologici della traduzione perché Averroè lavora vanamente e non conosce minimamente il contesto storico e culturale dell’antica Grecia. Lo scrittore sudamericano non disdegna neanche la filosofia. Infatti da Berkeley prenderà a prestito l’idea di un Dio che sogna il mondo, mentre da Platone riprenderà la concezione del tempo come “immagine mobile dell’eternità”.

Inoltre nella sua raccolta di saggi “Discussioni” illustrerà in modo illuminante uno dei cardini della filosofia di Nietzsche: l’eterno ritorno. Si veda a questo proposito il tempo circolare, secondo il quale l’universo sarebbe composto da quanti d’energia illimitati per la mente umana ma non infiniti. Una volta esauritesi tutte le combinazioni tra i quanti di energia si ripeterebbero gli eventi. Questa idea è alla base dell’arte combinatoria di Borges. Una delle sue tematiche di fondo infatti è che la casistica del mondo è vasta ma limitata. Ecco spiegato perché nei suoi racconti fantastici esistono personaggi che a distanza di secoli commettono le stesse azioni o creano le stesse opere. Da qui deriva la concezione borgesiana secondo cui “nessuno è qualcuno e ciascuno è tutti”, espressa nel suo racconto “L’immortale” nell’ “Aleph”. Partendo quindi dal presupposto che siamo sempre gli stessi e viviamo svariate vite possiamo essere in tempi diversi santi e assassini, scrittori e analfabeti, guerrieri o codardi. Perderemmo quindi la nostra individualità. Perderemmo i meriti e i demeriti della singola esistenza.

La biblioteca, la sfera e il labirinto sono i simboli più importanti dell’opera narrativa di Borges.

Per quanto riguarda la produzione poetica i simboli che spiccano sono la rosa e la tigre. In “Finzioni” la biblioteca di Babele è “una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono e la cui circonferenza è inaccessibile”. I bibliotecari che vivono tutta la vita in un angolo della biblioteca sono alla perenne ricerca del “libro totale”, ovvero dell’opera che può racchiudere il significato ultimo. Borges ci dice che i bibliotecari alla fine si scoraggiano perché nessuno riesce a trovarlo.

Trovare quel libro significherebbe carpire il segreto dell’esistenza. Ma lo scrittore ci fa sapere che probabilmente la razza umana si estinguerà e la biblioteca sopravviverà ai suoi lettori. La biblioteca è quindi il simbolo della conoscenza universale. Veniamo invece alla sfera, ovvero all’Aleph. Questo ultimo è “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”. La sfera quindi è per Borges il luogo che permette all’uomo di travalicare gli angusti limiti della propria percezione visiva e della propria corporeità.

Se la biblioteca è simbolo della conoscenza, invece la sfera è simbolo dell’esperienza, a mio modesto avviso. Per Borges il libro è sempre stato un labirinto di simboli: un’opera aperta in cui il lettore può scegliere tra diverse alternative. Se il labirinto però sembra descrivere il groviglio inestricabile dell’esistenza umana dobbiamo riferire che è per Borges un simbolo di vita e non di morte. Infatti nell’ “Aleph”, più esattamente nel racconto “I due re e i due labirinti”, due sovrani si sfidano tra loro.

Il primo rinchiude il secondo nel labirinto, ma questo ultimo riesce a uscirvi. Il re fuggito dal labirinto invece fa prigioniero l’altro e lo mette nel deserto in cui morirà di fame. Borges in definitiva ci insegna che l’uomo senza l’attività simbolica sarebbe niente. In fondo per gli antropologi l’uomo è giunto alla civiltà quando è iniziato il culto dei morti: riti e pratiche che senza capacità simboliche non sarebbero esistite. Borges ci ricorda anche che la vita umana è una vita in profondità.

 

Di Davide Morelli

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