Julia Kristeva, tra semiologia e psicoanalisi

Julia Kristeva (Sliven, Sofia- 24 giugno 1941), è una semiologa e psicanalista bulgara naturalizzata francese, che ha teorizzato e sviluppato il concetto di intertestualità e costruito un’interessante relazione tra semiologia e psicoanalisi. Ha studiato all’università di Sofia e dal 1966 all’École pratique des hautes études a Parigi, dove ha conosciuto personalità come Barthes, Goldmann e Sollers, Derrida e Foucault. La Kristeva, acquisita la cattedra di linguistica all’Université Paris VII, diviene  una delle figure di spicco nella rivista d’avanguardia Tel Quel.

Alla critica tradizionale, Julia Kristeva ha affiancato il progetto di una scienza della letteratura fondata sull’apporto della linguistica, della semiotica, della psicoanalisi e inizialmente anche del marxismo. Uno dei suoi contributi teorici più importanti è l’elaborazione del concetto di intertestualità (derivato da M. Bachtin) secondo cui il testo non è qualcosa di isolato, ma si inscrive in una rete di relazioni con altri testi non solo dello stesso autore ma anche di altri autori e con modelli letterari coevi o precedenti.
I suoi studi e i suoi primi saggi si concentrano sulla fondazione di un nuovo ramo della semiologia definita “semanalisi” profondamente analizzata in Séméiôtiké. Ricerche per una semanalisi del 1967 Si è occupata di semiologia della pittura e della questione femminile. Parallelamente all’attività di saggista, a partire dagli anni Novanta si è dedicata anche al romanzo.

Il lavoro della Kristeva è cominciato dunque dalla semiologia analizzando e occupandosi di dialogo, verosimiglianza, ideologemi, moda e letteratura. Il suo interesse si è rivolto ad autori come Roussel, Bataille, Beckett (con Le père, l’amour, l’exile).
Un’importante monografia La rivoluzione del linguaggio poetico del 1974 è dedicata al poeta Stéphane Mallarmé. Pouvoirs de l’horreur (1980), pubblicato in Italia col titolo Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione analizza la produzione dell’autrice Céline affiancando alla critica letteraria la psicoanalisi. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta l’attenzione della critica si sposta sull’amore e sulla depressione, sull’idea di esilio e sul problema della fede. Da questa ricerca nascono testi come Sole nero. Depressione e melanconia, del 1986, Stranieri a sé stessi, di due anni dopo; Storie d’amore (1983) e In principio era l’amore. Psicoanalisi e fede del 1985. Il romanzo semi-autobiografico I samurai del 1990 ricostruisce i suoi anni d’impegno politico maoista e gli incontri con gli intellettuali dell’epoca avuti al suo arrivo in Francia. In coda a questa ricerca figurano Una donna decapitata (1996), Bisogno di credere. Un punto di vista laico e Santa Teresa d’Ávila: l’estasi come un romanzo del 2008.

Nel 1979 Julia Kristeva diventa psicanalista guidata dal grande psicoanalista francese Jacques Lacan. A questo punto la sua ricerca si estende al “genio femminile” con studi che culminano nei libri su tre figure femminili del secolo precedente: Hannah Arendt, La vita le parole del 1999, Melanie Klein. La madre la follia del 2000 e Colette. Vita d’una donna del 2002.
Attualmente la Kristeva insegna Semiologia alla State University of New York e all’Université Paris VII Denis Diderot. Dirige il “Centro Roland Barthes”. Per le sue ricerche sull’interazione tra lingua, cultura e letteratura e per il suo impegno nelle scienze sociali e umane nel 2004 ha ricevuto il Premio Holberg, importante riconoscimento istituito dal governo norvegese.

Intellettuale poliedrica Julia Kristeva rappresenta un importante punto di riferimento per la cultura contemporanea soprattutto se si affrontano tematiche spinose e di scottante attualità come la fede, la religione, e difatti la Kristeva parla di fede da un punto di vista laico: L’uomo ha bisogno di credere nel fatto che la vita collettiva sia migliore della guerra, di tutti contro tutti, dell’individualismo. La narrazione del cristianesimo crea e riproduce il collante sociale e culturale di una società che guarda, tutta insieme, al futuro. Nessuna pretesa superiorità per una chiesa, ma l’ammissione che il cristianesimo è questa narrazione complessa in grado di dare prospettiva alla società occidentale, alle sue tante culture e mitologie differenti. Il Dio che soffre e muore in croce rappresenta la forza e contemporaneamente l’umana debolezza che fa il senso d’umanità.

Secondo la critica la nostra eredità culturale è doppia. Da un lato il cristianesimo, dall’altro l’illuminismo, rottura irreversibile della civilizzazione europea. Nel momento in cui la nozione di peccato perde senso per la parte secolarizzata della popolazione, resta la grande preoccupazione sul significato dell’etica laica. Dunque quali domande dobbiamo porci oggi? E’ giusto insegnare una morale laica o orientarsi piuttosto verso un insegnamento laico della morale? Sarebbe opportuno riconoscere la specificità della vita interiore di ciascuno di noi e quindi trovare la versione personalizzata delle regole senza preconfezionarle? E che cos’è la trasgressione, la violazione della norma, il peccato? Davvero il concetto di limite ca scomparendo? La Kristeva non ne è sicura e ritiene che ci sia bisogno di un’autorità che ponga dei limiti, ma non per ottemperare ai voleri di una chiesa, ma per una necessità psichica, credendo fermamente della forza e nel potere del connubio tra tradizione giudaico-cristiana e illuminismo al fine di dare vita d un nuovo umanesimo che si faccia largo tra il tradizionalismo religioso e il nichilismo.

Addio a Cesare Segre, semiologo di fama internazionale

Si  è spento il 16 marzo scorso a Milano il grande critico e filologo  italiano Cesare Segre, curatore della celebre edizione critica de “L’Orlando Furioso”.

Classe 1928,  il critico letterario, saggista, semiologo e filologo Cesare Segre, era  nato a Verzuolo (Cuneo) da una benestante famiglia  israelitica,  ha vissuto e ha studiato a Torino, dove si è laureato nel 1950. Ha attraversato gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale e delle persecuzioni razziali.  Libero docente di filologia romanza dal 1954, ha poi insegnato presso le Università di Trieste e di Pavia, dove, più tardi, è diventato ordinario della materia. In questo periodo cura l’edizione critica di molti capolavori della letteratura tra i quali “Orlando Furioso secondo l’edizione del 1532 con le varianti delle edizioni del 1516 e 1521”, “La chanson de Roland” , e le “Satire di Ariosto”. Accademico della Crusca, Segre è stato anche visiting professor presso le Università di Manchester, Rio de Janeiro, Harvard,Berkeley,Princeton. Ha collaborato a numerose riviste: tra le quali, <<Studi di filologia italiana>>, <<Cultura neolatina>>, <<L’Approdo letterario>>; è stato direttore, con  D’Arco Silvio Avalle  Dante Isella e Maria Corti, di <<Strumenti critici>>, condirettore di <<Medioevo romanzo>> e della collana <<Critica e filologia>> dell’editore Feltrinelli.

Inizialmente  Segre  si  era dedicato  alla critica stilistica  seguendo le orme di Benvenuto Terracini, per poi imporsi come uno dei più autorevoli e brillanti esponenti italiani dello strutturalismo. La sua produzione è molto vasta, frutto di un’ intensa attività di studio: “I segni e la critica”, “Le strutture e il tempo”, “Semiotica filologica”, “Testo e modelli culturali”,  “Avviamento all’analisi del testo letterario”, “Fuori del mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà” , “Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento”, “Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?”, “Per curiosità. Una specie di autobiografia”, “Ritorno alla critica”, “La pelle di San Bartolomeo”, “Discorso e tempo dell’arte”, “Tempo di bilanci. La fine del Novecento” . Proprio poche settimane fa Mondadori gli aveva dedicato un Meridiano, “Opera critica” che raccoglie parte della produzione del critico.

Anche la sua vita privata è  stata segnata dalla presenza della filologia: sposò infatti Maria Luisa Meneghetti, docente di filologia romanza proprio come lui.

 Cesare Segre è stato un convinto sostenitore dell’importanza di una migliore conoscenza della lingua italiana, e ha considerato inutili tutte quelle campagne didivulgazione dell’inglese, se non si conosce bene prima la lingua madre.

Un esploratore che si è addentrato nei complessi meccanismi della lingua quindi, che si è sempre chiesto dove sarebbe andata a finire la critica letteraria nel saggio “Notizie dalla crisi.Dove va la critica letteraria?” che rivela tutta l’attenzione del critico per l’oggetto in relazione agli insiemi testuali, partendo da maestri come Foucault, Greimas, Barthes. Un sottile senso della contraddizione (e come non potrebbe essere altrimenti) e rigore cartesiano contraddistinguono questo mirabile testo.

Per Segre la filologia è uno strumento validissimo per comprendere la realtà nella sua totalità, totalità che oggi risulta meno cercata e ambita dalla critica. Illuminanti sono state anche le riflessioni del critico piemontese sulle corrispondenze biografiche e di sensibilità profonda tra Giacomo Debenedetti e Marcel  Proust, come dimostra anche un articolo del critico su <<Il Corriere della Sera>>, dal titolo “Debenedetti: il mio amico Marcel Proust”.

Cesare Segre, sottile medievista ed appassionato novecentista (leggeva con piacere Primo Levi, Sereni e Gadda), lascia un grande vuoto nella cultura italiana, la sua ironia ed eleganza stilistica ne hanno fatto un teorico di primissimo piano nel panorama critico letterario internazionale; fulminante e veritiero il suo giudizio riguardo al linguaggio contemporaneo usato soprattutto dai politici:

“La nostra classe politica, che in tempi lontani annoverava ottimi parlatori e oratori, tende sempre più ad abbassare il registro, perché pensa di conquistare più facilmente il consenso ponendosi a un livello meno elevato. È la tentazione, strisciante, del populismo. Naturalmente questo implica il degrado anche delle argomentazioni, perché, ai livelli alti, il linguaggio è molto più ricco e duttile”.

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