Silvio Berlusconi. L’intruso della politica che voleva piacere a tutti

A poche settimane dalla morte di Silvio Berlusconi, sono ancora frequenti gli attacchi al Cavaliere da parte di giornali che sembrano confermare la loro vocazione a riviste di gossip giudiziario e sfogatoi di livore personale. Il lietmotiv è: “E’ stato santificato, non è stato raccontato chi fosse davvero!”, come se in tutti questi anni non si sia parlato dei guai giudiziari di Berlusconi, del suo privato, delle sue amicizie, del conflitto di interessi, delle leggi ad personam; come se qualcuno conoscesse davvero a fondo la vita e qiò che pensava l’uomo, l’imprenditore e il politico più influente, più discusso e più importante dell’Italia degli ultimi decenni. Piaccia o meno con la morte di Silvio Berlusconi se n’è andato un pezzo di storia italiana e ricordare ciò che ha fatto come imprenditore, nella televisione, nell’edilizia e nel calcio non significa farne un ritratto agiografico.

Berlusconi era divisivo; certo ma è la politica ad essere divisiva. Ma perché era ed è ancora odiato e amato? Chi lo odia e chi lo ama? Chi lo ama spesso sostiene che chi lo odia lo fa per invidia e chi lo odio sostiene che chi lo ama è perché fa parte di un pezzo poco onesto del Paese. Troppo semplicistico.

Silvio Berlusconi è stato, pur senza saperlo e volerlo, il primo vero neo-reazionario d’Italia più che un liberale: nella diatriba che a destra vede liberali, conservatori e moderati contendersi la paternità ideologica di Berlusconi e nella sinistra progressista, che non affronta la questione virando su altre dimensioni e affermando che è stato una rovina per l’Italia e un pericolo per la democrazia, il neo-reazionarismo di Berlusconi potrebbe costituire un elemento di novità nel dibattito storico-politico, anche tra le vedovelle antiberlusconiane che hanno perso il loro nemico giurato.

L’ex premier è stato un intruso nella politica italiana, uno che ha scombussolato i piani del “come doveva andare” dopo la presunta rivoluzione giudiziaria di Mani pulite: era esito scontato che, morta la Dc, esiliato Craxi, a dominare sarebbe stata la gioiosa macchina da guerra degli ex comunisti e cattolici democratici. E l’estroso imprenditore milanese ha continuato per circa trent’anni a fare grandi trambusti e grandi cose, mischiando il personale con il politico.

Berlusconi ha concepito la democrazia come un metodo di esercizio del potere. In Occidente i partiti, le burocrazie, la magistratura e i media fanno leva sulle infrastrutture politiche per mantenere ben saldo il loro potere e controllo, vogliono essere tutto; in Italia, però, questa spinta propulsiva ecumenica ha dovuto fare i conti con quella accentratrice di Silvio Berlusconi, un self-made man che ha trasferito il proprio atteggiamento dall’imprenditoria al campo elettorale, proponendo la sua persona, non il suo partito.

Berlusconi, contro il quale si sono celebrati 36 processi, quattro dei quali sono ancora in corso e il cui conto finale segna 11 sentenze di assoluzione, è stato condannato una sola volta per frode fiscale nel processo Mediaset, per la quale condanna il Tribunale civile di Milano ha parlato di un piano politico, smontando la sentenza della Cassazione che portò nel 2013 all’unica condanna di Berlusconi.

È stato vituperato in tutti i modi, gli hanno spaccato persino un duomo in faccia, a Milano, e lui ha esibito il suo volto sanguinante salendo sul predellino dell’auto, per poi continuare con le sue gaffe, barzellette e performance da showman. Ha subito attacchi imprenditoriali di ogni tipo, assalti finanziari, ha intrapreso guerre difensive persino contro: Merkel e Sarkozy ridacchianti, la troika, le agenzie di rating, i giornali. Ma Berlusconi non ha ricambiato l’odio, non è mai sembrato servasse rancore ai suoi detrattori.

I suoi governi non hanno lasciato opere memorabili ma nemmeno danni irreparabili, non è stato un grande statista, ma nemmeno il Caimano: non ha fatto la rivoluzione liberale che aveva annunciato, ha per primo lanciato in Italia il populismo antipolitico, e da lui derivano il grillismo, e l’opportunismo piacionesco di Giuseppe Conte che per differenziarsi più nettamente dalla sinistra, non è andato al funerale del Cavaliere; le sue tv hanno veicolato consumi, banalità, superficialità, e americanizzazione.

È interessante notare quanto più Berlusconi venisse aggredito da coloro che vogliono essere tutto, la sua presenza diventasse più evidente, in virtù dell’insofferenza provata da molti italiani nei confronti degli apparati del potere, il comune cittadino non poteva fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato di lui, se addirittura il multimiliardario di Arcore doveva faticosamente resistere al peso degli apparati a lui ostili. A queste persone il Berlusconi ha offerto un’alternativa concreta, la sua prospettata rivoluzione liberale una via d’uscita dai tentacoli della chiesa degli intellettuali progressisti, la Cattedrale come la chiamava Nick Land, un sistema diffuso di distribuzione del potere da parte di un ristretto gruppo di nodi istituzionali che si collegano tra di loro, trascendendo i normali limiti della democrazia. Questo, e non la propaganda delle sue TV come erroneamente pensano molti, spiega la carriera politica di Silvio Berlusconi, il quale, un po’ grande Gatsby che però vuole conquistare gli italiani e non la Daisy di turno, un po’interprete dell’anima popolare e cristiana italiana, non ha voluto correggere i suoi connazionali, sebbene la sua televisione abbia trasformato questo pensiero in mentalità comune. Eterogenesi dei fini.

Berlusconi era odiato perché ha rotto le uova nel paniere della sinistra comunista e degli aspiranti repubblicani togati, e perché è più facile credere che un uomo ricco, vincente e di successo, sia per forza un delinquente. Berlusconi era odiato da coloro che ritengono che la Magistratura sia un bene supremo e infallibile, dalle élite sprezzanti del popolo e di chi si realizza da solo. Berlusconi era amato dai piccoli e medi imprenditori, non dall’alta finanza, è stato votato dagli operai, dai pensionati, dai poveri. Berlusconi ha vinto più volte le elezioni perché molti italiani si sono rispecchiati in lui, combattente contro l’espansione infinita dello Stato, cui è legato il concetto di democrazia.

Il fenomeno Berlusconi è certamente anomalo e complesso e non può essere ridotto a un filmetto pornografico o alle cronache giudiziarie, né si può asserire che chi ha votato negli anni passati Berlusconi sia un malfattore, un evasore, un affossatore della cultura! Tipico di molti italiani che si sentono lord inglesi illuminati, esterofili, onestissimi, nati per sbaglio nella penisola dei populisti e degli ignoranti da educare.

Domanda esistenziale: il desiderio di Silvio Berlusconi di piacere a tutti era un sentimento puro o soprattutto una sorta di sublimazione del proprio successo e della propria fama? Era lo scopo del raggiungimento della sua ricchezza e potere? Non è insito nella natura umana sentirsi sempre e costantemente i capofila di un’idea, di una visione, e di esseri stimati e amati, perché no, invidiati, per ottenere l’immortalità?

 

 

 

“Gomorra”, il best seller di Roberto Saviano

“Corleone, in confronto a Casal di Principe, è una città progettata da Walt Disney.” Il romanzo “Gomorra” (2o10) di Roberto Saviano, ormai arcinoto, ha venduto circa due milioni e 250.000 copie solo in Italia. Nel mondo circa 10 milioni di copie sono state acquistate per l’opera tradotta in 52 paesi che entra nella classifica dei best seller in Germania dove è saltata in cima alla classifica del settimanale Der Spiegel.

Un libro italiano di enorme successo, in cima alle classifiche, ma un libro italiano che purtroppo parla di criminalità, di violenza, di morte; lo stesso Saviano dichiarò che all’estero avevano una percezione particolare di questo triste fenomeno, considerandolo un qualcosa di “figo”, motivo per il quale il romanzo ha avuto tale successo internazionale.

Roberto Saviano porta il mondo nel regno della camorra. Ma la prima domanda che mi viene da porre è: tutto questo, questo mondo sporco che ci circonda, questo maledetto mondo che toglie vite con una leggerezza inaudita, questo mondo che si sente padrone e Dio, era realmente sconosciuto? Avevamo bisogno di un libro per sapere cosa fosse la camorra, il potere, il sistema? Forse si. No, forse no.

Il romanzo si divide in due parti. In ogni pagina Saviano porta il lettore nel regno di Casal di Principe, Giugliano, Mondragone, Campania, Napoli.  La nostra Napoli. Quel “...paradiso abitato da diavoli.” come disse il grande scrittore tedesco Goethe.

Una realtà inedita, come da molti è stata definita. Una realtà fatta di ville sfarzose, create a immagine e somiglianza delle grandi ville di Hollywood, quelle costruite per Scarface, film indimenticabile, con uno strepitoso Al Pacino. Quello che, nella mente di molti ragazzini, diventa un eroe, un mito, un uomo d’onore che vuole potere, ricchezza, donne. Un uomo da imitare. Ma questa è realtà. Non ci sono macchine da presa, cameraman, fotografi, pistole a salde. Qui il sangue è reale, dalla morte, sinonimo di Sistema, qui, non si torna indietro.

 

Gomorra di Matteo Garrone

Saviano entra nella macchina del Sistema. Lui ci è nato come tutti noi. La camorra è qui, a pochi passi, a pochi metri di distanza dalle nostre vite. Non puoi sfuggirle. Ci hanno provato Don Peppe Diana, ucciso vent’anni fa perchè non si era arreso; lui voleva difenderli quei ragazzini addescati dalla camorra con soldi, motociclette, la promessa del potere, di quella forza che si rispecchia nel desiderio di comandare, mostrarsi al mondo, a testa alta. Perchè loro sono la forza. Loro sono il potere. A quei ragazzini non ancora maggiorenni, il Sistema, mostra una sola strada da percorrere. Perché o ci entri, o sei morto. E se ci entri, non puoi più uscirne, se non con i piedi davanti. Ma la verità è anche un’altra. Ciò che viene insegnato è una realtà a cui è difficile credere. Quanti piccoli uomini abbiamo visto morire, li abbiamo sentiti parlare di una convinzione assurda, atroce, intollerabile. Per loro il solo modo di morire da uomo d’onore è con quella pistola tra le mani. Morire ammazzato ti fa morire da uomo.

Saviano, basandosi sugli atti processuali e sulle indagini della polizia, ci conduce in un mondo fatto di terre dove finiscono i rifiuti che sembrano essere sfuggiti ai controlli della polizia. Una massa di rifiuti grande il doppio del monte Everest (ogni anno, secondo una stima di Legambiente, sono quattordici milioni le tonnellate di rifiuti smaltiti illegalmente) che porta i morti per malattie tumorali ad una percentuale che non lascia parole. Aumentata del 21% rispetto al resto dell’Italia, qui nella nostra città. Nella nostra Napoli. Ci parla di montagne gravide di rifiuti tossici, campagne colme di sostanze mortali che individui senza alcuna morale hanno sparso vendendo fertilizzanti misti a rifiuti tossici. E tutto ciò accade sotto gli occhi dello Stato, quella forza che dovrebbe proteggerci, quel mondo che dovrebbe mostrare cosa sia la giustizia. Ma di giusto qui non c’è più niente.

E poi ancora lei. La droga. Cocaina, A fiumi. Scorre e cade tra le mani dei giovani come neve durante i mesi invernali nelle splendide città del Nord. Città dove la camorra arriva, città dove la camorra comanda da sempre. Dove alla camorra è lasciato comandare.

“Gli affari principali dei camorristi avvengono fuori Napoli.”

La narrazione ha un ritmo incalzante ma ad onor del vero, se si vuole essere obiettivi, Saviano ci aiuta a capire il fenomeno, raccontandoci i luoghi ed i nomi delle persone coinvolte Tuttavia, la  la sequenza narrativa  appare piuttosto confusionaria, basata su un certo rigore documentaristico dove emerge solo un grande impegno sociale volto a far conoscere giustamente ciò che accade in Terra Felix. Non una straordinaria vena narrativa quindi per quello che ormai è diventato “un’intoccabile” ed “incriticabile” esponente dell’opinione pubblica.

Il romanzo di Saviano diventa presto un film. Immagini che mostrano quella realtà raccontata. Perché si sa, le immagini hanno più forza, o almeno per questi ragazzini è così. Si lasciano ammaliare da un mondo che mostra e da potere. Che da tutto e in un secondo priva di tutto. E poi la serie televisiva andata prodotta da Sky Italia e andata in onda a partire dal 6 maggio 2014 e confermata per una seconda stagione. Criticata e amata perchè mostra una verità scomoda che non da tutti è stata compresa. Giorni fa mi è capitato di assistere ad una scena che ancora mi lascia senza parola. Ragazzini che potevano avere non più di 16 anni, con una pistola giocattolo rivolta verso i passanti sparavano piombini soprattutto sulle donne chiamandosi con i nomi della serie televisiva. Per quanto sia difficile da ammettere, le immagini colpiscono più delle parole. Ma quella verità che non è stata compresa è che non c’è nulla di onorevole nello sparare, nell’avere una pistola tra le mani, nel rubare, nell’uccidere, nel togliere una vita ad una bambino, una donna, un uomo. Nulla può renderci meno uomini dell’imitare questo mondo. Il Sistema.

Saviano è stato criticato dall’allora in carica Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi  in merito alla capacità del libro di avere dato troppa pubblicità alla mafia danneggiando l’immagine internazionale dell’Italia. Ma l’Italia si danneggia da sola quando consente di vincere alla camorra, alla mafia, al silenzio, all’omertà perché come ha affermato Saviano stesso: <<Non siamo il Paese di Riina, ma quello di Falcone>>.

Il romanzo vince numerosi riconoscimenti. Premio Viareggio, premio Giancarlo Siani, premio Lo straniero, premio Elsa Morante, premio Stephen Dedalus, premio Tropea, premio Vittorini per l’impegno civile, premio Nazionale Enzo Biagi.

Lo scrittore napoletano vive con una scorta sempre accanto. La sua seconda famiglia, come l’autore l’ha più volte definita. I nomi, le denunce, inserite nel libro lo hanno portato ad una vita di clausura, nascosto dal mondo per aver detto una verità che, a mio parere, non era poi tanto sconosciuta.

Siamo qui, con la possibilità di scegliere, di mostrare una realtà e una verità diverse da questo maledetto Sistema. Abbiamo la possibilità di ribellarci a tutto questo. Qualcuno ha detto che c’è sempre una possibilità. Forse questo qualcuno ha visto cosa succede quando entri nel sistema. Quando ci entri, ancora una volta, non puoi più uscirne.

“Dopo aver visto decine di morti ammazzati, imbrattati del loro sangue che si mescola allo sporco, esalanti odori nauseabondi, guardati con curiosità o indifferenza professionale, scansati come rifiuti pericolosi o commentati da urla convulse, ne ho ricavato una sola certezza, un pensiero tanto elementare che rasenta l’idiozia: la morte fa schifo.”

“Ammazziamo il Gattopardo”, di A. Friedman

Alan Friedman

In testa alle classifiche dei libri più venduti per diversi mesi, “Ammazziamo il Gattopardo” del giornalista economico e scrittore statunitense Alan Friedman (ex collaboratore del Presidente Carter, “Financial Time”, “Wall Street Journal”) è davvero, come ha dichiarato lo stesso autore, un libro d’amore per l’Italia e per gli italiani da chi ha deciso di vivere nel nostro Paese.

“Ammazziamo il Gattopardo” parte dal presupposto che la gente, il popolo italiano ha capito e vuole cambiare, mentre ai politici fa comodo che tutto resti cosi com’ è. Di qui l’imperativo categorico di ammazzare il Gattopardo, di affrontare una volta per tutte quella statica mentalità figlia di una cultura conservatrice e proporre nuove riforme. Diversi politici di oggi, come  il Gattopardo risorgimentale di Tomasi di Lampedusa fingono di sposare il nuovo per conservare il vecchio, addossandosi a vicenda le colpe della crisi che viviamo, dei mancati provvedimenti, rendendosi protagonisti di imbarazzanti e squallidi dibattiti televisivi.

Friedman sostiene che volenti o nolenti, l’ultima speranza per noi italiani è rappresentata da Matteo Renzi, un uomo “nuovo” che potrebbe segnare una discontinuità e apportare un cambiamento radicale. In realtà per quanto si possa apprezzare il Matteo Renzi uomo, la sua voglia di fare e di fare subito, la voglia di segnare un distacco dal passato fa parte di un sistema vecchio e se riuscirà a realizzare ciò che ha dichiarato sarà solo il tempo a dircelo, qualora non gli mettano i bastoni tra le ruota (soprattutto i colleghi del suo stesso partito) e soprattutto non abbia paura di scontentare i privilegiati e dei “protetti” dalla politica. Il tempo delle mezze misure è finito.

Ma “Ammazziamo il Gattopardo” è diventato celebre per le rivelazioni  riguardo la nomina di Mario Monti a Presidente del Consiglio nel 2011 da parte di Giorgio Napolitano data la situazione di emergenza. Non tutti sanno,afferma il simpatico giornalista, che il Presidente della Repubblica aveva in testa il nome del Professore bocconiano già da tempo. Friedman si avvale di autorevoli ricostruzioni, documenti e testimonianze dei diretti interessati per dimostrare la veridicità di ciò che afferma.

l’imprenditore avversario di  Silvio Berlusconi, Carlo De Benedetti sostiene che Monti nell’agosto del 2011 a St. Moritz, gli aveva chiesto cosa ne pensasse della possibilità di fare il primo ministro,anche il gioviale Romano Prodi ricorda  una lunga conversazione con il suo ex collaboratore Monti e lo stesso Friedman riporta un colloqui con Monti a proposito dell’idea incostituzionale del Napolitano superinterventista. Napolitano ha pianificato la sostituzione di Berlusconi perlomeno l’estate precedente, accettando un documento programmatico per un eventuale rilancio dell’economoa italian, elaborato in segreto da Corrado Passera, amico di Monti, ex assistente di De Benedetti e all’epoca a capo di Banca Intesa. Passera, l’uomo che ha rimesso in piedi, negli anni Ottanta, licenziando migliaia di persone, parte della pubblica amministrazione, le Poste, emblema della peggiore burocrazia come sostiene giustamente il giornalista. Passera, l’uomo che ha preso parte al semidisastro del governo Monti, che qualche settimana fa era  tra gli opisti di “Anno Zero” e  candidamente indicava la ricetta giusta per uscire dalla crisi, dopo che che al governo c’era stato. Atteggiamento proprio anche di altri politici che, dopo essere stati al potere, salgono in cattedra e propongono la loro magica soluzione; la cosa che fa al tempo stesso sorridere ed indignare i cittadini è che a sentirli sembra che proprio quando stavano per realizzare le cose più belle per il Paese, sia caduto il governo.

Friedman da giornalista di razza quale è ricorda gli anni della Milano da bere, l’establishment, igli ambiziosi imprenditori, aspiranti nuovi “Agnelli”, primi fra tutti l'”ingegnere De Benedetti e il venditore di sogni Silvio Berlusconi, passando per il capo di Mediobanca Enrico Cuccia e per i politici Craxi ( che senza dubbio avvantaggiò Berlusconi nella sua scalata al potere), Forlani e Andreotti. La rassegna storico-culturale e sociale che ne viene fuori è tutt’altro che noiosa, ma avvincente ; Friedman ritrae gli aspetti peculiari dei protagonisti delle scena politica italiana,  fornisce molti dettagli e aneddoti per quanto riguarda i capitoli sul piano di Napolitano  e naturalmente le conversazioni con gli ex presidenti del consiglio ( vi sono anche Giuliano Amato e Massimo D’Alema).

Sorprende la ricetta anticrisi che il giornalista pone come ultimo capitolo del suo libro: 10 punti ambiziosi per rimettere l’Italia sulla strada della crescita e dell’occupazione:

1. Abbattere il debito pubblico,

2. creare nuovi posti di lavoro,

3.tutelare le fasce più deboli,

4. tagliare le pensioni d’oro,

5. promuovere l’occupazione femminile,

6.ridisegnare la pubblica amministrazione,

7. tagliare gli sprechi della sanità e delle Regioni,

8. istituire una patrimoniale leggera ma equa,

9. liberalizzare i servizi nell’interesse del consumatore,

10 varare una nuova politica industriale di investimenti mirati.

L’Italia può cambiare solo se abbandona definitivamente la mentalità del Gattopardo.

 

 

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