Wikipedia ha vinto la sua battaglia

Da tre giorni, chiunque abbia provato a collegarsi alla versione italiana di Wikipedia, la nota enciclopedia libera presente online dal giugno del 2003, si è trovato impossibilitato ad accedere alle informazioni contenute sul sito. Al posto di esse, l’internauta si trovava dinnanzi un messaggio che spiegava la scelta di oscurare le pagine del sito visto l’approssimarsi del 5 luglio, data in cui il Parlamento europeo si sarebbe espresso in merito alla direttiva sul copyright, che avrebbe previsto maggiori controlli e restrizioni sui materiali immessi in rete.
Quest’oggi, pochi minuti dopo aver ricevuto la notizia che le nuove regole erano state respinte, il sito è tornato ad essere consultabile, come a voler festeggiare la ‘sentenza’ favorevole. L’enciclopedia accusava il testo in questione di limitare fortemente la libera circolazione delle informazioni, da sempre segno distintivo della rete. Secondo molti questa direttiva, se approvata, avrebbe messo a repentaglio l’esistenza stessa di Wikipedia e di molti altri siti.

Sono in particolare due gli articoli del testo finiti sul banco degli imputati, l’11 ed il 13. L’articolo 11 riguarda il riconoscimento del lavoro degli editori, che dovrebbero ricevere un compenso dalle piattaforme che riutilizzano le informazioni, seppur parziali, prelevate dagli articoli. Per esempio, i social network dovrebbero pagare le testate giornalistiche per pubblicare gli snippet, ovvero le presentazioni con relativa immagine degli articoli che portano al sito in cui si trova l’articolo. L’articolo 13, invece, additerebbe le piattaforme come colpevoli di eventuali raggiri dei diritti d’autore, anche se questi fossero commessi dagli utenti che caricano il contenuto incriminato.
Molte figure del panorama politico e di quello informatico si sono dette contrarie a questi provvedimenti, che minerebbero le fondamenta della liberà della rete. L’Ue, dal canto suo, si è affrettata a puntualizzare che Wikipedia, essendo una organizzazione senza scopo di lucro, non sarebbe in alcun modo toccata da questi provvedimenti, e potrebbe continuare ad offrire la stessa mole di informazioni di sempre ai propri fruitori.

Cercando di analizzare la questione da un punto di vista neutro, mentre il punto 13 della direttiva pare alquanto forzato e approssimativo, visto che non si può incolpare direttamente una piattaforma per un fatto commesso da una terza persona; l’articolo 11 può risultare utile per risollevare le sorti di un mondo in crisi come quello del giornalismo e dell’editoria in genere, caduti grave in declino proprio a causa dell’avvento della rete globale. Se, infatti, da un lato Internet ha portato in dote una mole di informazioni prima impensabile al pubblico, dall’altro, visti i dati accessibili gratuitamente, ha fortemente squalificato i contenuti degli articoli e ha fatto crollare a picco, finanziariamente, molti quotidiani e case editrici che si sono visti tagliare la maggior parte delle fonti di sostentamento.

Fermo restando che il testo così com’è appare molto lacunoso, sarebbe necessario trovare un punto di incontro tra questi due poli. Colossi come Facebook o Google, che possono vantare fatturati da capogiro, potrebbero venire incontro alle richieste, anziché limitarsi a minacciare di non far più visualizzare i contenuti nelle ricerche, permettendo ad altri settori di rincominciare a respirare.
Comunque sia, le norme dopo essere state bocciate dalla plenaria di Strasburgo, verranno ridiscusse dal Parlamento a metà settembre, dopo la sosta estiva. Wikipedia, quindi, ha vinto la prima battaglia, ma non è scontato che sia quest’ultima a vincere la guerra che, in ogni caso, non avrà un vincitore prima del 2019.

 

Andrea Salerno

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