‘L’inganno’ di Sofia Coppola: tra favola dark e parabola femminista

Innanzitutto ci si chiede se L’inganno sia o non sia il remake di La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel (vietato fare finta di conoscerlo, è meglio fare di tutto per recuperarlo). Per ora a Cannes il film ha vinto la Palma per la miglior regia, magari sulla spinta del prestigio usufruito dalla regista Sofia Coppola nei piani alti del cinema, avvalorando così la sicumera della figlia d’arte nel dichiararsi unicamente debitrice dello stesso romanzo originario (The Beguiled di T. P. Cullinan). E’ impossibile, peraltro, non abbozzare un paragone, non fosse altro che per sottolineare come la sceneggiatura della nuova versione, introducendo legittime quanto sostanziali differenze, abbia annullato gran parte del fascino provocatorio e allucinato del cult-movie del ’71. Non è un brutto film L’inganno, grazie alla magnifica impaginazione fotografica e scenografica, al suo potere d’intrattenimento e alla riconosciuta abilità dell’autrice nel creare le atmosfere cool (fredde, disinvolte, controllate) con cui riesce a seminare tensione e sarcasmo in parti uguali in una costruzione narrativa come al solito ellittica e minimalista, ma stavolta non riuscita sino in fondo.

Siamo, in pratica, invitati ad assistere alla trasformazione di una favola dark sulla falsariga di Cappuccetto rosso in una sorta di risentita parabola femminista: mentre nell’anno 1864 la Virginia è devastata dalla guerra civile, sono rimaste asserragliate in un appartato collegio femminile solo la direttrice (Kidman), un’insegnante (Dunst) e cinque studentesse. Quando una di quest’ultime trova nel bosco un mercenario al soldo dei nordisti quasi dissanguato a causa di una ferita alla gamba (Farrell), le donne, dapprima tentate di consegnarlo ai confederati, decidono di nasconderlo e curarlo innestando un ambiguo viavai di situazioni che, con il contributo del convalescente che si sente sempre più padrone della situazione, sfoceranno in un crescendo di conflitti erotici, tormenti morali e letali perfidie.

Ribadiamo che L’inganno è un film di una certa classe, si fa vedere piacevolmente e conta su alcune buone incarnazioni (accanto alla Kidman spiccano la piccola Amy della Laurence e la disinibita Alicia della Fanning); però la variante su cui non si può transigere è quella del nuovo protagonista, ovvero il perno di attrazione-repulsione incarnato dal soldato Farrell. Passi, infatti, per la pesantezza ideologica con cui il punto di vista femminile prende il posto di quello maschile, scelta che comporta la rinuncia alle sfumature del comportamento di Mrs Fansworth e delle sue complici presenti nel film e nel romanzo; ma sostituire Clint Eastwood con il torvo e monocorde attore irlandese costituisce un reato al cinema perseguibile per legge.

 

Fonte:

L’inganno

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