“Cuore di cane”, i timori della borghesia di Bulgakov

 

22 dicembre 1924. Lunedì 

 
Cartella clinica.
Cane di laboratorio.
Età: circa due anni
Sesso: maschile.
Razza: bastarda.
Nome: Pallino.
Pelo: rado, a ciuffi, color marroncino bruciacchiato
Coda: color crema.
Sul fianco destro, tracce di una scottatura del tutto cicatrizzata. Alimentazione prima di venire dal prof.   : scadente. Dopo una settimana di permanenza in casa del professore: ben nutrito.
Peso: 8 kg (punto esclamativo).

Cuore, polmoni, stomaco, temperatura: normali. 

 
Nel 1925  lo scrittore russo Michail Bulgakov compone Cuore di cane, un racconto previsto per la Rivista Nedra, per la quale erano già stati pubblicati Diavoleide ed Uova fatali.
Cuore di cane è la storia ironica e avvincente dell’incontro avvenuto in una stradina del centro di Mosca,  tra un cane randagio di nome Pallino ed un passante, il medico  Filip Filipovič Preobraženskij che deciderà di portare il cane con sé e  fargli da  padrone. Da questo momento in poi, la vita di Pallino non sarà più la stessa. La condizione di randagio non gli apparterà più e le attenzioni che gli verranno rivolte gli permetteranno di vivere una realtà completamente diversa: Ora è un borghese anche lui.
Pallino, molto affezionato al suo padrone, sarà cavia di un esperimento improbabile, voluto proprio dal padrone stesso e dal suo assistente Bormental. I due decidono di trasformarlo in un uomo, trapiantandogli l’ipofisi ed i testicoli di un uomo morto. E, piano piano, Pallino, viene osservato nella sua assurda trasformazione, quando il suo corpo abbandona le sembianze del cane ed assume comportamenti tipici dell’essere umano. Un essere umano che, precedentemente, era stato assassinato e questo spiegherebbe le farneticazioni di Pallino e i suoi deliri. Questa ‘magia’, però, dura poco e Pallino,  torna a vestire gli abiti del cane domestico.

Quando il cane diventa uomo, l’uomo diventa cane, inevitabilmente non ci si riconosce e nemmeno la scienza puo’ fornire risposte. Ciò che viene originato è il risultato di una snaturalizzazione della società che rischia di perdere tutto. La deriva è prevedibile.

Lo stile scelto da Bulgakov ci ricorda quello adoperato per i manuali scientifici. E ciò viene fatto con uno scopo ben preciso, che è quello di rendere credibile l’assurdo, proprio attraverso il paradosso scientifico. Ogni scelta dello scrittore è compiuta con una finalità ben precisa: I personaggi ed il loro linguaggio non sono altro che l’emblema della società sovietica con le sue stratificazioni e gerarchie. C’è il linguaggio del proletario, quello del professionista borghese, dei pazienti “manichini tardoromantici”, dei compagni burocrati schiavi del regime e di coloro che sono a capo della scala sociale. Con Bulgakov, si parla di vera e propria ”cura linguistica”, che lo avvicina agli scrittori di teatro. La vita, attraverso la satira che egli ne fa, e che è satira del sistema ma anche dell’individuo, viene scandagliata nel suo grottesco realismo.

Ma perché egli percepiva la vita come azione. Per lui la vita fu sempre un atto, un qualche inatteso mutamento, una qualche scoperta
Considerato un racconto ambiguo, e surreale Cuore di cane ci appare come una grande allegoria della storia. Scorrendo le pagine, ci perdiamo in una sovraeccitazione narrativa, leggendo, è come se gli oggetti prendessero forma,  si relativizzassero, attraverso minuziose descrizioni e  spesso determinate connotazioni fisiche dei personaggi bastano a raccontarceli.
Sotto torchio è la società sovietica corrotta, e in particolare la borghesia, ormai alla sbando, che teme il proletariato, verso cui la critica è decisa, totale e palese. Molte opere di Bulgakov, infatti, subirono la censura sovietica negli anni di Stalin (il quale si fece fautore  della  politica di collettivizzazione  al fine di fare della Russia una grande potenza economica) e ci sono pervenute solo dopo la sua morte come anche Cuore di cane, scritto nel 1925 e rimasto inedito, in Russia, fino al 1987, letto già in Italia un ventennio prima.

Vasken Berberian: “Sotto un cielo indifferente”

Vasken Berberian

Lo scrittore, sceneggiatore e  regista televisivo greco, classe 1959, Vasken Berberian si ispira ai grandi classici della letteratura mondiale (Dostoyevskij e Tolstoj su tutti) ma anche a Frazen, Fante, Ellis e Yourcenar, scrittori, secondo Berberian, che raccontano le loro storia con assoluta trasparenza e sincerità; elementi che sono presenti anche nel suo commovente romanzo “Sotto un cielo indifferente” per la  casa editrice  Sperling & Kupfer (per la quale ha già pubblicato “Come sabbia al vento”).

Un bambino di nome  Mikael, è affidato  ad  una famiglia di Atene, ricca potente e piena di ideali, che poi lo manda al collegio armeno di Venezia Moorat-Raphael; l’altro, Gabriel, segue il destino del suo popolo che nel 1947 rimpatria all’Armenia sovietica sotto le grinfie del terrorismo rosso di Stalin. Un libro americano di  uno scrittore di origine armena, William Saroyan, diventa il pretesto perché padre è figlio vengano deportati in un gulag siberiano. Mikael, divenuto adolescente geniale e ribelle, che ignora l’esistenza del suo gemello, sente in maniera magica e trascendentale l’angoscia di Gabriel nei momenti di sconforto e solitudine nel collegio mechitarista sente di poter comunicare con un ragazzo di cui ignora l’esistenza.

Lo scrittore/ingegnere che vive tra Atene e Torino, cattura il lettore  con una storia costruita tutta sull’emotività, senza tralasciare l’aspetto storico: unisce armonicamente la narrazione di un secolo di Storia e il racconto delle vicende personali aventi come sfondo lo struggente mare Mediterraneo e i suggestivi mari glaciali siberiani.

Con rara sensibilità ed intensità, Berberian ci regala  un viaggio attraverso Paesi e stati d’animo, luoghi e anime, ponendo l’accento sul nomadismo del popolo armeno, e su quanto possa essere questa condizione sia voluta che dovuta alle circostanze. Sono i grandi eventi storici a forgiare il carattere e la personalità dei protagonisti che l’autore lascia liberi di muoversi, senza imbrigliargli con la presunzione di chi sa già come andrà a finire. Spazio anche alla natura, in particolare al cielo che sembra essere sempre indifferente alle sofferenze  e ai dolori umani, ma “Sotto un cielo indifferente” non è, come si potrebbe facilmente presumere, un libro triste, anzi, evocando con cura, luoghi, paesaggi, la cultura e l’atmosfera di un secolo cosi importante per la civiltà umana, incute speranza, passione senso  di riscatto e soprattutto della memoria che va sempre preservata come dimostra Mikael  per il quale il tempo non aiuta a dimenticare, perché a volte “ciò che hai vissuto , torna a riprenderti”.

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