‘Gli orari del cuore’, l’esordio poetico di Stefano Labbia

Gli orari del cuore (Leonida, 2016) è l’opera d’esordio dello scrittore romano di origine brasiliana, Stefano Labbia, classe 1984. Si tratta di una raccolta di poesie che l’autore ha scritto dall’adolescenza fino alla maturità.

Amore, satira politica, vita e città che hanno avuto un’importanza nella formazione dell’autore, si intrecciano in maniera perfetta ne Gli orari del cuore e vengon da lui così soavemente descritte da risultare profonde e vivide agli occhi di chi legge. Come hanno già notato alcuni, “con le sue composizioni, Stefano Labbia è abile nel rendere il sentimento del suo oscuro sentire -attorno a cui si affastellano brani di memoria, considerazioni e interrogativi continui – così tangibile, da donare ogni volta parte di sé nelle sue liriche. Tutto tra apparizioni di luoghi, persone, natura incontaminata e paradisiaca, emozioni ritrovate o perdute per sempre, evitando qualunque forma di retorica, caratteristica dei poeti del millennio in cui viviamo.”

La prefazione de Gli orari del cuore è a firma del filosofo Valerio Di Lorenzo, che introduce caparbiamente la poetica dell’autore che scrive quello che prova, si mette a nudo e racconta le proprie emozioni nelle quali ognuno di noi può ritrovarsi. L’opera di Labbia può considerarsi come una sorta di romanzo di formazione: pagina dopo pagina infatti è come se acquisissimo una nuova esperienza, assaporando gioie e sofferenze che ci rendono quello che siamo.

Gli orari del cuore: un’opera che arriva dritta al cuore del lettore

Il ragazzo che emerge da Gli orari del cuore, è un lottatore che vuole vincere la vita, molto arrabbiato con essa ma che considera comunque “una poesia”- Un susseguirsi di fasi, la vita, un cammino tortuoso che ci porta a conoscere i nostri simili e a confrontarci con loro. Come è stato giustamente notato, la raccolta poetica di Labbia riesce ad evitare quei trabocchetti che, numerosi, sono disseminati sul percorso di chi vuole fare poesia al giorno d’oggi. I versi de Gli orari del cuore arrivano dritti al cuore del lettore, senza l’ansia di dover pagare per forza debito alla poesia classica; le sensazioni ed emozioni fluttuano sulle pagine scritte come fossero fragranze o giochi di luce e lo stile di scrittura elegante e immediato al contempo accompagna gli occhi del lettore in viaggi interiori di sicuro effetto. Vi sono poi delle parole chiave, delle parole-guida che emergono dal testo e che conducono ad una lettura profonda e analitica, parallela a quella di puro intrattenimento, sono sentimento, esistenza, passione, natura, volontà, equilibrio, legame, (in)consapevolezza, tempo, sogno, ricordo, speranza. Parole che caratterizzano e riempiono la nostra esistenza. Le poesie rappresentano un unico blocco, omogeneo, dal punto di vista stilistico e linguistico.

Gli orari del cuore si apre con una lirica che è un inno alla vita, Fiori di gelso e che la riassume in maniera efficace come attimi di passione, divisioni e poesia e si conclude con una strizzatina d’occhio ad Eraclito ed al suo celeberrimo aforisma Tutto scorre, presentandoci una figura femminile infelice che però sembra stridere con tutto il resto, con la vita che va avanti e può essere anche piacevole. Difatti non c’è pessimismo nella raccolta di Labbia, anzi l’autore ci invita ad amare con la poesia Ama! e ad innalzarci nella lirica Innalziamoci e probabilmente non è un caso che questa arrivi subito dopo la lirica Addio amore; dopo il dolore c’è a voglia di ricominciare, di non farsi schiacciare dalla disperazione.

Emblematica la poesia dal titolo Roma, che rimanda la nostra mente alla difficile situazione politica della capitale:

Roma,

regina dello stivale,

che calcia e sballotta anime in pena, che sperano,

che volgono gli occhi al cielo e che, sospirando, bevono l’essenza dal calice segreto

dalle piazze alle fontane, dai parchi al Colosseo, dal cuore d’italia:

la Capitale.

 

Suscitano in fine curiosità le donne presenti nella raccolta, come Rosa, Camilla, Catherine, Laura cui il poeta riserva toni intensi e toccanti, come tutte le liriche che parlano d’amore edi passione:

 

Silenzio d’amante

Ti ho amata per la tua voce, inattesa…

no, non che cantassi o dicessi una parola…

una parola…

una parola…

Silenziosa amante e compagna dei grigi pomeriggi,

e nelle poche serate libere

in cui scappavi dal tuo carceriere:

l’amore non è un accessorio…

ma poi il vento ti rapì, ti alzò, ti portò via,

quel vento così diverso dal solito, così caldo…

t’ho amata per la tua voce

ma non so se saprei ricominciare, ora,

così, all’improvviso…

Dicesti: “Riprendiamo da dove lasciammo…

non c’è più quel maligno vento caldo, adesso,

ma solo amore, cuore incrinato

e tempesta nell’anima…

Ricominciamo dall’inizio, se preferisci,

nello stesso modo,

stesso modo,

stesso modo…”

Soave come la brezza settembrina

nelle prime luci dell’alba,

L’amore è bello per chi lo vive,

per chi sa amare e sa cosa significa…

Un bacio è solamente la postilla dell’affetto,

e tu questo sembrasti non capirlo…

né da sola, né con me. Un sussurro.

Un tuffo al cuore e riniziai a vedere. anzi, iniziai, finalmente, a vedere, a vederti schiava di tutti e tutto, anche di te stessa…

nessuno, piccola scatola vuota,

oca giuliva in un gioco più grande di te,

nessuno al mondo può farti capire ciò che non vuoi: ma che donna sei, che donna eri?!

ed io, io che uomo sono, che uomo ero,

che uomo… sarò?

 

Rifugi d’amore

I nostri rifugi d’amore,

di pensieri e desideri piccanti, proibiti…

Sono crollati…

e lo scroscio dell’acqua non c’entra: sapevamo tutto già prima di buttarci. buttarci nella neve,

nel caldo nido dei nostri peccati, nel piumone protettore,

matrimonio riparatore di destini che si uniscono. Terribilmente,

malignamente,

malamente,

riparando amori scoppiati

e ferite del petto che perde passione, anziché sangue…

Piaghe ancora aperte…

non è così che avrei voluto dimenticare, rovinando ancora una volta tutto…

 

T’amo

T’amo, mia giovane donna dal fascino stellare: la tua purezza nasce dalla sorgente dell’eden, dal seme dell’oriente…

non hai nulla di questo mondo marcescente di infamia e povertà

ed il tuo piccolo essere rappresenta solo il tuo cuore,

così piccolo, sì, per te, ma così grande dentro…

 

Quanto ci amavamo?

Quanto ci amavamo? Quanto sapevamo amare?

trasportati dal vento abbiam vissuto in fretta il nostro amore,

saltando a piè pari tutto ciò che infiamma i cuori innamorati della vita,

e non solo di noi stessi o dell’altro…

abbiam sconfitto l’amore, che ti piaccia o no, Marina…

non è il rapporto di una sera

che appaga l’animo felice di vivere.

 

Il poeta coniuga il verbo amare al presente e al passato, mostrando nel presente una gioia “razionale”, contemplativa, mentra nel passato mostra amarezza e riflessione, adottando sempre un linguaggio semplice e chiaro per tutti, senza ricorrere-e questo fa onore a Stefano Labbia- a furbi espedienti, a paroloni, ad un linguaggio aulico e prezioso (che spesso risulterebbe forzato e finto) per accattivarsi il consenso dei lettori e degli addetti ai lavori. Un buonissimo esordio poetico. Sincero ed onesto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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