“Volunteers”: la rabbia degli Jefferson Airplane

Volunteers-RCA Victor-1969
Volunteers-RCA Victor-1969

Dopo la prematura scomparsa di Paul Kantner, membro fondatore dei Jefferson Airplane e padre della psichedelica made in USA, avvenuta il 28 gennaio 2016, è quantomeno necessaria una disamina di una delle opere fondamentali del quintetto di San Francisco per rendergli doveroso omaggio. L’album prescelto è Volunteers, forse l’album più politicizzato e polemico dei Jefferson, che segna la fine della loro fase “classica” ed una netta cesura con il loro passato di fricchettoni tutti “peace & love”. Dopo la solenne sbronza della Summer Of Love, i fasti di Monterey (1967), Woodstock (1969), Wight (1970) e l’inferno di Altamont (1969); dopo esser diventati uno dei gruppi più famosi e pagati al mondo, veri simboli della “controcultura” di fine anni ’60, Kantner e soci si destano da questo sogno meraviglioso per prendere atto delle contraddizioni in cui era stritolata la società americana, dalla guerra del Vietnam ai diritti civili, dalla rivolta studentesca alla guerra fredda, che l’epopea hippie non era riuscita a cancellare. E’ giunto il momento di lasciar da parte l’innocenza e cominciare a fare la rivoluzione (o almeno provarci):

“Guarda cosa sta accadendo fuori nelle strade/C’è la rivoluzione, vai alla rivoluzione” (Jefferson Airplane- Volunteers-1970)

I testi dei Jefferson Airplane si inaspriscono, il linguaggio si colorisce, le chitarre si distorcono ed i bassi pulsano. Niente più “conigli bianchi” e “qualcuno da amare”, solo sommosse in strada, cariche della polizia, e una realtà non più cosi bucolica ed esaltante. Il disco si apre con la corale We Can Stand Together  in cui l’imbizzarrita chitarra di Jorma Kaukonen fa da sfondo ad una autentica presa di coscienza da parte del gruppo della realtà sociale in cui vivono e alla quale si contrappongono (We are all outlaws in the eyes of America). La magnifica ballata acustica Good Shepherd, ritorna verso i territori più familiari del folk psichedelico, ma il contesto in cui viene inserito questo brano tradizionale (opportunamente riarrangiato) lo trasforma in un inno di speranza e redenzione, aumentandone a dismisura la carica sovversiva. Il tema dell’ecologia, tanto caro ai figli dei fiori, viene affrontato nella bucolica The Farm, in cui la natura è vista come unico rifugio da una società corrotta e decadente. La voce inconfondibile di Grace Slick caratterizza Hey Frederick, il brano più sperimentale dell’album, snocciolando un testo particolarmente ermetico su una base musicale fatta di chitarre lisergiche, dissonanze e percussioni torrenziali.

Paul Kantner 1969 ca.

La delicata Turn My Life Down, dolente ballata sull’amore perduto, introduce la spettacolare Wooden Ships, scritta da David Crosby, Paul Kantner e Stephen Stills, capolavoro assoluto e nucleo elegiaco dell’opera. Lo scenario apocalittico della guerra nucleare caratterizza un testo complesso e profondo, mentre la melodia allucinata e allucinante del brano ricrea perfettamente il dramma della realtà post atomica. Il disco prosegue con l’inquietante Eskimo Blue Day  per poi addolcirsi nel country di Song For All Seasons e nel classicismo strumentale di Meadowlands per arrivare all’urlo distorto e selvaggio di Volunteers, sorta di inno generazionale e vera e propria chiamata alle armi per schiere di contestatori. Un brano esaltante e violento, ma ricco di fascino e di potenza, che ha creato non pochi problemi di censura ai Jefferson per la sua enorme carica rivoluzionaria e satirica. Pubblicato nel novembre del 1969, l’album ottiene esaltanti riscontri commerciali ma critiche abbastanza contrastanti a causa dei messaggi altamente destabilizzanti in esso contenuti. Musicalmente ineccepibile vede la partecipazione di numerose guest-star quali David Crosby, Stephen Stills, Nicky Hopkins e Jerry Garcia che impreziosiscono le tracce con i loro virtuosismi. E’ senza dubbio un disco “datato”, ovvero fortemente legato al momento storico in cui è stato composto, ma rappresenta un eccezionale documento dell’atmosfera che si respirava nei tardi anni ’60, quando ci si auspicava la fantasia al potere e si credeva in un mondo migliore e pazienza per qualche testo che oggi fa sorridere (o commuovere a seconda dell’età che uno ha)….in fondo era il ’68.

“Deja Vù”: l’apoteosi dei CSN&Y

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CSN&Y: musicisti fantastici dotati di inarrivabile talento ma anche di un ego smisurato e di una personalità irrimediabilmente erratica. Uno dei più grandi quartetti della storia del rock è nato un po’ per caso dalla fusione di quattro temperamenti e stili musicali assolutamente diversi ma complementari. Stephen Stills, proveniente dai Buffalo Springfield, David Crosby, licenziato dai Byrds, Graham Nash, ex Hollies, decidono, nel lontano 1968, di unire le proprie forze per dar vita ad un trio basato sulla perfetta amalgama tra chitarre e voci. Dopo un ottimo debutto dall’omonimo titolo, targato 1969, i tre decidono di includere in formazione Neil Young, già compagno di Stills nei Buffalo Springfield, capace di aggiungere una notevole spinta sia creativa che vocale e strumentale alla già enorme cifra stilistica dei compagni.

Dejà Vu- Atlantic Records- 1970

Con questa nuova formazione partecipano al festival di Woodstock suscitando lo stupore e la meraviglia di colleghi e pubblico, grazie ad un repertorio sospeso tra folk e rock e grazie ad una performance strabiliante per tecnica ed affiatamento.

“Ho visto Crosby, Stills e Nash fare il culo agli altri, Fanno musica figa, da bivacchi sotto i cieli del West” (Jimi Hendrix-1969)

Lo stato di grazia prosegue per tutto il biennio 1969/1970, merito di altre esibizioni indimenticabili (come quella al festival di Altamont, non inclusa nel film ufficiale), ma soprattutto a seguito della pubblicazione di Dejà Vu, forse il loro album più compiuto. Dietro una cover che strizza l’occhio al vecchio West, si nasconde un capolavoro fatto di blues, folk, country e psichedelia. Ognuno dei membri contribuisce con pezzi di altissima qualità che, sebbene mantengano le loro intrinseche peculiarità, si adattano meravigliosamente alle caratteristiche degli altri tre. Stills fornisce l’epica cavalcata Carry On e la sognante 4+20; Crosby sfodera la sua classe con la tonante Almost Cut My Hair e la splendida Dejà Vu; Nash da il suo contributo con il delizioso folk di Teach Your Children ed Our House mentre Young mette in mostra tutta la sua personalità tormentata con l’implorante Helpless e  la caleidoscopica Country Girl (divisa in tre movimenti: Whisky Boot Hill, Down Down Down, ”Country Girl” [I Think You’re Pretty]). Tra tanto splendore, una memorabile rivisitazione di Woodstock, classico di Joni Mitchell, e Everybody I Love You, a firma Stills/Young, che fa rivivere lo spirito degli ormai defunti Buffalo Springfield. Suoni prettamente acustici, armonie vocali perfette, misurate incursioni nell’elettricità (soprattutto nei pezzi di Crosby) e collaborazioni di lusso quale Jerry Garcia (membro fondatore dei Grateful Dead) alla pedal steel guitar e John Sebastian (dei Lovin Spoonful) all’armonica a bocca, fanno di quest’opera un momento essenziale per il sound della West Coast di fine anni ’60 ed uno dei manifesti più rappresentativi della controcultura hippie. Un successo immediato che fa di quattro oscuri musicisti delle superstars.

CSN&Y in un’immagine recente

 

Una settimana di permanenza in vetta alle classifiche, tre singoli nella Top 40, plauso unanime di pubblico e critica, lusinghieri traguardi che non bastano, però, a stabilizzare il precario equilibrio del gruppo. Le spinte centrifughe non tardano a manifestarsi e, nonostante il successo, la sigla CSN&Y viene momentaneamente abbandonata per far spazio a progetti solisti (Neil Young con After The Gold Rush, David Crosby con If I Could Only Remember My Name, Nash con Song For Beginners, Stephen Stills con l’omonimo album), nuove band (Manassas per Stills e Crazy Horse per Young) e prestigiose ospitate in lavori altrui. Come l’araba fenice, però, il marchio CS&N (con o senza Young) è in grado di risorgere dalle proprie ceneri, nel momento più inaspettato, allorquando ai tre storici componenti torna la voglia di tornare ad incantare grazie alla bellezza immutabile delle loro canzoni. Dei veri e propri monumenti del rock.

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