‘Maria Sofia. L’ultima regina del sud’. Il saggio proustiano di Aurelio Musi

Maria Sofia Wittelsbach, sorella della celebre principessa Sissi, fu regina delle due Sicilie. Quinta di otto figli, trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Possenhofen dove la famiglia possedeva un castello, sul lago di Starnberg e il palazzo di Monaco dove si trasferivano per l’inverno. Fisico slanciato, portamento regale, occhi blu e folta capigliatura castana, Maria Sofia sposò per procura l’erede al trono di Napoli, Francesco II, l’8 Gennaio 1859 nella cappella del palazzo reale a Monaco. Questa è storia nota.

Ma la storia assume contorni letterari e nello specifico, proustiani, nel saggio dello scrittore, giornalista e docente di Storia Moderna, Aurelio Musi, dal titolo Maria Sofia. L’ultima regina del sud, edito da Neri Pozza, 2022.

La biografia dal piglio giornalistico che Aurelio Musi dedica a Maria Sofia Wittelsbach, moglie di Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, va oltre il dato meramente fattuale, perché pone nuove criticità e cerca al tempo stesso una sintesi. Musi fa riaffiorare alla superficie della storia, gli aspetti meno conosciuti di un’epoca che ancora oggi desta polemiche. Tali aspetti hanno a che fare con l’approccio cinematografico di Aurelio Musi al ritratto della regina Maria Sofia, il quale gioca con le sinestesie, travestendosi da Proust nello svelare il passato di una donna, attraverso le “intermittenze del cuore” o “epifanie”, e i propri ricordi nei manieri bavaresi “senza tempo”.

È un approccio che cattura l’attenzione del lettore, quello di Musi, perché la descrizione del luogo natale della regina del Regno delle due Sicilie, offre sempre suggerimenti e spunti che poi vanno esplicati, come l’Autore sa fare acutamente. «Sulla sponda occidentale del lago di Starnberg, a pochi chilometri di distanza da Monaco, si erge, fra monti e laghi, il castello di Possenhofen. Insieme con il lago di Starnberg e Roseninsel, il castello è stato anche reso famoso dalle riprese in esterni del film di Luchino Visconti, Ludwig». Il regista Luchino Visconti, aristocratico esteta, aveva colto prima degli altri, il carattere intrinseco della dinastia degli ultimi Wittelsbach, la loro tensione verso il vitalismo e verso il bello, con forti componenti d’irrazionalità. Il vitalismo fu una costante in tutta la vita di Maria Sofia, che fece da contro-altare alla rassegnazione del consorte Francesco II per il suo regno perduto. Maria Sofia e Francesco sono una coppia letteraria e cinematografica, due caratteri diversi ma complementari che arricchiscono le trame della Storia.

Aurelio Musi presenta in poche pagine le condizioni economiche e sociali del regno delle Due Sicilie, ormai sulla strada del declino. Alla fine irreversibile del regno corrispondeva in modo inversamente proporzionale il dinamismo di quella che Musi con una giusta metafora, definisce una novella “Giovanna d’Arco”. L’ «Ottobre [1860] fu un mese di intensa guerra e di profonde trasformazioni politiche per il Regno delle Due Sicilie. Il 1° ottobre la battaglia del Volturno vide episodi eroici da entrambe le parti. Le forze borboniche potevano contare su 28000 uomini con quarantadue pezzi d’artiglieria, mentre quelle garibaldine erano appena 24000 con soli ventiquattro cannoni. Francesco partecipò direttamente alla battaglia a fianco del generale Giosuè Ritucci. Cavalcava in prima linea e appariva trasfigurato agli occhi di Maria Sofia come fosse il più valoroso paladino tra tutti i re Borbone».

Tuttavia la storia intraprese un’altra direzione e i coniugi Borbone dovettero riparare a Roma per un esilio quasi decennale. « “Roma resta l’unico rifugio dopo il grande naufragio. Napoleone III non ha nessun ruolo nei miei affari personali. Io sono l’unico giudice competente del comportamento che devo avere”. Con queste parole Francesco II aveva risposto piccato all’emissario dell’imperatore francese, che voleva offrirgli protezione. Egli possedeva anche il titolo di principe romano ed era proprietario di palazzo Farnese a Roma, dove giunse con la famiglia e il seguito dopo lo sbarco a Terracina».

La corte napoletana in esilio continuava a mantenere a libro paga molti funzionari e presunti uomini di governo, divisi in fazioni, invidiosi tra loro. «Maria Sofia, pur non nascondendo la sua simpatia per gli esponenti meno reazionari della corte e del governo, cercava di tenersi lontana dalla guerra di fazione. Rimpiangeva Napoli e il suo golfo. Trascorreva il tempo con la sorella minore Matilde, Spatz,  che nel maggio 1861 sposava il conte di Trani, fratellastro del re». L’ultima regina del sud, di distingueva dunque tra la pletora dei cortigiani.

Nell’esilio romano inoltre, il governo borbonico di Francesco II continuò la guerra contro lo Stato italiano con una guerra di resistenza e di logoramento, fra due progetti di Stato, due idee nazionali, due re. Quello di Francesco II fu un governo senza Stato dando vita ad una contrapposizione che trovò la sintesi nel brigantaggio politico, strumentalizzato dalla corte borbonica per distruggere le basi del consenso del neonato Stato italiano. Maria Sofia fu odiata ed amata, suscitando sentimenti contrapposti, sfidando la sorte, offrendo all’alea il proprio corpo durante l’assedio di Gaeta; una Maria Sofia che «si risolleverà grazie alla sua vitalità: non più “regnante” ma “errante”, nell’Europa della Belle Époque, della prima guerra mondiale e del dopoguerra inquieto, continuerà con altri mezzi a tessere le fila della reazione all’unità italiana».

Il saggio di Musi è un libro denso che, oltre che a portare avanti una accurata ricostruzione storica scava fino in fondo, nell’introspezione psicologica di Maria Sofia, donna e regina, prendendo spunto da romanzi famosi, come “Il fauno di marmo” di Nathaniel Hawthorne, o “Le vergini delle rocce” di Gabriele D’Annunzio, in cui era definita «l’aquiletta bavara che rampogna». La letteratura serve all’autore per far conoscere meglio al lettore la personalità di una donna, protagonista di un romanzo storico e sentimentale personale e collettivo.

Maria Sofia è presente anche nella Ricerca del tempo perduto di Proust e precisamente nella Prigioniera e nei Guermantes, nelle parole pronunciate dalla duchessa di Guermantes durante il pranzo a cui era stato invitato anche il narratore»; la duchessa «con sarcasmo vuole insinuare che Maria Sofia sia assuefatta ai lutti in famiglia tanto da non farci più caso. Il narratore difende invece la dignità della regina di Napoli, sottolinea il valore dei sentimenti di affetto fra le sorelle, il dolore sincero di Maria Sofia per la tragica morte di Sissi e dell’altra amatissima sorella».

Il saggio di Aurelio Musi è un’opera precisa, ben argomentata (supportata da un’importante bibliografia) e puntuale della vita di Maria Sofia ma anche sulle sorti del regno borbonico e dell’Europa, senza risparmiare riferimenti polemici. Fin dalle prime pagine si avverte quel senso di stanchezza propria delle monarchie che da sempre hanno governato, L’Austria degli Asburgo in primis.  Quella che Maria Sofia lascerà nel 1925 è un’Europa profondamente diversa da quella che aveva acclamato il suo matrimonio, appena uscita dalla Prima guerra mondiale e già pervasa da quei sussulti che avrebbero portato alla nascita del fascismo del nazionalsocialismo. Inoltre il saggio offre l’occasione per potersi confrontare ancora una volta con il mito del Risorgimento italiano, che ha fondato la “Nazione Italiana”, nel senso Ottocentesco del termine e di tale “mitizzazione” non poteva non risentire il dibattito storiografico nel quale Musi entra con intelligenza ed equilibrio.
Interessante anche il passaggio in cui Musi mostra come Maria Sofia fosse presente anche nell’agone politico internazionale, la regina infatti si schierò a fianco di Zola nella battaglia intellettuale per la revisione del processo a Dreyfuss. Una figura dunque molto attiva nella vita politica europea a cavallo tra XIX e XX secolo.

Guido D’Agostino-Aniello Clemente: “Il filo rosso della storia di Napoli” domani presso L’istituto Tasso di Sorrento

Domani giovedì 29 luglio, alle ore 18,00, presso la sede provvisoria dellIstituto di Cultura “Torquato Tasso” il prof. Guido D’agostino terrà una conferenza sul «Filo rosso della storia di Napoli», moderato da Aniello Clemente.

Come si coniugano Storia e Teologia? «La resistenza non è solo dei civili ma anche dei militari. Ricordare più che un dovere è un diritto. Non bisogna dimenticare», queste parole sono dell’illustre ospite.

La lunga storia del Mezzogiorno e di Napoli il prof. Guido D’Agostino l’ha studiata avendone una visione storiografia che privilegia l’impostazione rivoluzionaria. Cioè esiste una ricostruzione legata dal filo rosso delle manifestazioni dettate dalla voglia di contare, di non subire passivamente, del dire un «no!» fermo a quello che non è sopportabile.

Ecco dove s’innesta l’unione Storia e Teologia. La realtà dell’uomo è stata da sempre al centro della riflessione teologica. Il suo destino, la grandezza dei suoi orizzonti e le pur immancabili cadute, la sua complessa e problematica compagine strutturale hanno da sempre interrogato la coscienza dei credenti e degli atei: «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» si chiedeva già il salmista alcuni millenni or sono meditando sulla finitezza dell’essere umano dinanzi ad un immenso cielo stellato (cf. Sal 8,4-5).

Uomo che quando prende coscienza di sé, deve anelare alla libertà. Nel 1507 la monarchia intende impiantare nel Regno l’Inquisizione “alla maniera di Spagna”, ma il popolo insorge e il re è costretto a ritirare il proclama. Quarant’anni dopo don Pedro de Toledo, detto “il viceré di ferro” (il re era Carlo V), decide di chiudere le Accademie ma il popolo e i nobili si ribellano e proprio questo fa in modo che l’iniziativa fallisca.

Nel 1585 l’assessore all’Annona (vettovaglie) aumenta il prezzo del pane senza immaginare minimamente le conseguenze di tale folle proposta. Nel luglio del 1607 sorge un capopopolo: Tommaso Aniello detto Masaniello. Di contro, caso più unico che raro è la rivolta del 1701 detta la congiura di Macchia, che prende il nome da Gaetano Gambacorta, principe di Macchia, con cui la nobiltà napoletana tentò senza successo di rovesciare il governo vicereale spagnolo, durante la crisi successoria che si verificò in seguito alla morte di Carlo II di Spagna con l’estinzione del ramo spagnolo degli Asburgo.

E giungiamo alla rivoluzione del 1799 che rappresenta nella storia di Napoli e del Mezzogiorno il salto nella Modernità culturale e politica, come se si scoprisse anche da noi il 1789 come fu per la Francia, e a proposito dice un grande storico francese che per capire meglio il 1789 bisognerebbe andare a vedere quei dieci anni dopo nella realtà napoletana.

Il Colloquio è in concomitanza con le celebrazioni del 20 agosto che ricorderanno i martiri napoletani. Scopo della conferenza è ricordare che è vero, che spesso le nostre battaglie finiscono come quelle di Cefalonia, nell’isola greca, infatti, ci fu un episodio di resistenza, che finì male: i tedeschi fecero una strage, furono migliaia i soldati uccisi.

Ma dobbiamo ricordare che la nostra guerra sarà vinta se ricordiamo che contemporaneamente, a Napoli, invece, l’impresa riuscì: i tedeschi furono vinti, cacciati, mentre Partenope danzava abbracciata ad Odisseo.

La Storia è sventrata dall’universalità delle concause: se il battito di ali della farfalla provoca un uragano, a cosa ricondurre la scintilla di una guerra o di una rivoluzione? «Quando ogni cosa è collegata a tutto il resto, dove inizia il processo?»; come ricordava Galileo Galilei: «Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella».

 

Guido D’Agostino-Aniello Clemente: «Ricordare più che un dovere è un diritto!»

‘L’usurpatore’ di Emanuele Rizzardi: un romanzo storico che porta alla luce le gesta di Alessio Filantropeno

L’usurpatore, edito da Assobyz, è l’ultimo romanzo di Emanuele Rizzardi. Classe 1990, Emanuele nasce e vive a Legnano. Laureato in Lingue presso l’Università La Cattolica e attualmente lavora come project manager presso una multinazionale della meccanica. Appassionato di storia medievale bizantina e del Caucaso fin da bambino, si forma da autodidatta sui saggi dei più noti storici contemporanei e non. Bizantinista, scrittore, divulgatore, Rizzardi collabora con varie testate di settore, associazioni e radio. Fa parte del direttivo dell’Associazione Culturale Byzantion. Del 2018 è la sua opera prima L’ultimo Paleologo, edita da PubMe. A due anni di distanza lancia sul mercato editoriale  il suo nuovo scritto.

 

L’usurpatore: Sinossi

L’usurpatore- Copertina

L’usurpatore è un romanzo storico di 427 pagine. Il libro è uscito in italiano ma successivamente è stato tradotto in inglese con il titolo di Usurpator

Tessalonica, gennaio 1324

Quando riceverai questa lettera, mio caro Michele, potrei essere un cadavere freddo e rigido in una fossa comune. Chi ti scrive e Alessandro filantropeno, il tuo vecchio e logoro padre, o almeno quanto di lui rimane. Oggi sono venuti a casa dei soldati di Andronico. << Preparatevi filantropeno, perché domani mattina a quest’ora verremo a prelevarvi e sarete scortati a Costantinopoli. Ordine del Basile Basileus>>, mi hanno detto, senza far trasparire troppe emozioni.  <<Che sia così!>>, ho risposto senza protestare e quasi sogghignando. Non ho alcun dubbio sul mio destino in un certo senso vi anello da molti anni. Sono stanco, il nero dei miei capelli ha lasciato totalmente spazio un grigiore pallido, mentre la mia pelle chiarissima diventa sempre più insofferente ai raggi del Sole, facendomi sentire un reietto rintanato in casa. Non sono per niente dubbioso sul perché il Basileus mi faccia prendere per uccidermi proprio ora, dopo quasi 30 anni dal nostro ultimo incontro; La mia stessa esistenza è un affronto alle sue politiche fallimentari. Io sono la prova vivente dell’inettitudine, miopia e stupidità del nostro sovrano Andronico II Paleologo, per volontà di Dio, ma non certo mia. Me lo aveva detto, vedremo se ora avrà almeno il fegato di mantenere la parola. Gli occhi di chi, come me, ha ricevuto la carezza di una lama rovente sono molto deboli e questo sforzo di scrittura mi sta costando ben più di un dolore, perciò presta molta attenzione a queste mie parole perdonami per eventuali errori; non è facile riassumere tanti fatti a distanza di molto tempo. […] Sappi che in questa lettera avrei solamente la verità, la pura, semplice e cruda verità. Ora che anche tu stai percorrendo le mie orme come soldato, fai tesoro delle mie parole, potrebbero tornarti utili in futuro…Ti darò consigli e ti farò rivivere le mie esperienze attraverso l’inchiostro […]

Gli ultimi anni del ‘200 sono durissimi per il già provato Impero Bizantino, recentemente ricostituitosi a Costantinopoli, sotto la spregiudicata e agguerrita famiglia dei Paleologi. Quel che rimane delle ricche province d’Asia Minore è caduto nell’anarchia. Bande di razziatori turchi, avide di bottino e terre, saccheggiano ripetutamente le campagne, costringendo i cittadini dell’impero a tentare una disperata fuga verso la costa o ad arroccarsi dietro alle mura di antiche e solide fortezze.
Nel frattempo Karman Bey, signore musulmano di Mileto, aumenta il suo potere a dismisura e raduna un esercito abbastanza grande da convincere la corte di Costantinopoli a rispondere con ogni mezzo a sua disposizione. Il sogno turco di conquistare la “regina delle città” sembra poter diventare una triste realtà.

Il Basileus Andronico II ripone le sue speranze nel giovane nipote Alessio Filantropeno, incaricandolo di porre definitivamente fine alla pressione nemica e conservare quanto rimasto, prima che sia troppo tardi. Alessio, euforico all’idea di mettere in mostra le proprie qualità come comandante militare, scoprirà che gli intrighi, i giochi di potere e la guerra hanno sempre un prezzo da pagare, e le sue illusioni giovanili andranno incontro ad una realtà amara.

Tutte le vicende ruotano intorno al declino dell’impero bizantino e alla nascita di quello Ottomano. La storia, scritta in forma epistolare, racconta la vita e le gesta del generale Alessio Filantropeno, nipote di Basileus Andronico II, appartenente alla dinastia dei Paleologi.

La famiglia dei Paleologi (Greco: Παλαιολόγος, pl. Παλαιολόγοι) fu l’ultima dinastia a governare l’Impero Bizantino. In seguito alla Quarta crociata alcuni membri della famiglia fuggirono a Nicea e qui riuscirono a mantenere il controllo dell’impero in esilio. Michele VIII Paleologo divenne imperatore nel 1259 e riconquistò Costantinopoli nel 1261. I discendenti di Michele governarono fino alla caduta di Costantinopoli, nel 1453, rendendo i Paleologi la dinastia di regnanti più longeva nella storia Bizantina. Il motto della famiglia era Basileus Basileon, Basileuon Basileuonton (Βασιλεύς Βασιλέων, Βασιλεύων Βασιλευόντων, cioè “Re dei Re, Regnante dei Regnanti”). A causa dei loro matrimoni con le famiglie d’occidente i Paleologi furono la prima famiglia Imperiale ad adornarsi di simboli occidentali su cimiero e stemma. Utilizzarono l’aquila bicipite Imperiale nera in campo oro, oppure una croce accantonata da quattro B d’oro girate all’esterno in campo rosso.

La stessa B che appare sulla copertina del libro nella scritta Bysantion. L’usurpatore narra uno spaccato storico brevissimo quasi mai trattato in altri romanzi dello stesso genere: siamo in pieno tramonto dell’impero bizantino e il  libro restituisce le imprese del giovane generale Alessio Filantropeo, una figura non molto conosciuta se non nei manuali di bizantinista.

Lo stesso Emanuele Rizzardi dice: “Il filantropeno è una figura unica ed eccezionale del suo tempo. Quella di voler dare voce alle sue gesta e stata una scelta naturale”

Guido Borghi Unige dell’Associazione Culturale Byzantion scrive nella sua recensione: “Le gesta del generale bizantino Alessio Filantropeno (ca. 1270-dopo il 1340) in Anatolia Occidentale negli anni 1293-1295 vengono qui ricostruite nella pregevole forma artistica di romanzo storico fondato sull’analisi scrupolosa e al tempo stesso critica delle fonti primarie coeve. La vicenda, pienamente rappresentativa delle dinamiche geopolitiche dell’epoca, si configura altresì come un paradigma storico generale e ha rilevanza a livello di Filosofia della Storia”.

L’usurpatore è, dunque, un romanzo storico, ma anche il racconto di prodezze, guerre civili, suspence, gloriosi combattimenti e avvincenti battaglie per accattivare non solo gli appassionati del genere.

 

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Riflessioni sull’utilità dell’invenzione storica: contemplare il passato per riflettere sul futuro tra ucronia e utopia

Cosa sarebbe successo se i Patti Lateranensi non fossero stati sottoscritti? E se la morte prematura di Benito Mussolini avesse portato alla guida del governo un Dino Grandi? E se invece fosse toccato a Galeazzo Ciano, ambizioso genero del Duce? E se quest’ultimo avesse dato avvio a una politica filo-americana, magari sposando una Rockefeller, pilotando il Paese verso un’economica liberal-capitalista? E se Filippo Tommaso Marinetti avesse scritto un fantasioso romanzo storico, consegnato direttamente al Duce, influenzando la sua politica?
Nell’epoca in cui la nostra attenzione è incatenata all’attimo presente, osserviamo incoscienti le inebrianti fluttuazioni cui sono soggette le storie e gli eventi, a volte in modo del tutto fittizio ed irreale, nel tentativo – quasi sempre riuscito – di confondere lo spettatore ed impedirgli di maturare una propria, salda convinzione. E se iniziassimo ad inventare le narrazioni che più desideriamo, a scapito dei fatti genuini, stanchi del circo mediatico – facendoci beffe di giornali, TV e del sistema scolastico? Contemplare il passato porta inevitabilmente a riflettere sul futuro – un tempo che contiene le nostre speranze e le paure di ciò che potrebbe accadere; infatti, mentre non abbiamo alcun controllo sugli eventi trascorsi, il futuro sembra terreno fertile per congetture di ogni tipo. Le speculazioni sull’avvenire ci consentono di correggere le storture e di esaminare i disastri che non riusciamo a superare nel presente: la finzione funge da rifugio finale e ideale. Il filosofo Charles Renouvier scelse la parola ucronia come titolo del suo romanzo del 1876, dalla radice greca, avente come significato senza tempo; stava seguendo il modello stabilito qualche secolo prima da sir Thomas More, la cui Utopia, termine di uguale derivazione, significa non-luogo. Se l’utopia, dunque, è un luogo che non esiste in questo mondo, l’ucronia è un tempo – inteso come concatenazione di eventi – mai accaduto; se l’utopia è posta nell’oltre-mondo, l’ucronia sviluppa una trama alternativa, considerando cosa sarebbe successo al mutare di determinati eventi-chiave. Tale speculazione, tuttavia, non deve ridursi a pura frivolezza, poiché il contrasto con ciò che realmente è accaduto può approfondire la nostra comprensione del momento attuale. Non si tratta di esercizi per intellettuali perditempo, è da rilevarne il notevole contenuto filosofico e pedagogico: nell’utopia, da Platone al Rinascimento, si disegna una città ideale come modello per la condotta virtuosa del cittadino nella sua vita concreta; nell’ucronia, si ricorda che la storia è il teatro del sempre possibile, a scapito di ogni “storicismo” paralizzante.

La storia alternativa è un campo estremamente vasto. Alcuni tra giornalisti, studiosi e romanzieri, hanno provato a raccontare, in un volume intitolato Fantafascismi, curato da Gianfranco de Turris, appena pubblicato per Bietti, le differenti svolte che la storia d’Italia, fra il 1921 e il 1945, avrebbe potuto intraprendere se alcuni episodi (non) si fossero verificati ovvero se gli accadimenti avessero seguito un indirizzo diverso. Giacinto Reale, ad esempio, prova a rimescolare le carte in quel fatidico 28 ottobre 1922: mentre le colonne fasciste muovono alla volta della Capitale, per dare inizio alla storica “marcia”, Benito Mussolini attende a distanza, negli uffici del Popolo d’Italia a Milano, assieme al fratello Arnaldo, pronto a partire non appena la situazione volgerà in favore del movimento.
Ad un certo punto, si vede costretto a scendere in strada per sedare un dissidio tra i suoi uomini e le guardie reali; ed è qui che la cronaca imbocca un’altra via: egli rimane coinvolto in una sparatoria, ferito gravemente; si decide, in segreto, dopo aver riportato il corpo all’interno dell’edificio, di trasportarlo in Svizzera, per operare la rimozione del proiettile; ma proprio mentre costeggia il lago di Como, nei pressi di Dongo, l’ambulanza si ribalta e Mussolini viene scaraventato fuori, morendo sul colpo. Allora, diffusasi la notizia, il re decide di firmare lo stato d’assedio e incaricare l’anziano Giovanni Giolitti per la formazione di un nuovo governo cui faranno parte anche esponenti fascisti, mentre – per ironia della sorte – la celebrazione del funerale di colui che sarebbe dovuto diventare il Duce del Fascismo avrà luogo in Milano a Piazzale Loreto.

Suggestivo e visionario il racconto di Dalmazio Frau, con protagonista Armando Brasini, immaginato come architetto ufficiale del regime in luogo di Marcello Piacentini; la nuova Roma da lui disegnata, invece del freddo e monumentale stile del Piacentini, appare così fascinosa da far esclamare ad un giornalista venuto dall’America:

Intuisco in un solo istante che ogni edificio, ogni piazza, ogni chiesa, ogni monumento, obelisco voluto da Armando Brasini altro non è se non uno dei magici punti sulla terra che servono a convogliare le influenze sottili che permeano il cosmo. Un’immensa, grandiosa magia che fa di Roma il Centro dell’Universo.

E ancora: quale svolta avrebbe avuto la politica italiana se il 9 giugno 1936, al posto di Galeazzo Ciano, ambizioso genero del Duce, fosse divenuto ministro degli affari esteri il conte Giovanni Capasso Torre di Caprara?

Realizzato da Vito Tripi come favolosa raccolta di appunti tratti dal diario dello stesso ministro, di note provenienti dal Ministero della Cultura Popolare e di articoli pubblicati su giornali italiani ed esteri, il racconto delinea l’azione della nuova politica italiana la quale, dopo aver sostenuto lo sforzo dei franchisti nella guerra civile spagnola, riesce a portare un governo amico in Francia, poiché il presidente della Repubblica Albert Lebrun, nel timore che si potesse verificare una crisi come quella spagnola, scioglie le camere senza indire nuove elezioni, nominando un Comitato di Salute Pubblica con a capo l’eroe di Verdun, il maresciallo Philippe Petain. Assieme a queste due nazioni, e con il Portogallo, il Principato di Monaco, la Repubblica di San Marino, la Romania e la Bulgaria, la Grecia e l’Ungheria, il Duce si porrà a capo di una “Lega Latina” (poi “Lega Europea”) – alleanza sia difensiva che offensiva – la quale, con l’appoggio del Regno Unito di Gran Bretagna, affronterà la Germania nazionalsocialista, l’Unione Sovietica e la Jugoslavia, uscendo vincitrice dalla seconda guerra mondiale, con il regime fascista in trionfo per i decenni a venire.

Scrivere storie alternative è come camminare sopra un filo sottile, mentre si è bendati, attraversando un uragano. Si tende a credere, a questo punto, che gran parte della storia sia contingente, che gli eventi e le narrazioni siano inclini a divergere, ma che – in ogni caso – un destino non manifesto farà da raccordo alla molteplicità delle ipotesi; perché ciò che rende buona la fantasia storica è quel senso di autenticità, la percezione che gli avvenimenti, dopotutto, siano radicati nella realtà e dunque, se le cose fossero andate diversamente in un punto critico, ciò che ne sarebbe conseguito avrebbe assunto il carattere di inevitabilità. Certo, la storia ha i suoi aspetti deterministici; ma le possibilità insite in molti frangenti screditano l’enfasi sul meccanicismo e sottolineano l’elemento del caso e la rivendicazione della libertà individuale, compromessa dai sistemi sia idealistici che positivistici.

 

Gabriele Sabetta- L’intellettuale dissidente

‘The Young Victoria’, di Jean-Marc Vallèe: fascino british e romance

The Young Victoria è un film del 2009, diretto da Jean-Marc Vallée e prodotto da Martin Scorsese. A interpretare il ruolo della protagonista è l’attrice inglese Emily Blunt, vincitrice del Golden Globe nel 2006 come miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione nel film televisivo Gideon’s Doughter. The Young Victoria racconta la giovinezza della regina, dall’anno che precedette la sua salita al trono fino all’incidente che la vide obiettivo di un dissidente che provò a ucciderla con un colpo di pistola.

The Young Victoria: amore e dovere sullo sfondo di uno dei regni britannici più longevi di sempre

Per gli amanti dei film in costume, The Young Victoria è un gioiello da non perdere. L’accento viene posto soprattutto sugli intrighi di corte, spesso mirati a destabilizzare il regno appena nato della giovane regina, e sulla sua storia d’amore con il principe Albert, al quale fu legata da un sincero sentimento che esulava dagli obblighi come sovrana di Gran Bretagna e Irlanda. L’attinenza storica della pellicola ha accontentato la critica, mentre gli elementi di romance, inseriti in alcune scene, hanno accattivato il favore dei più romantici (soprattutto nella scena finale dell’attentato, avvenuto realmente secondo quelle dinamiche, ma senza vedere il principe Albert ferito per proteggere l’amata), anche se non è stato un successo al botteghino, dato che rispetto ai 35 milioni di dollari spesi ne sono stati incassati solo 27. Il film ha avuto tre nomination agli Oscar, vincendo una statuetta per i migliori costumi, curati da Sandy Powell, già vincitrice di due Oscar per i film Shakespeare in love e The Aviator.

The Young Victoria spicca tra le pellicole dello stesso genere e dello stesso periodo storico per il fascino prettamente british smorzato dagli elementi fiabeschi romanzati, un compito non semplice visto la varietà di film e serie tv sulla regina Vittoria, personaggio spesso oggetto di rivisitazioni, come in Vittoria e Abdul (2017) e la serie Victoria (2016).

Il contesto storico-culturale del Novecento

L’inizio del Novecento vive un periodo di grande espansione economica, grazie allo sfruttamento delle materie prime  nelle colonie, negli USA viene introdotta la catena di montaggio, mentre l’Italia conosce l’esperienza liberale e laica del governo giolittiano. Tuttavia la vera svolta storica si ha nel 1914 con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando D’Asburgo a Sarajevo che porta l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia. L’Italia, facente parte della Triplice Alleanza con Germania e Austria, inizialmente si dichiara neutrale ma la politica interna induce il Paese a schierarsi contro i suoi vecchi alleati. L’esercito italiano subisce una grave sconfitta a Caporetto, Cadorna subentra a Diaz, gli Austriaci sono respinti lungo il Piave e saranno definitivamente sconfitti  nella battaglia di Vittorio Veneto. Contemporaneamente in Russia ha inizio la Rivoluzione Russa e sale al potere Lenin; i trattati di pace firmati a Versailles infliggono delle pesanti penalizzazioni agli sconfitti: l’Impero austro-ungarico viene sciolto e la Germania è costretta a pagare ingenti debiti di guerra, nascerà la Repubblica di Weimar e una grave crisi economica sconvolgerà l’Occidente. L’Italia ha il Trentino Alto Adige e la Venezia Giulia.

Si rafforzano il nazionalismo e l’imperialismo, nascono i movimenti socialisti e i partiti comunisti (Comune di Parigi, Prima, Seconda e Terza Internazionale). Il capitalismo è il sistema dominante nel Novecento e gli intellettuali da un lato propongono nuove teorie e forme di avanguardia, dall’altro non riescono ad uscire dal sistema culturale burocratico; ma la maggior influenza nella letteratura (soprattutto a Trieste) l’assume senza dubbio Freud investigando su un territorio già intuito da diversi poeti e scrittori, quello dell’inconscio e della psicoanalisi. D’Annunzio è ancora preso come modello anche se si sente l’esigenza da parte di alcuni poeti di abbandonare questo “divismo” per abbracciare la quotidianità della vita e l’inutilità della poesia stessa. La prima vera avanguardia nel Noveceto, si ha con il Futurismo che entra in forte polemica con il passato attraverso le riviste “La Voce” (i cui collaboratori sono per una poesia estremamente soggettiva , traboccante di neologismi, anacoluti e accostamenti insoliti di parole) e “Lacerba” (che rilancia la letteratura frammentaria ed esaltando l’anarchia del genio).

Tuttavia già dal 1920 si assiste ad una fase di tendenze contraddittorie, tra sperimentazione e ritorno alla tradizione , quasi fosse un richiamo all’ordine di fronte alla violenza della guerra , e proprio  per questo che la classicità viene ora intesa  non più come un peso morto ma come un’eredità da conquistare. Uno dei primi ad attuare quella che non sarebbe più stata solo una tendenza è Montale; mentre Stalin in Russia e Hitler in Germania cominciano a sopprimere ogni forma di espressione avanguardistica. Anche l‘Italia subirà poi le forti pressioni del regime fascista.

Dopo la Prima Guerra Mondiale i regimi liberali entrano in crisi i regimi liberali a causa delle lotte operaie e dell’affermazione dei partiti  socialisti ; in questo clima instabile, tuttavia, trovano strada facile i regimi totalitari come è stato già accennato precedentemente: Nazismo in Germania, Comunismo in Russia, Fascismo in Italia, mentre gli USA vivono un forte incremento industriale  che porta ad una grave crisi economica nel 1929. Nel 1939 ha inizio la Seconda Guerra Mondiale con l’invasione nazista della Polonia che induce Francia e Gran Bretagna a dichiarare guerra alla Germania. Anche l’Italia entra in guerra, ma si sottovalutano sia la Gran Bretagna che l’Unione  Sovietica. Le  sorti della guerra cominciano a cambiare quando gli USA si schierano contro la Germania dopo aver subito, un anno prima, l’attacco dei Giapponesi.

Nel 1943 Mussolini cade e viene imprigionato. Pochi mesi dopo viene siglato un armistizio con gli Alleati, e Hitler fa  nvadere l’Italia divenuto ormai paese nemico e Mussolini, una volta liberato, fonda la Repubblica di Salò. Nel 1944 gli alleati sbarcano in Normandia e piegano  la Germania . Hitler si suicida. La guerra si conclude con la resa del Giappone a seguito del bombardamento atomico per  opera degli Stati Uniti; Mussolini viene ucciso dai partigiani. Il mondo ora è  diviso in due blocchi: quello occidentale rappresentato dagli Stati Uniti e quello orientale dall’Unione Sovietica. Capitalismo contro Comunismo, entrambi alla ricerca di alleati  per avere il predominio. Tutto questo sconvolge la cultura letteraria ed artistica del novecento che vede davanti a sé arretrare sempre più la democrazia, l’affermarsi della società di massa, del consumismo e di conseguenza le disparità economiche e disuguaglianze sociali. La poesia, sopratutto in Gran Bretagna è impegnata, civile, unita alla raffinatezza formale. Nasce l’industria del cinema ad Hollywood che influenzerà non poco la letteratura.

Anche il panorama filosofico del Novecento appare complesso che vede contrapporsi due scuole di pensiero opposte: la filosofia analitica e quella continentale. Sia gli analitici che i continentali vogliono rompere con la metafisica e la sua impostazione fondazionalista della filosofia optando per una filosofia che rifletta su sè stessa. Tra gli analitici spiccano i nomi di Wittgenstein e di Popper, tra i continentali quello di Heidegger. “Il trattato logico filosofico” di W. ha fatto scuola nella filosofia della scienza del Novecento; secondo il filosofo viennese quello che noi chiamiano pensiero rispecchia perfettamente la realtà costituita da fatti atomici, composti a loro volta da oggetti semplici. Il modo migliore per verificare la veridicità dei fatti è l’empirismo rifiutando, come i neopositivisti, la metafisica. W. inoltre è alla ricerca di una formulazione di un linguaggio universale ed elabora una teoria di giochi linguistici per arrivare ad asserire che ciò che dà significato alle parole è l’uso che se ne fa nel linguaggio comune.

Popper prende in analisi i ragionamenti e le teorie e giunge alla conclusione che l’induzione non esiste o quantomeno non può portare a nulla:

“Il fatto che per ogni problema esiste sempre un’infinità di soluzioni logicamente possibili è uno dei fatti decisivi di tutta la scienza; è una delle  cose  che  fanno  della  scienza  un’avventura  così  eccitante.  Esso  infatti  rende inefficaci tutti i metodi basati sulla mera routine. Significa che, nella scienza, dobbiamo usare l’immaginazione e idee ardite, anche se l’una e le altre devono sempre essere temperate dalla critica e dai controlli più severi.”

Secondo P. infatti noi siano tabula plena non tabula rasa e la ricerca inizia proprio dai problemi che vanno risolti  attraverso la formulazione di ipotesi. Ma la nostra conoscenza scientifica è congetturale ed ipotetica , problematica e fallibile e le nostre teorie sono falsificabili. Per questa concezione fallibilistica P. è considerato il teorico della democrazia e della società aperta, un liberale progressista, un ingegnere olistico, un riformista.

Tra i continentali Heidgger elabora il metodo storico ermeneutico (Scuola di Francoforte); nel suo capolavoro “Essere e tempo” prende in questione l’essere il cui problema coincide con l’apparire agli altri, per cui l’uomo è sempre in situazione, è gettato in essa, in un rapporto aperto verso il mondo. Esistere vuol dire possibilità di agire, quindi per H. la prassi precede la conoscenza, il modo di essere dell’Esserci è la sua esistenza ed è anche un essere per la morte.

Tuttavia H. ci tiene a distinguere il suo pensiero da quello esistenzialista per cui l’uomo non deve essere pià padrone dell’ente ma il pastore dell’essere:

“l’uomo è piuttosto gettato dall’essere stesso nella verità dell’essere, in modo che, così esistendo, custodisca la verità dell’essere, affinché nella luce dell’essere l’ente appaia come quel che l’ente è.”

Durante il Novecento, l’ontologia diviene ermeneutica, ovvero interpretazione del linguaggio, (l’Essere si svela nel linguaggio) rifiutando il modello storicistico per quanto riguarda la concezione dell’arte, la quale per H. plasma l’epoca in cui si sviluppa.

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