‘Doppio amore’, il thriller erotico di Ozon che si compiace delle proprie visioni a scapito delle narrazioni

Incurante del fatto che i critici d’antan usavano puntualmente l’espressione “cinema ginecologico” per stroncare i film di Tinto Brass e affini, Ozon esordisce quasi subito con uno zoom all’indietro dello speculum dall’interno di una vagina seguito dal fulmineo taglio di montaggio che riprende in verticale il dettaglio di un occhio della paziente. In quanto all’interpretazione della sequenza ambientata in uno studio medico, gli spettatori sono lasciati del tutto liberi (azzardiamo: il sesso sta nello sguardo?). Per Doppio amore, dunque, le reazioni del pubblico saranno forti e divise già dall’incipit, ma in ogni caso il resto del film non stacca mai il pedale dalla sistematica esasperazione dei temi cari al regista: il sesso, la cartografia dei desideri segreti, i trompe-l’oeil tra sogno e realtà, i disturbi ossessivo-compulsivi, la tematica del doppio e una spirale di incubi riverberati da quadri, arredi, finestre e, guarda caso, un’infinità di specchi nella “pupilla” della macchina da presa in qualche modo assimilata al dilatatore corporeo dell’inizio. Trasponendo a Parigi un racconto dell’americana J. C. Oates, l’autore di Sotto la sabbia, Angel e Frantz dà fondo alle sue innegabili e talvolta esaltanti doti d’eleganza formale e raffinatezza compositiva per allestire l’ennesimo thriller erotico tipico di un cinéfilo edipico sotto perenne influenza di padri geniali quanto ingombranti (Bunuel, Hitchcock, Polanski, De Palma, Cronenberg) da cui, però, non riesce mai a liberarsi e quindi simbolicamente a uccidere.

Grazie alle sedute presso lo psicoanalista Paul di cui diventerà presto l’amante, Chloé sorvegliante al museo del Palais de Tokyo –interpretata dalla Vacth di Giovane e bella qui circonfusa da un sex appeal ancora più conturbante- cerca di scoprire l’origine dei fantasmi interiori che la inducono ad alternare paura e frigidità con disinibite fantasie carnali; ma ad alterare l’apparente efficacia della terapia è l’entrata in scena del gemello monozigote Louis (interpretato dalla stesso attore Renier), anch’esso analista, inevitabile innesco di un ménage a tre completo di pratiche hard e manipolazioni reciproche. Purtroppo penalizzato dalla prevedibilità del percorso a scatole cinesi di un film che da Rosemary’s Baby e Inseparabili finisce per sfociare nel parossismo horror alla Alien o Possession, Ozon si compiace giustamente delle sue visioni, ma trascura un po’ troppo le narrazioni, sembra guardarsi mentre filma come se entrasse nei giochi morbosi del trio e si concede una serie di colpi di scena fini a se stessi che sedano gran parte delle emozioni suscitate con tanto impegno.

 

DOPPIO AMORE
Regia: Francois Ozon
Con: Marine Vacth, Jérémie Renier, Jacqueline Bisset
Genere: Thriller erotico. Francia/Belgio 2017

 

Doppio amore

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