‘Sully’ di Clint Eastwood: l’eroico destino di chi compie solo il proprio lavoro

Sully è il nuovo film dell’inossidabile fuoriclasse del cinema internazionale Clint Eastwood, uscito nelle sale italiane lo scorso 1 dicembre e che ha per protagonista l’impeccabile Tom Hanks, spalleggiato da un bravissimo Aaron Eckhart. L’ottantaseienne Eastwood dimostra di avere una vena creativa inesauribile e sforna un altro capolavoro prendendo le mosse dallo straordinario evento avvenuto il 15 gennaio del 2009, quando il volo di linea Airways 1549, affidato alle esperte mani del capitano Chesley “Sully” Sullenberger, fu costretto dopo pochi minuti dal decollo a tentare un ammaraggio d’emergenza sulle acque newyorkesi dello Hudson a seguito di un’avaria di entrambi i motori.

Sully, una storia vera

Il pilota Sully dunque è diventato famoso in tutto il mondo, è considerato un eroe e lo stesso Tom Hanks ha ammesso che non è stato facile interpretare una persona vera. Ma sta di fatto che Hanks è riuscito benissimo a vestire i panni dell’uomo comune (ricordandoci James Stewart), proiettato da circostanze clamorose nel culmine di un evento terribile, e trovandosi nella scomoda situazione di dovere affrontare un’inchiesta, un estenuante processo e respingere sia le contestazioni burocratiche e assicurative che la popolarità che vuole celebrare l’eroe di turno.

Sully è un film fantastico, essenziale e coerente stilisticamente, con buona pace di chi tenta di stroncarlo,  scomponendo la pellicola per ricavarne assunti politici per denigrare Eastwood sostenitore di Donald Trump durante le scorse presidenziali statunitensi, al quale invece importa raccontare l’eroico destino di chi compie solo il proprio lavoro con abnegazione e che viene persino perseguito, anzi torturato giuridicamente, non esaltare il valore e il coraggio a stelle e strisce come pensa qualcuno.

Sully è un film riuscitissimo dove l’azione, i dialoghi e i momenti statici sono perfettamente armonizzati in una narrazione fluida e compatta, grazie al taglio drammaturgico conferito dal regista, evitando eccessi di retorica che per altri sarebbero stati inevitabili, dovendo trattare una storia come questa. Sully infatti, durante il processo, dimostra di tenere al suo posto di lavoro, non a promuovere il suo personaggio di eroe, cercando di convincere gli inquirenti e le autorità che non avrebbe potuto compiere una scelta diversa, salvando tutti i 155 passeggeri presenti a bordo.

Tuttavia il professionista rappresentante l’etica del lavoro Sully, pur avendo fatto la cosa giusta, preoccupandosi del bene comune, è un personaggio disilluso e smarrito e questo aspetto è in geniale contrasto con il “messaggio” che il film stesso sembrava aver stabilito. Tuttavia il protagonista di questa vicenda non pensa minimamente di svalutare la propria impresa, seppur amareggiato. Ecco la cifra stilistica di Eastwood che ci fa parlare di “personaggi tipicamente eastwoodiani”: l’ironia scaturita dallo understatement che nasce dal paradosso, direzionando l’attenzione dello spettatore in quanto cittadino sul destino di tutti quelli che, cercando di fare al meglio il proprio dovere, preservando l’uncolumità altrui, si ritrovano in una situazione di “accusati”, minacciati dalle autorità e inoltre pervasi dalla stucchevole retorica del trionfalismo che ha valore puramente consumistico. La “normalità” e allo stesso tempo la “straordinarietà” di Sully sono racchiuse nella frase che egli rivolge alla moglie per telefono: “Voglio che tu sappia che ho fatto del mio meglio”.

 

‘Inferno’ di Ron Howard, tra azione e una love story non banale

Inferno (Warner Bros, 2016) è l’ultimo film di Ron Howard, un thriller psicologico che consacra il rapporto fra il regista di A Beautiful Mind e il carismatico attore Tom Hanks, ancora una volta nel ruolo del professor Robert Langdon. Nel cast anche Felicity Jones, una ‘spalla’ efficace per Tom Hanks, e Irrfan Khan, personaggio perennemente in bilico fra Bene e Male con una spiccata vena ironica. Dopo Il Codice Da Vinci (2006) e Angeli e Demoni (2009) tornano le indagini del simbolista di Harvard che stavolta non avrà a che fare con enigmi riguardanti la religione cattolica, bensì con argomenti più attuali, come il sovrappopolamento della popolazione terrestre.

Inferno comincia con Robert Langdon ricoverato in un ospedale di Firenze, reduce da un colpo di arma da fuoco e affetto da un’amnesia momentanea che non gli consente di ricordare le ultime 48 ore. Qualcuno lo sta cercando per ucciderlo e la dottoressa che lo ha in cura, Sienna Brooks, lo aiuterà a scappare e a cercare di ricordare quanto accaduto. L’ ‘incidente’ di Robert Langdon ha a che fare con il suo ruolo nella ricerca di Inferno, un virus letale che il miliardario visionario Bertrand Zobrist ha creato prima di morire e che, se messo in circolo, dimezzerebbe la popolazione terrestre in pochi giorni, risolvendo così il problema del sovrappopolamento. Le ricerche di Langdon, nella migliore tradizione del binomio Howard- Hanks, vertono sul simbolismo nell’arte (la città di Firenze ne è lo scenario perfetto) e nella letteratura (con un omaggio all’Inferno di Dante Alighieri).

Analisi stilistica e tematica di Inferno

Inferno si configura come un film dall’andamento diverso rispetto ai due precedenti della stessa serie, è più d’azione e mette da parte la componente simbolica che invece era stata la ‘chiave di lettura’ ne Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni. Questo penalizza di molto la riuscita della pellicola, che punta tutto sulla corsa contro il tempo per impedire che il virus venga rilasciato. La costruzione della storia è a puzzle e quindi non segue l’andamento cronologico. Inferno comincia in medias res e nel corso dell’azione si cerca di colmare le lacune lasciate all’inizio, purtroppo non riuscendoci. Quello che ne viene fuori è un film confuso, che lascia più interrogativi che risposte alla fine. Sono da salvare la fotografia (bellissime le riprese col drone su tutta Firenze , nonché le scene visionarie dell’Inferno dantesco dentro la mente di Robert Langdon) e la filosofia che fa da sfondo al film. Una massima che si ricorda anche quando lo schermo diventa nero è: “i luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali”. Quali sacrifici è giusto compiere per un Bene più grande? Qual è il confine fra il Bene e il Male? Sia nel film che nella vita vera la differenza non è così netta come potrebbe sembrare.

L’eclettico Ron Howard è riuscito a districarsi abbastanza bene dalla macchinosità delle due precedenti pellicole (troppo didascaliche) della saga di Dan Brown giocando sulle differenze tra la prima parte fatta di azione spericolata e la seconda che si concentra sui risvolti sentimentali per nulla banali dell'”introversa” relazione tra i due protagonisti.

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