‘La ragazza nella nebbia’, il thriller diretto dallo scrittore Donato Carrisi

Con l’arrivo dei primi freddi il botteghino dovrebbe riprendersi dal coma profondo di quest’anno e non c’è niente di male a sperare che un buon giallo rappresenti una delle occasioni giuste per riprendere confidenza con il grande schermo e la grande sala. Lo strapotere delle serie tv, impossibile da esorcizzare con gli approssimativi pareri circolanti sui media, può essere fronteggiato, infatti, solo con la qualità dei film, impresa non impossibile considerando lo straordinario successo ottenuto dalla scuola dell’ultima generazione dei giallisti all’italiana. Risulta lodevole, a questo punto, l’intenzione di Donato Carrisi, sceneggiatore, giornalista e autore di sette thriller sempre in cima alle classifiche nonché tradotti e pubblicati in tutto il mondo, di dirigere personalmente La ragazza della nebbia operando, cioè, a ragion veduta i tagli e le modifiche imposte dallo scambio di linguaggi. Avvalendosi di un cast professionale impreziosito dal protagonismo di Toni Servillo, a suo agio in tutte le sfumature richieste da un personaggio fortemente ambiguo a cominciare dal disprezzo nutrito nei confronti di un gruppo di uomini e donne ispidi, rozzi o peggio fanatici, Carrisi adatta dunque se stesso non potendo o volendo peraltro fare a meno d’ispirarsi, talvolta platealmente, ad alcuni capisaldi del genere, da “Twin Peaks” a “Fargo”, dai raggelati puzzle alla “Seven” ai torbidi intrighi simenoniani cari alla maniera francese degli Chabrol e dei Tavernier.

Come il romanzo, innescato dalla sparizione di una ragazzina appartenente all’isolata comunità di una cittadina montana -impossibile non pensare alle cittadine, da Alleghe a Cogne, immortalate dal dopoguerra a oggi dalla cronaca italiana-, il film La ragazza nella nebbia serve con diversa incisività il doppio spunto della strumentalizzazione di una tragedia sia da parte di chi investiga su di essa (esaltato dal carisma insostituibile di Servillo), sia da parte di coloro che dovrebbero limitarsi a raccontarla (avvilito da un’overdose moralistica di anatemi contro le malefatte dei media). Peccato, inoltre, che il montaggio appaia talvolta confuso costringendo alcune diramazioni della suspense a finire su un binario morto e alcuni passaggi troppo didascalici a sovrapporsi al gusto dell’inserto visionario (i diorama che ricordano i plastici dei programmi tv), della sequenza movimentata o della bella inquadratura. L’incontro/scontro tra l’ispettore di Servillo e lo psichiatra di Reno sorregge bene, in definitiva, l’asse portante strettamente romanzesco, ma quello che risulta alquanto precario è il senso di mistero e sortilegio innescato dal sospetto che il Male venga generato dallo stesso finto-edenico paesino.

 

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La ragazza nella nebbia

‘Le confessioni’: la metafisica di Andò

Le confessioni di Roberto Andò è un film da vedere in primis per la classe che ancora una volta dimostra il regista siciliano nello stare dietro la macchina da presa, il quale attinge alla letteratura di Sciascia e Calvino e al cinema di Tornatore e Petri. Dopo il successo dello spiazzante comico-politico Viva la libertà (2013), in questo suo ultimo film, uscito nelle sale lo scorso 21 aprile, Andò si ispira proprio a Todo modo di Leonardo Sciascia oltre che alle Confessioni di Sant’Agostino per raccontarci gli assiomi della finanza e i dubbi riguardo la fede e lo spirito.

Le confessioni: trama, contenuti e stile del film

In un resort di lusso in Germania, sul mar Baltico, a bordo di una distesa d’acqua gli otto ministri economici del G8 soggiornano in attesa dell’incontro che deciderà il futuro del mondo occidentale, incontro che ha in programma una manovra segreta che potrebbe sconvolgere l’economia mondiale cambiando la storia in maniera drastica. Alla guida del summit c’è Daniel Roché, direttore del Fondo monetario internazionale, che ha invitato anche tre ospiti estranei al mondo dell’economia: una scrittrice di best seller per bambini che sposa la causa di una onlus umanitaria, una rock star e perfino un monaco certosino italiano, Roberto Salus. Roché chiede al religioso, votato al silenzio e alla povertà, di ascoltare la sua confessione, e subito dopo viene trovato morto. Morte per un malore, suicidio o omicidio? Come comunicarla al pubblico? Gli altri partecipanti si chiedono se e come si debba proseguire con la manovra che i ministri avrebbero dovuto varare nel corso dell’incontro.

Roberto Andò avvolge il suo thriller metafisico, traendo spunto da un input narrativo originale, in una rarefatta atmosfera dai toni polanskiani nella ripresa delle inquadrature: il tragico evento rompe l’equilibrio iniziale e fasullo del film e da questo momento comincia la battaglia sulla custodia di Salus del segreto di  una confessione, sottolineata dalla notazione claustrofobica che incute un senso di inquietudine e curiosità nello spettatore. Cercando di scardinare i misteri che si celano dietro il potere, il regista costringe i suoi personaggi allo studio e all’osservazione reciproca attraverso i loculi; rifacendosi a Il Divo di Sorrentino, anche ne Le confessioni i potenti di turno si confrontano non solo tra di loro ma anche con la propria dimensione etica che stride con il loro ruolo, in uno spazio asettico. E infatti il terreno dove gioca Andò è proprio quello della morale rappresentato da Salus, monaco enigmatico e privo di sguardi e intenti inquisitore, il quale si limita solamente a raccogliere il senso di impotenza e l’incapacità dei potenti del mondo a portare i loro Paesi fuori dalla crisi.

Sospesa tra reale metafisico, la regia di Andò risulta molto poetica e purtroppo cade in un reiterato susseguirsi di metafore troppo semplicistiche, citazioni e massime ad effetto, complice anche al ritmo troppo statico della pellicola che ad un certo punto mette il freno a mano e sembra accontentarsi del pronunciare l’assunto: alla fine è tutto un complotto degli americani! Degna di nota l’interpretazione di Toni Servillo nel ruolo del certosino di bianco vestito accanto a Pierfrancesco Favino, Connie Nielsen, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Daniel Auteuil, Julian Ovenden e Lambert Wilson.

 

 

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