La passione di Julius Evola (Rivolta contro il mondo moderno, Cavalcare la tigre, Teoria dell’individuo assoluto, La dottrina del risveglio, Gli uomini e le rovine, La metafisica del sesso, Lo Stato organico) per Nietzsche e Guénon, i suoi due pilastri, lo condurrà a un’inevitabile epilogo: a interpretare e perdere il primo alla luce del pensiero del secondo, con colui che Cioran definirà un maniaco dell’intelligenza, l’alfiere dell’Intellettualità pura. Evola guénonizzerà Nietzsche. I suoi commentatori lo riterranno uno dei suoi maggiori meriti: quello di aver liberato Nietzsche dal suo soggettivismo, e da ogni forma di naturalismo. In realtà è la gramigna di Evola, l’origine di uno dei suoi limiti fondamentali, il suo peccato originale, che farà da sfondo variamente sfumato a tutto il suo opus magnum: alla sua sterile nozione di trascendenza, ch’egli chiamerà auto-trascendimento ascendente, contrapposto a quello discendente, inferiore di stampo naturalistico; tutte definizioni che furono significativamente dedotte da A. Huxley e Jean Wahl, a loro volta gravati da un saldo impianto dialettico di fondo.
In particolare, Wahl, massimo studioso e specialista accademico di Kierkegaard, dava chiaramente una lettura dialettizzante di quest’ultimo, o una lettura sfumata in dialettica negativa e, ciò che è peggio, viziata dal drappo grigio della probità critica tipico dell’Accademia – Lev Šestov, molto significativamente, stigmatizzava questo aspetto deteriore di Wahl, la sua lettura universitaria del filosofo danese, che si rivelava una mera razionalizzazione dell’Autore; una particolare ristrettezza critica di cui Wahl darà prova, tra l’altro, nel momento in cui sbeffeggerà il tragico delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, che definiva semplici bambinate.
La trascendenza secondo Evola: l’empiria ha un ruolo fondamentale
Il concetto di trascendenza, in Evola pensatore poliedrico di nobili origini siciliane (scrittore, poeta, pittore, esoterista, filosofo), malgrado le mille sottigliezze teoriche, non differisce mai, per ciò che più conta, da un sovrannaturalismo di natura speculativa, da una qualsiasi ascesi dalla vita, aliena da quella autentica forma di trascendenza che contempla una profonda osmosi tra fisiologia, psicologia e il metafisico, dove l’empiria ha un ruolo fondante. Evola perde la vivificante alleanza tra biologia e gnosi, l’unica in grado di cogliere adeguatamente la fisiologia dei fenomeni del mondo e della vita umana – l’elemento irrazionale, la vita –, sottraendo la fisiologia all’equazione. Da questo punto di vista, il suo neo-idealismo non si distingue in niente da ogni forma d’idealismo a buon mercato. Il suo concetto di trascendenza è sterile, poiché si rivela solo una difesa contro quella vita non sublimata a priori dalla lunga catena degli eroi della mente, contro tutto ciò che è pre-umano, commettendo così lo stesso paradossale errore che l’esistenzialista Heidegger commetterà con la sua Ontologia anti-biologistica: è la contraddizione, tutta intellettualistica, di chi tematizza e ricerca un’autentica nozione di esistenza e, allo stesso tempo, la pastorizza dal suo fondo naturalistico. Non è forse stato Bataille a sostenere, con una nota negativa, che l’animale è il nostro più intimo rimosso?
Evola rigetta l’idea naturalistica dal suo schema filosofico (notate bene, perché è un errore fondamentale: un naturalismo ch’egli sembra appiattire in un biologismo razionalista di stampo scientista e materialista), la Natura, l’empiria, rimanendo impigliato nello speculativo di stampo idealistico, ipotecando il neo-idealismo contro la superstizione della vita meramente animale, istintiva, pre-personale, mero corpo e natura; in una fondamentale circoscrizione idealistica, Spiritualista, di ogni evento. Alla natura mancherebbe la luce dello Spirito, e se lo Spirito non è la Vita, e la Vita non è lo Spirito, è comunque lo Spirito a dare forma alla Vita!
L’individuo secondo Evola si emancipa dalla natura
Il suo concetto d’individuo, di persona definisce semplicemente colui che si emancipa dalla natura, dalla biologia, dal naturalismo, dagli aspetti inferiori della natura umana; l’individualità è sempre epurata dalla sua fonte impura, materiale, e ricondotta in qualcosa di superiore alla mera vita del caso evolutivo. La trascendenza confinerà con il mondo solo idealmente, spiritualmente, per contemplare ciò che si proietta oltre la psicologia depurata dal bios. Il superamento dei limiti cognitivi, delle categorie meramente filosofiche (moderne) dell’esperienza, attraverso la magia, si rivelerà un idealismo magico in cui l’individuo è una sorta di monarca ermetico a carattere eminentemente gnoseologico, e dunque intellettuale; è un nonsense intellettualistico, un circolo vizioso. Non si comunica mai realmente con il non conoscitivo, con l’intransitivo. L’unica differenza reale che Evola instaura, è il passaggio da un materialismo razionalista, immanentista, tipico della modernità, a uno spiritualismo che, se ripudia l’immanentismo scientista-razionalista-materialista, è però sempre debitore di una fondamentale circoscrizione dei fenomeni del mondo e della vita umana da parte della ragione, una ragione magica, questa volta: l’idealismo magico.
Il filosofo e il suo “nichilismo attivo”
Il nichilismo attivo di Evola, il suo esistenzialismo positivo, la sua etica post-nihilistica, al fine di superare il moderno nichilismo europeo, collocherà Nietzsche in un quadro di riferimento che trascende l’idea naturalistica della vita – la vita come immanenza – dello stesso filosofo tedesco; oltre ciò che Evola considerava l’aspetto deteriore e inconsistente di Nietzsche, il suo limite più evidente. Nietzsche, al pari di Leopardi, nell’evocare la trascendenza, la collegava intimamente all’immanenza, al naturalismo, alla vita e non a un principio superiore ad essa. Quella di Evola è ancora una volta trascendenza = ascesi dalla vita; egli non auspica la vita, ma un più che vita, qualcosa di superiore, contro Nietzsche. Il problema fondamentale di Nietzsche, secondo Evola, è infatti che in lui vita e trascendenza sono continuamente intrecciate. Per superarlo, Evola postulerà il passaggio dal piano di Dioniso a quello di una spiritualità superiore, apollinea, olimpica, in cui il vero senso misterico di Dioniso si riduce a un paradossale e sterile apollineo-dionisiaco, a una sorta di Spiritualismo stoico, eroico e virile:
il coesistere di un distacco con l’esistenza pienamente vissuto… un genere intellettualizzato e magnetico di ebbrezza, completamente opposto [sic!] a quella che deriva dall’apertura estatica al mondo delle forze elementari, dell’istinto e della natura.
(J. Evola, Cavalcare la tigre, p. 67)
L’oggettività del reale è negata e risolta, paradossalmente, in una coscienza che viene concretizzata in un’individualità idealizzata, eroica e virile. È il particolare senso deteriore conferito da Evola al metafisico, che in realtà, se inteso correttamente, non abbandona la materia: il metafisico contempla l’irrazionale, l’empiria, e vi attinge, come per osmosi, mentre la metafisica di stampo speculativo, fugge dalla materia, per vegetare nell’uomo (lo “Spirito”) come sola riposta all’uomo – non l’uomo prosaico, urbano, moderno, bensì l’uomo dell’idealismo magico: sono due forme diverse di profilassi, ma sempre di profilassi trattasi.
L’idealismo magico, la razionalizzazione e la soggettività
All’istanza posta dall’idealismo – assorbire tutto l’essere nel pensiero, in modo tale che il reale non sussista indipendente ma solo nella coscienza – si aggiunge volontaristicamente la magia, una sorta di concessione anagogica, per superare la sostanza astratta, intellettualistica di questo stesso idealismo, che lo rendeva solo un’entità di conoscenza razionale, qualcosa di ancora troppo prosaico, moderno, immanente: solo “Lettere, Filosofia e Pensiero”. È un guazzabuglio intellettualistico tra esoterismo e filosofia: il primo amplierebbe gli orizzonti della Filosofia, mentre questa, a sua volta, si imporrebbe al fine di sistematizzare e razionalizzare i contenuti dell’esoterismo!
Il pensiero sulla magia sembra ridursi a rendere magica la Filosofia mantenendo salda l’essenza, e il dominio, di quest’ultima. L’autentica soggettività, la singolarità – quella che Evola in alcuni occasioni stigmatizzerà come un: dogmatico, quanto arbitrario, divagare soggettivo – va perduta. Tutto sembrerebbe assimilabile nella rappresentazione dell’idealismo magico: dalla coscienza che si proietta al di sopra della laida materia. Questo nonostante Evola critichi l’intero idealismo svoltosi da Kant in poi, la sua fuga dal mondo, la sua catarsi dal reale nel vuoto universale di un concetto, l’idealismo di un immaginario Soggetto trascendentale, contrapponendogli un particolarissimo personalismo che ci spingerebbe oltre l’idealismo attraverso la concretezza esistenziale del tantrismo indù:
Vedendo nella forza l’essenza di ogni realtà, i Tantra rigettano i metodi puramente intellettuali, conoscitivi e devozionali propri ad altre scuole, tendono ad incentrarsi nel principio più profondo, partendo dal quale vogliono dominare sia la vita che la realtà fisica.
(in L’uomo come potenza).
È una fiction gnoseologica, quella di Evola, un brainfart intellettuale, che può sedurre unicamente personalità affini o ricercatori e accademici che riflettono sulla vita più che viverla. Metanoia per personalità infatuate dall’esoterismo.
La critica all’idealismo kantiano
È una critica essenziale all’idealismo, che rimane comunque immanente all’idealismo – a un idealismo trascendentale post-kantiano – che pretende di conservare, tuttavia, a differenza dei post-kantiani, un fondo non-filosofico, prerazionale; benché questi sia, in ultima istanza, un fondo irrazionale posticcio, spirituale, astratto, un irrazionalismo neo-idealistico controllato, un ambito eroico-magico appannaggio di una élite dominatrice della Scienza Sacra, l’Io magico etc. Sotto questo aspetto, è una realtà non molto dissimile dal surrealismo, dal suo sfruttamento razionale dell’irrazionale, benché trasfigurato da Evola su un piano spirituale. È, tra l’altro, il passaggio da un idealismo oggettivo a una sorta d’idealismo soggettivo (vi sono alcuni punti in comune con lo schema dell’idealismo del romanticismo tedesco), epurato, tuttavia, dal soggettivo empirico, inferiore, e dunque, paradossalmente, della singolarità più autentica, effettiva: la soggettività è promossa ma allo stesso tempo neutralizzata nell’idealismo magico.
Evola, da qualche parte:
là dove dalla ganga dei semplici lirismi, si liberano illuminativamente brividi di sensazioni oggettive, soprannaturali e irriducibili a meri parti poetici.
Il paradosso è qui: è una falsa soggettività che si impone come compito quello di annientare la vera soggettività, di pastorizzarla. L’individuo di Evola trascende l’immanenza per approdare una libertà da quel se stessi determinato dalla biologia e dalla psicologia che, sotto forma di carattere personale o di inclinazioni, non rappresenterebbero altro che ancora mera natura! È un extra-filosofico che non va in direzione della vita, ma, al contrario, in direzione dell’ascesi, dello Spiritualismo, anche se di natura virile. È a questa ipoteca che la volontà viene legata, a un paradosso razionale artificialmente circonfuso di anagogico e di esoterismo.
Se vengono effettivamente superate alcune delle rigidità dello spiritualismo classico, come anche dell’idealismo classico (egli spinge infatti l’idealismo a radicalizzare il principio astratto dell’Io come atto puro e a trasformarlo in “individuo assoluto”, in volontà effettiva di dominare l’essere e risolverlo in sé, in un principio concreto di autodeterminazione – forse una delle vere discriminanti tra l’idealismo classico e il neo-idealismo di Evola), contrariamente a quanto si crede, l’apparato Filosofico (l’uomo come sola risposta all’uomo), qui, non è semplicemente accessorio, parallelo o simultaneo alla vocazione magica, malgrado le stesse parole di Evola al riguardo (quando sostiene la superiorità del mito, della leggenda, della saga su ogni materiale giudicato meramente dal punto di vista “storico” e “scientifico”).
La trascendenza, il sovrannaturale, in questo quadro, mancano dell’alleanza tra biologia e gnosi. Il sovrarazionale è solo un inveramento spiritualistico, magico, del razionale, dall’alto. E non è un caso che Evola parli di sovra, poiché rifiuta apertamente di confrontarsi realmente con le forze “selvagge” del reale, quelle “basse”, “sub-razionali”, “pre-personali”. Lo stesso errore lo commetterà Papini in altro ambito (ricordo ai lettori che il suo Il crepuscolo dei filosofi fu solo un exploit giovanile, che ben presto egli rinnegò), quando, pur amando Leopardi, si allontanerà dal suo radicalismo irrazionale, dal suo radicale materialismo che non manca di affondare le sue radici nel metafisico (non ho detto metafisica), proponendo una “meta-filosofia”, innestando sull’ultra-filosofia del recanatese il fondo speculativo del suo cattolicesimo (di Papini) – il prefisso “meta” nel nuovo conio non è casuale.
Papini, Leopardi ed Evola
Giovanni Papini nell’illustrazione di Domenico Di Francia per “Il Bestiario degli italiani” numero 0
Leopardi, al contrario, parlava significativamente di ultra–filosofia, di qualcosa che si proietta oltre, non sopra, di una empiria parallela al metafisico, e non di una “meta-filosofia”, dove l’estrema concretezza del tragico è silenziata e sublimata, come accade nella filosofia cattolica di stampo speculativo. Si possono fare mille distinzioni, ma ciò che indica la strategia di Papini, come quella di Evola e tanti altri, è una sofisticata fuga dal reale, per rinchiudersi nel grande colombario dei concetti – il cimitero dell’intuizioni, come scriverà Nietzsche in Su verità e menzogna in senso extramorale.
Evola è sempre concettuale, cambia solo il territorio di applicazione – egli spinge semplicemente lo schematismo del concetto oltre la modernità razionale del materialismo scientista e immanentista; ma la sua pars construens non è migliore di ciò che combatte. Le sue tesi sono in buona parte condivisibili in ciò che nega, ma non in ciò che afferma. Questo genere di posizione supera indubbiamente quell’antropologia umanista che indugia in una conquista materiale (scientista, immanentista) del mondo, tipica di quel mondo moderno che Evola critica, per superarla con un’altra antropologia, che supera questo stesso umanismo deteriore dall’alto, con una prospettiva anti-biologistica; esattamente come accade con l’Ontologia heideggeriana, che paradossalmente si risolve in una trascendenza antiumana – in una trascendenza estranea alle cristallizzazioni passionali o di esperienza volgare, direbbe Evola che, su questo punto, coincide con la posizione del filosofo tedesco.
È significativo che questi siano gli anni in cui Evola rifiuta il concetto d’ispirazione, in quanto, secondo lui, una passione vissuta e non agita, governata a piacimento, in una pura autoreferenzialità della forma (formalismo), sarebbe un male. Ci viene giustamente detto che l’uomo non è un semplice mezzo cui manca ogni creatività, eppure, accanto a una concezione attiva e non meramente passiva della figura dell’artista, non gli viene mai affiancata anche la concezione del genio come ispirazione, medium e riflesso di forze estranee che lo avvolgono, il spiritus ubi vult spirat. Semplicemente, si esclude quest’ultima opzione.
Lo Spiritualismo di Evola, il suo idealismo magico legato a una visione non-naturalistica e non umana (contrapposta alle bassezze dell’umano), è una volontà che non sembra mai coincidere con la spontaneità, ma con un certo intellettualismo spiritualista, che lo stesso Evola vede come un aspetto positivo dell’arte; anzi, è questa volontà intellettualistica a prevalere sulla spontaneità. Intelligenza e volontà versus istinto e intuizione. Evola parteggia sempre per la prima coppia, e se critica la scienza positiva (materialista ed empirista) e la morale autonoma (borghese) nata dalla moderna Zivilisation come sintomi di décadence (in sostanza, la falsa conquista materiale del mondo da parte del mondo moderno – ecco l’unica vera distinzione), ciò accade per sostituirla con la concreta conquista Spiritualista del mondo, in cui la libertà assoluta nega il reale a favore di un Io superiore all’empiria, pura coscenzialità. Il concepito, il pensato, l’intelligibile – il regno del concetto – che vengono inclusi, trasfusi ed elevati, con una sterile e fredda ingegneria metallica, nello Spiritualismo magico del particolarissimo idealismo di Evola.
La libertà assoluta
Quando Evola parla di libertà assoluta, persona assoluta, del libero arbitrio, del magico, del peccato originale, dell’Albero della Vita, della volontà, della potenza, dell’al di là del bene e del male – queste categorie vanno sempre inserite nel suo impianto idealistico, sebbene riformato sia rispetto all’idealismo classico sia rispetto allo spiritualismo classico. La sua è un’alchemica trasmutazione, un’ascesi, non più di segno passivo per l’individuo, come accade in gran parte le filosofie e le religioni dell’ascesi, ma un’ascesi virile, individuale e attiva: una volontà di potenza ascetica o, se vogliamo, una volontà di conoscenza potente, virile. È in questo contesto che si inserisce la vocazione esistenzialistica.
La trascendenza è sempre in funzione dell’alto e dall’alto – da qui anche il concetto di Tradizione, dove il tragico non ha davvero posto nell’avventura spirituale. È un’intelligenza del reale storbidata (Evola dixit) dalle passioni della soggettività empirica e transitoria, liberata dai veli della sua morale umanistica secondo un principio non patetico o polemico e quasi eidetico (questa parola è significativa, poiché rinvia a un chiaro processo di astrazione, che sia definito – e distinto in – “intellettuale” o “spirituale”, poco importa). La verità non è interpretata in funzione della vita, in quanto il pregiudizio della vita (come accade in Nietzsche) sarebbe solo il limite di idee naturalistiche ed evoluzionistiche o biologistiche, una semplice immanenza, secondo le parole dello stesso Evola. La trascendenza non è interpretata in funzione della vita, al contrario, si guarda alla vita in funzione della trascendenza, dell’ascesi. L’Essere sarebbe cosi reazione alla vita, l’Essere che “non può procedere dalla vita stessa” (Evola).
Il neo-umanesimo ricorretto di Evola
Quello di Evola è un neo-umanesimo ricorretto. Se nell’umanesimo moderno – dove dominano le scienze positive o naturali, la tecnica, l’industrialismo e il materialismo, l’appiattimento sulla standardizzazione, il prevalere della quantità sulla qualità, del collettivismo e dell’egualitarismo etc. – gli aspetti sacri, metafisici, i contenuti simbolici evocatori non-umani vengono per lo più ignorati, Evola, al contrario, li evoca, ma per trasfigurarli, paradossalmente, in mera dialettica alchemica (quale sia la “sintesi”, lo si intuisce in tutto ciò che egli propone con la sua pars construens, con il suo lato “positivo” e “spirituale”); e benché il suo neo-umanesimo Spiritualista, aristocratico superi il neo-umanesimo della sua epoca, in quanto quest’ultimo reagiva alla deriva scientifica e tecnica della modernità contrapponendogli semplicemente “le Lettere, la Filosofia e il Pensiero”, come lo stesso Evola noterà, quest’ultimo non esce dalla contraddizione che qui, in lungo e in largo, andiamo chiarendo; egli dà semplicemente luogo a una sostituzione epistemica che passa dalle semplici e prosaiche (ancora troppo inferiori, moderne, urbane, umane troppo umane, un “intellettualismo” troppo immanente) “Lettere, Filosofia e Pensiero”, a un ambito che privilegi lo spirituale, il magico, il sacro etc. Evola vuole semplicemente trasfigurare l’intellettualismo moderno in spiritualismo, in un’atletica spirituale virile (notate bene: questa è l’unica vera distinzione tra l’idealismo classico e il neo-idealismo magico di Evola). Ma il senso dell’astrazione non cambia.
Come ha giustamente notato Marcello Veneziani, Evola è stato, da filosofo, il teorico che forse più ha interpretato i fondali della società contemporanea: il suo Individuo Assoluto è in fondo la gigantografia della condizione contemporanea, dei giovani soprattutto. La solitudine, l’anarchia e l’autarchia di fondo del suo pensiero sono insieme la più forte rappresentazione dell’individuo occidentale d’oggi e insieme la più grande smentita del suo stesso tradizionalismo. Anche i ragazzi incomunicanti e solitari, barricati in un altro Mondo onirico e irreale, come Second Life, sono piccoli individui assoluti connessi a virtuali tradizioni.
«Ho dovuto aprirmi da solo la via… Quasi come un disperso ho dovuto cercare di riconnettermi con i miei propri mezzi ad un esercito allontanatosi, spesso attraversando terre infide e perigliose» (J. Evola)
Fonte: L’intellettuale dissidente