Skira presenta a Milano il libro di Franzosini ‘Rimbaud e la vedova’, giovedì 10 maggio

Giovedì 10 maggio alle 18.30 al nuovo Circolo dei Lettori di Milano a Casa Manzoni, in Via Morone 1, si terrà la presentazione del libro Rimbaud e la vedova, di Edgardo Franzosini, per SKIRA editore. Con l’autore interverranno il poeta Valerio Magrelli e lo scrittore Hans Tuzzi. Il libro racconta il periodo, tra marzo e aprile 1875, in cui il grande poeta arrivò a Milano proveniente da un rocambolesco viaggio a piedi dalla Svizzera e fu ospitato e accudito da una misteriosa vedova abitante in piazza Duomo 39 dove oggi c’è la Rinascente. Il periodo coincide con la decisione di Rimbaud di abbandonare per sempre la poesia, nei brevi anni di vita che gli rimarranno si dedicherà infatti a vari disparati mestieri. Franzosini ne racconta la vicenda con sapienza rendendola avvincente, pur basandosi su pochissimi documenti reali.

Dopo l’incontro sarà possibile effettuare una visita guidata gratuita al primo piano di Palazzo Anguissola delle Gallerie d’Italia, sede museale di Intesa Sanpaolo, con le vedute del Duomo e di Milano.

“Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi.” Tra l’aprile e il maggio 1875 per alcune settimane Arthur Rimbaud, il grande autore di Vocali, Il Battello ebbro e Una stagione all’inferno, dall’esistenza scandalosa e ricca di colpi di scena, si ferma a Milano dove sembra essere ospitato nella casa di una misteriosa vedova, affacciata su piazza Duomo. In quello stesso 1875, il giovane prende la definitiva decisione di rinunciare alla letteratura, trasformandosi, per dirla con Mallarmé, in “qualcuno che era stato lui, ma che non lo era più, in nessun modo”.

Edgardo Franzosini evoca quei giorni con raffinata dovizia di particolari, ricostruendo come un investigatore tenace e sapiente il soggiorno di Rimbaud attraverso le tracce lievi e suggestive lasciate dal poeta nella Milano dell’epoca.
Franzosini è nato in provincia di Lecco. Vive a Milano. Ha pubblicato: Raymond Isidore e la sua cattedrale (Adelphi) Premio l’Inedito e Premio Procida-Elsa Morante, Bela Lugosi. Biografia di una metamorfosi (Adelphi) Premio Fimcritica, Sotto il nome del Cardinale (Adelphi), Sul Monte Verità (Il Saggiatore), Questa vita tuttavia mi pesa molto (Adelphi) Premio Comisso e Premio Dessì, Il mangiatore di Carta (Sellerio). I suoi libri sono stati tradotti in Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Collabora con “la Repubblica”.

Il mito di Rimbaud persiste in quanto egli si propone come l’unico personaggio-protagonista della sua opera, l’unico attore di una tragedia. Tragedia classica per la sua sottomissione alle tre regole del genere: unità di tempo: una breve adolescenza; unità di luogo: lo spazio chiuso di un’anima; unità d’azione: la lotta con l’angelo. Già alla fine del secolo scorso la leggenda si è impadronita del poeta, e lo ha mitizzato, dando vita a una tradizione rimbodiana che troppe volte ha ostacolato una serena visione critica dell’uomo e del poeta che confondeva tutto con l’arte.

‘Non tutto è perduto’ e ‘Queste note dei giorni’, il controllo razionale del poeta Valerio Magrelli

Il poeta, traduttore e critico letterario Valerio Magrelli nasce a Roma nel 1957, pubblica i suoi primi versi nel 1977 su “Nuovi Argomenti” e tuttora collabora come critico e poeta con varie riviste. Magrelli ha pubblicato i volumi di versi Ora serrata retinae (1980), Nature e venature (1987), Esercizi di tiptologia (1992), il tutto poi raccolto in Poesie nel 1996. Ha curato l’antologia Poeti francesi del Novecento e varie traduzioni dal francese, del 1990 è suo il saggio Profilo del dadà. In virtù della sua attività letteraria – che ha situato Magrelli fra gli autori all’avanguardia della poesia italiana – ha ottenuto molti premi letterari, fra cui il Premio Mondello, il Premio Viareggio per la poesia, il Premio Nazionale Letterario Pisa per la poesia, il Premio Frascati, il Premio Brancati e il Premio Librex Montale. Nel novembre 2003 l’Accademia Nazionale dei Lincei gli ha conferito il Premio Antonio Feltrinelli.

Senza dubbio Nature e venature, opera seconda di Magrelli, è quella più significativa: il poeta stesso, parlando in una nota alla terza edizione di Ora serrata retinae, dichiara di aver voluto passare dalla monoscopia alla stereoscopia, dall’autoscopia, all’eteroscopia, dal monolite al frammento, smuovendo la superficie immobile della prima raccolta. Tale affermazione ben riassume i caratteri dominanti delle poesie di Nature e venature, perlopiù brevissime, dall’ispirazione varia e tratta dal mondo esterno, ma che sempre diviene occasione di riflessione sull’esistenza; poiché la varietà, la mobilità, la molteplicità degli spunti vengono a costruire lo sfondo più adatto a far risaltare, quasi per contrasto, “chiarezza e perspicuità”, ovvero le verità delle cose. Di seguito due poesie tratta dalla raccolta Nature e venature.

 

Non tutto è perduto

Non tutto è perduto

se un anno ogni quattro

perfino il calendario gregoriano

prepara un’offerta residua.

La premurosa eccedenza del tempo

va intesa come norma di natura

cenno della cautela che promette

ad ogni cosa un dono bisestile.

 

Queste note nei giorni

Queste note dei giorni

sono briciole

per ritrovare il sentiero

lungo il bosco degli anni.

Ma verranno i fringuelli

a cancellare le tracce,

a beccare molliche,

a seguire la pista,

a mangiare la strada,

a divorarti.

Le due poesie di Nature e venature, entrambe in versi liberi, bene esemplificano l’affermazione con cui Magrelli aveva chiuso il suo primo libro, Ora serrata retinae: “Per me la ragione/della scrittura/è sempre scrittura/ della ragione”; egli sottolineava in questo modo l’importanza che la componente riflessiva ha nella sua poesia. Ciò segna la distanza di Magrelli dalle poetiche dell’inconscio e dell’irrazionale, che pure hanno avuto notevole spazio presso i poeti più giovani. Forte è l’uso della metafora: il primo testo prende spunto da una riflessione sul giorno in più degli anni bisestili per giungere ad una considerazione sul tempo e soprattutto sulle sorprese che la vita ci riserva, sulle occasioni che concede quando meno ce lo aspettiamo. La seconda poesia affronta la questione della funzione della poesia stessa muovendo da una similitudine tra il poeta e Pollicino: come il protagonista della fiaba semina invano le briciole per ritrovare la strada di casa, anche il poeta semina invano le sue parole lungo il bosco degli anni.

Il controllo razionale che Magrelli esercita sulla sua materia si manifesta soprattutto nella ricercatezza delle analogie, tendendo a rendere più evidenti i segreti rapporti che gli sembra di cogliere tra le cose e la cui scoperta costituisce l’occasione che ha fatto scaturire la poesia.

 

“Io sono ciò che manca”, una lucida riflessione di V. Magrelli

Io sono ciò che manca
dal mondo in cui vivo,
colui che tra tutti
non incontrerò mai.
Ruotando su me stesso ora coincido
con ciò che mi è sottratto.
Io sono la mia eclissi
la contumacia e la malinconia
l’oggetto geometrico
di cui sempre dovrò fare a meno.

Valerio Magrelli nasce a Roma nel 1957. Laureato in Filosofia, docente di lingua e letteratura francese all’Università di Pisa diviene famoso sia per il suo lavoro di poeta, sia per la sua attività di traduttore (ha tradotto infatti autori come Mallarmè Valèry), curando anche un antologia di Poeti francesi del Novecento. Tra le sue opere poetiche ricordiamo Ora serrata retinae (1980), Nature e venature (1987), Esercizi di tiptologia (1992), Nel condominio di carne (2003), Disturbi del sistema binario (2005). Inoltre Magrelli lavora anche nel campo critico, sono da ricordare: Profilo del Dada (1990) e La casa del pensiero. Introduzione all’opera di Joseph Joubert (1995).

Io sono ciò che manca è una poesia della raccolta Ora serrata retinae, quindi del periodo giovanile dell’autore romano. La raccolta ha richiamato l’attenzione della critica per le sue trovate espressive e tematiche e ha fatto la prima fortuna di Magrelli come poeta; essa si caratterizza per la presenza di contenuti intellettuali, per il lessico scientifico e astratto, per il taglio lucido e razionale che doveva favorire la riflessione e il pensiero. Si può notare inoltre la preponderante presenza di un analisi rigorosa e razionale che quindi limita le compartecipazioni soggettive e sentimentali del poeta, cancellando, o quasi, quella che è la componente lirica della poesia.

La concezione poetica che accompagna questa prima raccolta la ritroviamo anche nella seconda raccolta di Magrelli, Nature e venature. Invece verrà a cambiare nella terza raccolta, Esercizi di tiptologia, dove infatti il linguaggio si allontana dall’ideale di purezza stilistica delle prime due raccolte per impreziosirsi di contaminazioni prosastiche. A uno stile inizialmente geometrico e preciso si va sostituendo uno stile disgregato e frammentario.

La poesia Io sono ciò che manca parla di un vuoto geometrico; nonostante il soggetto “io” venga nominato quasi sempre nella poesia è facile notare che esso non ha alcuna valenza soggettiva e sentimentale, anzi diventa un canale che filtra una realtà oggettiva, ovvero l’impossibilità di comunicare con il vero “me stesso”. L’interpretazione di questa lirica è spinosa e si presta alle più varie interpretazioni, di cui quella proposta è solo una fra le tante.

Io sono ciò che manca
dal mondo in cui vivo

I primi due versi potrebbero essere conciliati in questa espressione: Io sono assente nel mondo in cui io vivo. Tutto questo appare come una profonda contraddizione verbale, come posso io non esistere nella realtà che io stesso creo?

Un’ interpretazione potrebbe essere ottenuta se si sdoppiano i personaggi a cui si rifanno i due “io” e introducendo il concetto di io come volontà: Il primo io è riferito all’oggettività, all’esistenza del proprio corpo e della propria anima, mentre il secondo io  è riferito al motore della propria oggettività e della propria esistenza a volte inconscio, la volontà di esistere, come ci fa capire il fatto che l'”io” non sia dichiarato ma sia sottinteso.

Per fare un esempio pratico: il movimento inconscio di una mano o di uno sguardo palesano il fatto che in quel movimento o in quello sguardo io non esisto, non sono io a compierlo direttamente nella volontà ma che comunque il mio corpo e la mia anima hanno agito.

Di qui l’identificazione del proprio io con l’agente motore, la volontà di esistere, quindi io sono quello che vive mentre l'”io” di io sono ciò che manca si riconosce nell’oggettività di un corpo come un altro o di una persona come le altre, che compie il gesto della mia volontà, del mio vero io. Dunque due realtà inconciliabili, l’una schiava dell’altra.

Un’altra interpretazione potrebbe ottenersi invece conciliando i due io allo stesso individuo: Io sono ciò che manca dal mondo in cui io vivo. “Io” stavolta non significa volontà di esistere, bensì rappresenta proprio l’essere. “Il mio essere è ciò che manca dal mondo in cui il mio essere vive”, dunque si osserva un estraneità totale al mondo e all’esistenza, l’essere individuale non si riconosce nell’esistenza totale e dunque ne riconosce una presa di distanza piuttosto netta.

Colui che tra tutti
non incontrerò mai.

Colui che tra tutti gli altri esseri, la mia volontà di esistere non incontrerà mai come suo pari. La mia volontà non potrà mai incontrare il mio corpo, poiché essa agisce su di esso. La volontà come padrone e l’esistenza come schiavo, diventano due materie inconciliabili. Per fare un esempio pratico, è come uno specchio. “Io” come volontà  vedo nello specchio solo l’immagine di “io” come corpo e anima e non il corpo e l’anima stesso, si tratta quindi di una qualificazione riflettente dell’esistenza. La volontà dunque non incontrerà mai l’esistenza pura.

Una ulteriore interpretazione potrebbe essere la seguente: io non incontrerò mai il mio stesso essere; da qui nasce uno sdoppiamento. L’essere che io sono  non incontrerà mai l’essere che io pratico. L’astrazione dal paradigma unitario di essere è totale. L’essere che esiste come “io” non è l’essere che esiste come “io che vivo”, una contraddizione sostanziale tra ciò che sono e tra ciò che sono in vita, ad accentuare ancora di più l’alienazione dall’esistenza totale, che differenzia l’io personale e l’io nel totale.

Ruotando su me stesso ora coincido
con ciò che mi è sottratto.

L’azione della volontà come agente modificatore dell’esistenza fa sì che io possa riconoscermi proprio come volontà agente quindi io sono quello che crea e modifica il mondo che la mia anima vive e proprio in questo io esisto come essere singolo. Invece l’esistenza perfetta si esprime come connubio tra volontà e azione poiché la mia volontà genera un azione nell’esteriorità ed è proprio questo l’individuo completo, cioè volontà e azione che però mi viene sempre sottratto dal fatto che non possa essere entrambi e mi riconosca ad essere solo una parte.

Io sono la mia eclissi
la contumacia e la malinconia.

Ricordando l’impossibilità di incontrarsi, il vuoto che separa la volontà dell’individuo dal resto del mondo, che è un vuoto fatto di esistenza personale, si ci accorge di essere autolimitanti nell’incontrarsi con sé (“Io sono la mia eclissi”), perciò si avverte tutta  la mancanza tipica della malinconia attraverso il processo della contumacia, ovvero dalla distanza obbligata tra i due “io”.

L’oggetto geometrico
di cui sempre dovrò fare a meno.

l’unione dei due “io” sarebbe l’unione perfetta dell’individuo, l’oggetto geometrico preciso e imperfetto, che però sempre mi mancherà, poiché i due “io” sono parti immancabili di una vita che però non possono conciliarsi, limitati entrambi ed entrambi necessari all’altro.

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