Vincenzo Cardarelli, poeta inquieto alla ricerca del mondo dell’infanzia

Vincenzo Cardarelli, fra le più grandi personalità letterarie della poesia del ‘900, nasce l’1 maggio 1887 in provincia di Viterbo. La sua è una famiglia di origini modeste; il padre, Angelo Romagnoli, gestisce un piccolo caffè mentre la madre Giovanna, è una presenza sospesa e ambigua nella vita del piccolo Vincenzo poiché praticamente assente nella sua vita. Il vuoto lasciato dall’assenza della figura materna e i suoi problemi fisici contribuirono a intaccare la sua produzione artistica. Le sue poesie, infatti, sono versi che aleggiano nel ricordo: emerge chiaramente la sofferenza percepita dal Cardarelli circa il suo rapporto conflittuale con il padre ma, anche, per la sua difficile condizione familiare.

Le opere di Cardarelli sono in bilico perenne; un contrasto di odio e amore per la figura paterna che sì, riconosce come tale, ma quasi disconosce in quanto il genitore non comprende la sensibilità artistica del figlio. Desiderio del padre era infatti che il giovane Vincenzo diventasse un commerciante; a tal proposito, gli impedisce di continuare in modo regolare gli studi. Solo nel 1906, alla morte del padre e dopo aver intrapreso lavori fra loro differenti, inizia a scrivere per l’Avanti come correttore di bozze e critico. In seguito, lavora per La Voce e, nello stesso tempo, si trasferisce a Firenze; mentre, nel 1914 avvia la stesura dei Prologhi.

 

Cardarelli: produzioni inquiete e influenze dal simbolismo francese

A questo periodo appartengono le sue prime opere; le prime produzioni di Cardarelli rispecchiano totalmente la veridicità della sua storia personale. Sono versi permeati di sgomento, inquietudine, agitazione, malinconia. Cardarelli legge Leopardi e Pascoli: i due grandi poeti lo influenzano in gran parte della sua produzione. Nel 1914 vince una borsa di studio e  parte per la Germania; tuttavia, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, arresta il desiderio di proseguire finalmente il percorso di studi tanto sognato.

Arriva a Lugano dove si ferma per cinque mesi, in seguito agli orrori della Grande Guerra, ma non è richiamato alle armi a causa di una malformazione alla mano sinistra; in condizioni economiche precarie fonda la rivista La Ronda nel 1919,  sempre attento a tenersi ben lungi dalla politica.

Purtroppo, chiude nel 1923. La Prima Guerra Mondiale, le influenze letterarie e la storia personale del poeta danno vita a una produzione letteraria corposa, che diventa sensibile e aulica anche  grazie alle influenze del simbolismo francese. Cardarelli apprezza e legge  BaudelaireVerlaine e Rimbaud. Dopo poco tempo, parte per la Russia con lo scopo di osservare il contesto, la società e il mondo sovietico scrivendo per il quotidiano romano Il Tevere.

 

Una poetica imbevuta di tormento e la ricerca costante del mondo dell’infanzia

L’inquietudine, il tormento, l’eterno moto dell’anima non lo abbandonano mai. A ridosso della Seconda Guerra Mondiale è paralizzato in una rete di concezioni che si intersecano con i grovigli della sua anima claudicante, i ricordi dell’infanzia, e i pensieri di un presente funereo. Vive in mondo parallelo, quasi in un tempo fatto di sospensione; ogni giorno si fa portare al caffè Strega vicino casa sua, dove rimane galleggiante nei suoi pensieri.

La ricerca del mondo infantile lo attanaglia, così come la figura di una madre assente che, nonostante il tempo e il dolore, prova a ricercare in una dimensione che fu. Decide quindi di recarsi nella sua città natale tentando di immergersi e rivivere le atmosfere della sua infanzia, rimanendone deluso. Torna a Roma nel 1945 ma l’angoscia e la malinconia protagoniste della sua vita, si acuiscono ancor di più; sfumature palesi nella sua opera datata 1948 e vincitrice del Premio Strega: “Villa Tarantola”. Muore a Roma il 18 giugno del 1959, all’età di 72 anni.

‘’Crudele addio’’, l’abbandono della figura materna foriero di fragilità future

La poetica di Cardarelli è interamente permeata dalla mancanza della madre. Il dolore di quest’assenza si riflette in ogni verso, quasi come un canto di dolore sopito che infiamma l’anima del poeta. Nonostante il tempo trascorso per Vincenzo Cardarelli la mancanza della figura materna è una ferita che pulsa, non si rimargina; nel dolore lancinante c’è sempre spazio ai quesiti che, il poeta ormai adulto, continua a porsi con un modo di fare ingenuo e delicato quasi come se una parte di lui fosse rimasta cristallizzata nel momento esatto dell’abbandono della madre.

Il dolore che Cardarelli esprime nei suoi versi, non è crudele, rabbioso, auspicante vendetta. Si potrebbe paragonare a una mistura: un veleno fatto di angoscia, tristezza, quesiti senza risposta che corrodono l’intimo, sgretolano l’anima. Quello che balza subito allo sguardo è la dignità immersa nella compostezza del dolore che, questo poeta dall’animo delicato, non smette di propagare. Da questi sentimenti contrastanti nasce la lirica ‘’Crudele Addio’’, il cui protagonista è un bimbo solo deriso dai coetanei:

Ti conobbi crudele nel distacco.
Io ti vidi partire
come un soldato che va alla morte
senza pietà per chi resta.
Non mi lasciasti nessuna speranza.
Non avevi, in quel punto,
la forza di guardarmi.
Poi più nulla di te, fuorché il tuo spettro,
assiduo compagno, il tuo silenzio
pauroso come un pozzo senza fondo.
Ed io m’illudo
che tu possa riamarmi.
E non fo che cercarti, non aspetto
che il tuo ritorno,
per vederti mutata, smemorata,
aver noia di me che oserò farti
qualche amoroso e inutile dispetto.

 

Facile pensare che si trattasse di una poesia autobiografica in quanto, lo stesso poeta, era schernito per la sua umile condizione d’origine e la sua malformazione all’arto superiore. Il dolore derivante dalla mancanza non lo pone in una condizione di ricerca attiva; non c’è nessun desiderio di trovare un panacea, un unguento miracoloso, ai suoi mali.

La sofferenza per l’abbandono è talmente forsennata e decisa che crea un vuoto, un vortice in cui è possibile scorgere solo un unico sentimento: un’angosciata rassegnazione. Questa solitudine iniziata con l’abbandono della madre si protrae anche nelle scelte sentimentali della vita del poeta; molte donne squarciano il suo animo, mettendo fulmineamente fine ai legami con Cardarelli. Di animo troppo sensibile, si lega a donne mondane, forti e probabilmente troppo indipendenti per un uomo che ricercava, come appunto un bambino, un affetto smisurato. Le sue relazioni, infatti, sono il prodotto di questa mancanza, questa fauce in cui scorre impetuosa una mestizia primordiale che per tutta la vita non riesce ad arginare.

 

Le donne di Cardarelli e la fobia del rifiuto

La benzina sentimentale e poetica che aiuta Vincenzo Cardarelli nella stesura delle sue opere, oltre alla sofferenza per la figura materna, sono proprio le relazioni naufragate. Le donne cantate da Cardarelli sono esseri evanescenti, ambigue, fluttuanti: si riflettono nei suoi versi quasi nell’anonimato ed è interessante notare come, in ogni poesia, sembra che Cardarelli parli di storie a senso unico, quasi immaginate e illusorie. Solo di una donna si conosce l’identità: Sibilla Aleramo. Il rapporto con questa personalità letteraria sopra le righe è magistralmente riassunto nella lirica ‘’Attesa’’:

Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

 

Le palesi differenze caratteriali fra i due portano il rapporto a incrinarsi: lui timido, fragile, lei spregiudicata, indipendente. La separazione è, adesso, un’ulteriore fonte di dolore per il poeta; c’è l’amarezza di aver creduto in un rapporto, nelle promesse che lo stesso amore, all’inizio idilliaco, aveva dichiarato. Adesso il naufragio è un’ennesima separazione, quindi una disfatta: per Cardarelli le relazioni sono quasi sempre motivo di rivalsa che, adesso nella catastrofe, generano un senso di fallimento. Dopo un’ulteriore scommessa si ritrova in solitudine e con sentimenti contrastanti di chi ama ma, per scelta altrui, è costretto a non amare più per tutelare la propria anima, le proprie fragilità.

I timori del poeta, nel tempo, si intensificano sempre di più fino a diventare delle vere e proprie nevrosi e sconfinare nella patologia. Cardarelli inizia a soffrire di una vera e propria fobia del rifiuto, addirittura arrivando a presagire segnali di abbandono in ogni sua relazione; i presagi e i segni che vede sono sempre più intensi, dolorosi e angoscianti. Il non sentirsi adatti, la rassegnazione di una vita fatta di abbandoni e partenze, lo scorrere del tempo; le immagini fluttuanti del ricordo misto a malinconia riverberano la poetica e l’animo del Cardarelli. Nella lirica ‘’Abbandono’’ si coglie quel sentimento di impotenza tipico del poeta, sussurrato in modo sommesso, tacito, come se il suo animo fosse cosciente che, la propria esistenza, non potesse riservargli nient’altro che questo.

Volata sei, fuggita
come una colomba
e ti sei persa, là, verso oriente.
Ma sono rimasti i luoghi che ti videro
e l’ore dei nostri incontri.
Ore deserte,
luoghi per me divenuti un sepolcro
a cui faccio la guardia.

 

Cardarelli riesce a cogliere il tormento e il senso di impossibilità che si ripercuote su un individuo quando è costretto, per decisione altrui, a subire la fine di una storia.  Ma, nonostante tutto, il poeta non mostra la sua collera: resta nell’attesa di un qualcosa, una speranza vana nonostante le ‘’ore deserte’’; la solitudine  lasciata dall’amata è adesso viva, un sepolcro in cui la mancanza si è fatta morte ma che Cardarelli non abbandona e, anzi, attende facendo la guardia a un’assenza.

 

L’io nei Prologhi di Vincenzo Cardarelli

L’opera d’esordio di Vincenzo Cardarelli è totalmente incentrata sulla figura dell’io dell’autore, che si manifesta, più che attraverso il ricordo e la rappresentazione puntuale di fatti biografici realmente accaduti, mediante un’accurata riflessione sulla propria interiorità e sulla percezione della realtà esterna e dei rapporti umani che vi si svolgono, condotta con rigore logico e affidata a sentenze lapidarie e perentorie.

In questo senso, i Prologhi, nel loro insieme, si configurano come un percorso di formazione che lo scrittore intraprende alla ricerca di un codice morale da seguire, esplorando le proprie angosce e cercando di riportare a unità i suoi dissidi interiori.

Protagonista assoluto del libro è lo stesso Cardarelli, il quale offre al lettore l’immagine problematica di un animo tormentato da spinte contrastanti, il ritratto di un uomo isolato dal mondo, costantemente alla ricerca dei mezzi per comprendere una realtà ostile e rappresentare nel contempo la propria lotta contro se stesso.

Ovviamente bisogna considerare che, trattandosi di un lavoro letterario, di finzione, l’autore, nonostante sia presente all’interno dell’opera in prima persona, di rado coincide in toto con l’io effettivamente descritto, ma seleziona in maniera programmatica quali parti di sé mostrare e quali celare. Di fatto, nei Prologhi i cenni biografici, quasi nulli, vengono solo abbozzati e utilizzati come punto di partenza per l’investigazione di stati d’animo ricorrenti, ma variamente declinati nei diversi brani;1 le esperienze private, spogliandosi dei connotati specifici nella descrizione di situazioni che assumono valore generale, sono accuratamente scelte per essere funzionali al progetto del diario di una crisi interiore su cui si imposta il testo, al punto che Giuseppe Raimondi, nell’introduzione al volume delle Opere complete cardarelliane, afferma:

Nella sua opera, non si sa mai in quale punto finisca l’influenza della sua esistenza sui risultati del lavoro letterario, dove si possa dire che la sua pagina sia il prodotto di una pura applicazione intellettuale, un’attenta sperimentazione stilistica, sia pure di alta efficacia estetica, e dove il peso dei sentimenti sprigionati dai minuti della giornata si trasformi, misteriosamente e subitamente, in idea poetica, in immagine. Si ha l’impressione di assistere, di essere testimoni di una nascosta competizione tra i fatti della vita e la nascita dell’immaginazione lirica.
La quasi totale mancanza di dati realmente autobiografici, unita alla genericità di quelli effettivamente proposti, che prima di posarsi sulla pagina subiscono un continuo processo di sublimazione, ha indotto molti critici a parlare per quest’opera di «astratto autobiografismo»: primo tra tutti Emilio Cecchi, il quale, recensendo il libro, asserisce che «l’assenza anche d’ogni traccia e simbolo d’oggetto affettivo […] dà uno smarrimento, un’angoscia di funebre e gelato petrarchismo».

La centralità dell’io è messa in risalto sin dai due brani che svolgono funzione proemiale, il breve frammento anepigrafo «La speranza è nell’opera» e la prosa Dati biografici. L’autore si presenta al lettore definendosi «un cinico che ha fede in quel che fa», veicolando l’immagine di un uomo legato alla concretezza e privo di qualsiasi spinta verso il trascendente, irriverente e dubbioso nei confronti della società in cui vive, la quale probabilmente non è in grado di comprenderlo e di accettarlo, inserendosi, in questo modo, in una diffusa corrente primonovecentesca di critica alle convenzioni imperanti.

Segue una biografia fittizia, che, a dispetto del titolo illusorio, per l’appunto Dati biografici, non fornisce alcuna informazione sulla vita di colui che scrive in prima persona, bensì, in aggiunta a varie delucidazioni sulla sua poetica, si concentra su un generico profilo morale; il ritratto si focalizza insomma esclusivamente sul lavoro letterario dell’autore, rimarcando le difficoltà che si sono sempre contrapposte alla sua creatività.

Ne emerge una figura di incompreso, ossessivo e in continuo fermento, soprattutto ragionativo, che non si limita a recepire e analizzare i fatti, ma li assimila febbrilmente (nel testo si utilizza il verbo divorare) che si considera vittima di forze superiori, nonostante in precedenza abbia detto di credere solamente nella propria opera.

 

Matteo Tabacchi

“Adolescente”: l’aulicità di Vincenzo Cardarelli

Le prime poesie di Vincenzo Cardarelli risalgono al 1909 e sono state pubblicate non distinte dalla prosa; solo nel 1936 e poi nel 1942, sono state raccolte nel volume delle Poesie, aperto dalla lirica Adolescente. La giovane figura che è oggetto dell’ammirazione e del desiderio del poeta è sentita come irraggiungibile a causa della sua irresponsabilità ed incoscienza gioiosa, tipiche di questo periodo della vita. La fanciulla protagonista della lirica è distanza dal suo osservatore anziano anche in quanto inconsapevolmente oggetto di desiderio mentre ella pensa solo a vivere, ma quando vorrà vedere come è fatto il gioco seguirà semplicemente il proprio capriccio: ad avere questa perla rara sarà un pescatore di spugne, anche lui incosapevole del bene che gli è toccato.

Su te, vergine adolescente,
sta come un’ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell’attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l’imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l’oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell’occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l’amore
nel cuor dell’uomo!

Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l’animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,

per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.

 

La tematica della poesia di Cardarelli è chiarito dalla contrapposizione tra il poeta (saggio in quanto dotato di consapevolezza) e la ragazza che hai verso la vita leggerezza e spensieratezza. Il modello leopardiano dal punto di vista formale è molto evidente ma si intreccia con altri modelli più recenti, come quello di D’Annunzio. Il poeta infatti adopera molti endecasillabi e settenari come il Leopardi degli idilli e degli ultimi canti, ma si avvale anche di molti versi liberi, richiamando alla mente l’Alcyone di D’Annunzio. Le rime creano una musicalitù rarefatta, nella prima strofa, le uniche rime sono: spogliata/astata (dritta)/bruciata/serrata e raggiungerà/sta, cui si affiancano le assonanze grazia/distanza, e appena/pienezza.

Per quanto riguarda il lessico, Cardarelli utilizza perlopiù termini aulici e letterari (recludi, veggo, astata, imporosa), ricorrendo ad uno stilema tipicamente leopardiano come l’accostamento di due aggettivi riferiti allo stesso sostantivo, come l’imporosa (perfetta, senza pori) e liscia creatura. Ciò che fa distinguere Cardarelli dai poeti precedenti è l’uso di una sintassi ridotta al minimo che evita quasi del tutto la subordinazione. Solo nella conclusioni emergono costruzioni più ampie dal carattere sentenzioso (Tu ti darai, tu ti perderai, ecc…). Nonostante il suo carattere discorsivo (la discortività è la cifra stilistica di Cardarelli), la poesia non rinuncia a similitudini, metafore ed analogie (Nel sangue, che ha diffusioni/di fiamma sulla tua faccia, /il cosmo fa le sue risa/come nell’occhio nero della rondine).

“La sera” vista da Rilke e Cardarelli: due poesie a confronto

POESIE A CONFRONTO-RILKE E CARDARELLI

Seppure le due poesie siano profondamente diverse, nel senso e nei contenuti, la tiepida presenza della sera in entrambe viene celebrata con viva sapienza e trattata secondo esigenze comunicative diverse, ma allo stesso tempo affini.

La sera – Rilke
Come una indefinibile fata d’ombre…
Vien da lungi la Sera, camminando
per l’abetaia tacita e nevosa.
Poi, contro tutte le finestre preme
le sue gelide guance e, zitta, origlia!
Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
non si attentano ancora ai loro giochi!
Le madri stanno siccome regine.
Cade di mano alle fantesche il fuso.
La Sera ascolta, trepida pei vetri:
tutti, all’interno, ascoltano la Sera.

La sera vista da Rilke è una sera celebrativa, mistica e intensa. Lo stesso verso iniziale rivesta la sera di una mitica e favolistica bellezza, la sera viene vista come una fata d’ ombre, un essere silenzioso, splendidamente oscuro che viene da lontano camminando. Il poeta crea un paesaggio, quello di un’abetaia nevosa e silente, che è la patria della sera, ad inserire la nascita della sera nello spazio più che nel tempo.

Poi la sera entra nello spazio degli uomini e preme sulle finestre per ascoltarli, ad impicciarsi di quelle vite che sempre vede stanche e assonnate, ma la sua curiosità viene corrisposta da un comune silenzio, che gli uomini armano sulle loro bocche: i vecchi pensano, i bambini non giocano e le madri stanno immobili fino ad addormentarsi.

La sera spia i loro movimenti, osserva in silenzio il loro silenzio e non si rende conto che anche gli uomini stanno ascoltando il silenzio della sera.

Sera di Liguria – Vincenzo Cardarelli

Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria, perdizione
di cuori amanti e di cose lontane.
Indugiano le coppie nei giardini,
s’accendon le finestre ad una ad una
come tanti teatri.
Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi
che stanno per salpare.

La sera di Cardarelli si carica di odori e colori, di malinconia e sale dal mare e crea paesaggi adatti all’amore, paesaggi fatti di ricordi, di perdizioni e cose lontane, come le speranze infrante o i ricordi.

Le coppie restano nei giardini ad amarsi con la sera che offre loro un tempo nascosto in cui possano vivere il loro amore. Le case si accendono tutte, come piccoli teatri, con luce e con attori che ancora desti recitano la loro personalissima opera della sera. Anche il mare nella nebbiolina sembra odorare, come se anche lui vivesse la sera. E le chiese sembrano navi che sembrano salpare verso l’infinito buio che è la sera.

Le prime analogie che possono riscontrarsi sono nell’elemento naturalistico che risveglia la sera. In entrambe le liriche c’è un luogo da cui proviene la sera. Per Rilke è l’abetaia, per Cardarelli è il mare, per entrambi è qualcosa di buio e tenebroso, dello stesso colore della sera, ed è sempre un luogo pieno di silenzi e colmo di misteri.

Inoltre si osserva come il silenzio sia molto più celebrato da Rilke che da Cardarelli: Rilke  infatti tende a enfatizzare quel silenzio ed è proprio in quel silenzio che la sera si conferma come la protagonista insieme agli uomini della poesia. La sera ascolta, come gli uomini ascoltano la sera, quindi uomini e sera sembrano essere vicini

Invece in Cardarelli la sera è viva, vispa, attiva, attraverso le bocche degli amanti, le parole delle persone in casa e del mare. La sera viene presentata come un entità temporale e non viene personificata al contrario di quanto accade in Rilke che appunto tende a farla avvicinare agli uomini. In Cardarelli la sera si manifesta più come tempo che come entità.

In entrambi la sera è l’elemento fondamentale attraverso cui filtrare un attimo della vita del mondo, quello che manifesta meglio la luce degli uomini, quando sono loro a dover illuminare il mondo. In questo senso la sera di Rilke diviene la luce della sapienza e del riposo e quella di Cardarelli diviene la sera della vitalità umana e della sua malinconica ripresa del passato che matura in una visione positiva della vita, con queste chiese pronte a solcare i mari nel buio delle tenebre.

E’ interessante osservare però che se anche il messaggio di fondo varia, sembrano non cambiare i mezzi di comunicazione dai due autori messi in campo, se è vero che le due visioni sono agli antipodi, è anche vero che entrambi gli autori parlano con semplicità della stessa cosa: degli uomini. Seppure la sera sia la protagonista in entrambe le opere, la sera esiste solo in funzione degli uomini e di come essi la vivono, perciò si manifesta in entrambi un velato seppure nutrito antropocentrismo, che forse risulta maggiormente delineato in Rilke, mentre Cardarelli tende a enfatizzare la componente naturale del mare e del paesaggio, concentrandosi sulla sera da questo punto di vista e forse dimenticandosi per certi versi degli uomini.

La sera quindi oltre a diventare un affascinante topos della letteratura diviene anche un mezzo di espressione delle varie occasioni di viverla, come avventura fugace di una sera di liguria o con profondo medito. Non c’è però un modo di vivere la sera e non si deve pensare a come viverla, l’importante è ricordarsi che c’è solo la sera.

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