Pierpaolo de Mejo, nipote di Alida Valli e tra i realizzatori del documentario a lei dedicato: ‘Mia nonna non era scontrosa, solo riservata’

Pierpaolo de Mejo è un giovane regista e attore, nato in una famiglia di artisti, suo padre infatti è Carlo de Mejo, attore attivo nel cinema dalla seconda metà degli anni sessanta (ha preso parte, tra gli altri a Teorema di Pasolini), figlio della grande attrice Alida Valli e di Oscar de Mejo, compositore di musica jazz.

Pierpaolo ha collaborato alla realizzazione di un documentario, selezionato nella sezione Classics di Cannes 2021, su sua nonna insieme al regista Domenico Verdasca e al supporto dell’attrice Giovanna Mezzogiorno, voce narrante nel film, per celebrare i 100 anni della nascita della diva italiana, suo malgrado. Già, perché Alida Valli era una donna schiva, timida, riservata, amava il suo lavoro, l’arte, ma non la mondanità. Se oggi Alida fosse viva e avesse 20-30-40-50 anni non avrebbe un profilo social e sarebbe restia alle interviste.

Pierpaolo de Mejo

Ma probabilmente non è questo il motivo per cui Alida Valli è stata in parte dimenticata, seppur rappresenti un bel pezzo di storia del cinema per i registi con cui ha lavorato e anche della Storia stessa, in quanto testimone dell’esodo istriano, in quanto nata a Pola il 31 mag 1921: in questo senso il documentario mostra un quadro completo e mai visto prima della vita di una giovane e bellissima ragazza di Pola Valli, che diventò in poco tempo una delle attrici più famose e amate del cinema italiano e internazionale.

Alida Valli infatti portando con sé il ricordo delle sue origini istriane, ma soprattutto è stata e forse è tuttora sentita come non italiana, primo motivo per il quale a molti è quasi sconosciuta. Il secondo motivo, è legato al pregiudizio e all’ideologia: la cronaca di quel tempo, dopo la caduta del fascismo, voleva Alida Valli amante di Mussolini, calunnia dalla quale l’attrice si è sempre difesa.

Alida Valli è poco ricordata non perché fosse riservata, protettiva verso i suoi affetti e indipendente, come giustamente sottolinea il nipote Pierpaolo de Mejo; lo sono state anche altre attrici, italiane e non, come Greta Garbo, Silvana Mangano, Claudia Cardinale, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Romy Schneider, ma Alida Valli paga lo scotto di essere nata a Pola e l’accostamento del suo nome a quello di Mussolini, nonché al celebre omicidio di Wilma Montesi, fatto che all’epoca fece molto scalpore, in quanto il suo compagno, Piero Piccioni, noto musicista jazz, venne ingiustamente coinvolto nella vicenda dai media.

Il contesto storico e il sottotesto politico e di cronaca hanno gravato molto sull’immagine dell’altera e umile attrice dalle nobili origini, compromettendone la forza del ricordo. Tuttavia grazie a questo documentario che mette insieme tanto prezioso materiale (diari, lettere, filmati inediti, testimonianze), e all’impegno del regista e di Pierpaolo di Mejo che in comune con la nonna ha la timidezza, viene restituita un’Alida Valli bellissima, tormentata, ironica, intensa, versatile, credibile in film drammatici e lirici quali il capolavoro Senso di Visconti, passando per l’angosciante e disperato Il grido di Antonioni, l’esistenziale e precario La prima notte di quiete di Zurlini, il poderoso Novecento di Bertolucci, il mitologico e tragico Edipo re di Pasolini, il sentimentale e melodrammatico I miracoli non si ripetono due volte, L’inverno ti farà tornare, basato un fatto realmente accaduto, la trasposizione dei libro di Bernanos, I dialoghi delle camerlitane, di Balzac, Eugenia Grandet e di Solinas, La grande strada azzura diretto da Pontecorvo, fino ad arrivare ai gialli quali il capolavoro dello spionaggio Il terzo uomo di Orson Welles, Il caso Paradine di Hitchcock e agli horror La casa dell’esorcismo, Lisa e il diavolo, Occhi senza volto, Inferno e Suspiria.

Alida Valli, partendo dalle pellicole dei cosiddetti telefoni bianchi, dal Feroce Saladino di Bonnard, La casa del peccato, Mille lire al mese e Oltre l’amore di Gallone, Piccolo mondo antico di Soldati, dai film di Camerini, Mattoli e Alessandrini, è stata protagonista del cinema italiano e internazionali nelle veste più svariate, dimostrando di amare le sfide e anche i personaggi più meschini e diabolici, oltre che di calarsi perfettamente nel dramma sia quella che vita sul sociale che quella sentimentale ed esistenziale, e nella commedia.

Non è diventata la Ingrid Bergman italiana come auspicava il produttore hollywoodiano Selznick, Alida Valli diventò Alida Valli, elegante, fotogenica, insofferente alle imposizioni e italianissima, tanto che nel 2004, la Croazia decise di premiarla come grande artista croata, lei rifiutò il premio affermando: “Sono nata italiana e voglio morire italiana”.

Alida Valli nel film Senso di Visconti

 

 

1 Quando ha deciso e perché di realizzare un documentario su sua nonna Alida Valli?

In realtà devo ringraziare il regista Domenico Verdesca che mi ha aiutato e supportato in questo bellissimo e faticoso lavoro, perché temevo di essere troppo coinvolto emotivamente e di non dare il mio contributi in modo obiettivo. Penso che fosse arrivato il momento di dedicare un documentario a mia nonna per farla conoscere meglio agli appassionati di cinema e non, mettendo a disposizione del regista l’archivio privato di mia nonna. Molti ancora non la conoscono, non penso che le sia stata resa “giustizia” Alida Valli rappresenta un pezzo di storia del cinema italiano e la sua vita professionale, secondo me va raccontata; non perché è mia nonna ovviamente, e senza entrare nell’ambito strettamente personale, nel gossip, dimensione che mia nonna ha sempre tenuto lontana dai riflettori.

2 Pensa che sia riuscito ad avere il giusto “distacco” o si è sentito estremamente coinvolto nel girarlo?

Grazie al regista e a Giovanna Mezzogiorno che ha prestato la sua voce al racconto, credo di sì. Inizialmente pensavo di essere troppo dentro alla storia, poi ho avuto il giusto distacco anche grazie alle altre importanti personalità che sono presenti del documentario, testimonianze preziose di mostri sacri del cinema italiano e internazionale come Charlotte Rampling, Vanessa Redgrave, Piero Tosi, Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Margarethe von Trotta, Lilia Silvi, Carla Gravina, Roberto Benigni, Bernard Bertolucci…Ritengo che con la VeniceFilm e Kublai Film in associazione con l’Istituto Luce Cinecittà e Fenix Entertainment in collaborazione con Rai Cinema si sia realizzato un ottimo lavoro.

3 Ritiene che il cinema italiano onori la memoria di sua nonna?

Sinceramente, credo di no! (sorride)

4 Perché soprattutto i giovani dovrebbero conoscerla secondo lei?

Perché Alida Valli è la storia del nostro cinema, ha avuto successo anche all’estero, ha preso parte a film importanti, per scoprire la sua timidezza spesso e purtroppo scambiata per scontrosità e snobismo, per la sua indipendenza, per il suo non voler essere trattata come una diva da sfruttare dall’industria hollywoodiana. Infatti pur di non farsi schiacciare da quel “sistema”, preferì pagare una penale molto alta. In America aveva girato Il caso Paradine con Gregory Peck e diretto da Alfred Hitchcock, dando grande prova anche come attrice di noir.

5 Ad Alida Valli piacerebbe il cinema di oggi?

Penso di sì, mia nonna era molto curiosa. Non a caso ha girato molti film, tutti diversi tra loro. Si pensi a La prima notte di quiete con Zurlini, agli horror Suspiria e Inferno con Dario Argento, al Grido con Antonioni, a Un’orchidea rosso sangue di Chereau, ad un altro horror in Italia, La casa dell’esorcismo, partendo dal cosiddetto cinema dei telefoni bianchi fino ad Edipo re di Pasolini. Lei si divertiva molto a misurarsi con generi diversi.

6 Tre film con protagonista sua nonna che secondo lei hanno fatto la storia del cinema?

Diciamo subito Senso di Visconti perché va sempre citato, per non scontentare nessuno, Novecento di Bertolucci e un film che pochi conoscono ma che è considerato uno dei migliori horror della storia del cinema, ovvero Occhi senza volto del francese Georges Franju, un film moderno che tratta del tema della scienza avveniristica e che ha aperto la strada a molti altri, dove mia nonna veste i panni di una “cattiva”.

7 Qual era la più grande dote cinematografica di sua nonna? Ed umana, che poi fa da corroborante anche per la recitazione?

D’istinto direi la fotogenia e lo sguardo magnetico, quegli occhi di ghiaccio che bucano lo schermo, ma pensandoci meglio, la costanza, la serietà. La grande capacità di mantenere la concentrazione per tutta la durata delle riprese, in virtù del fatto che come si sa, a volte si gira direttamente l’ultima scena e poi la prima, ci sono pause, ecc…Ecco Alida non perdeva mai la concentrazione e il senso della misura. Dal punto di vista umano direi la dignità, il temperamento e la riservatezza.

8 Nonostante sua nonna facesse di tutto per smitizzare la propria immagine, lei, guardando i suoi film e quell’epoca la considera una diva?

Certo in riferimento al mio concetto di diva, ovvero, paradossalmente un’antidiva, un’attrice che fa di tutto per tenere fuori dalla propria carriera di attrice il privato. Una donna misteriosa e affascinante che non si prende troppo sul serio, autoironica, non scontrosa, soprattutto con i giornalisti, come si potrebbe pensare. Una donna che non amava la mondanità, né andare alle feste che spesso fanno parte di questo lavoro. Difendeva la sua vita privata e i suoi affetti.

9 Anche Lei si occupa di cinema, a cosa si dedica nello specifico e quali sono i suoi obiettivi?

Ho studiato regia e sceneggiatura cinematografica all’Università, ho lavorato con mio padre in teatro, ho fondato una compagnia teatrale che porta il nome di mia nonna, ho diretto il film Come diventai Alida Valli e preso parte ad un film, Black Star – Nati sotto una stella nera. Ho girato un corto con Giulio Brogi, Pedone va a donna, selezionato per il Festival del Cinema di Roma e Cuore con Giorgio Colangeli, grazie al quale ho vinto il bando del Nuovoimaie. Ho sempre respirato arte a casa mia, soprattutto grazie e mio padre che mi ha trasmesso questa passione.

10 Un tratto particolare che ha in comune con sua nonna?

Mi ritrovo nel suo sguardo, intravedo la sua timidezza e riservatezza che sono anche tratti della mia personalità.

 

https://zeitblatt.com/interview-with-pierpaolo-de-mejo-grandson-of-alida-valli/

Antonio Spoletini, la “faccia giusta” per il cinema: ‘il cinema è seduzione e che la seduzione ha un limite’

Il nome di Antonio Spoletini probabilmente ai più non dirà nulla, ma Spoletini, protagonista del docufilm Nessun nome nei titoli di coda, diretto da Simone Amendola, ci racconta l’indimenticabile cinema dei grandi maestri, quegli aspetti fondamentali ma che sono sconosciuti; perché dietro le grandi star e i grandi registi c’è un universo di uomini e donne indispensabili per la riuscita dello spettacolo. L’attore, che non ha rimpianti, e conserva sempre un certo spirito critico, è impegnato sui set di James Bond e su un film a episodi di Terrence Malick.

Trama

Se dici “comparse” dici Spoletini. Cinque fratelli trasteverini che a partire dal dopoguerra hanno cercato le facce giuste per il cinema italiano e internazionale passato da Roma. Dei cinque, Antonio, a ottant’anni suonati, è ancora lì, sul suo campo di battaglia, Cinecittà. All’approssimarsi dell’idea di una fine, come ogni uomo, vorrebbe lasciare un nome nei titoli di coda.

Contenuti del film

Nessun nome nei titoli di coda, prodotto dalla casa di produzione Hermes, è nato durante una cena quando a tavola Antonio Spoletini ha cominciato a raccontarci una miriade di aneddoti sui personaggi con cui aveva lavorato nel corso della sua quasi settantennale carriera: da Pasolini a Visconti alla Hollywood sul Tevere, da John Huston a Scorsese fino ai giorni nostri, passando in rassegna i loro pregi, difetti, manie, tic e passioni.

Il progetto inizialmente prevedeva un maggiore utilizzo, in percentuale, del materiale d’archivio rispetto alle riprese da effettuare: in corso d’opera ci gli addetti ai lavori si sono resi conto che per poter trasmettere al pubblico le stesse emozioni (alcune anche spiacevoli) sarebbero dovuti uscire dagli schemi non raccontando un pezzo di storia del cinema attraverso Antonio bensì la storia di Antonio stesso, invertendo le proporzioni tra girato e materiale di repertorio.

Un film che lavora sulla figura di Antonio Spoletini come passpartout per raccontare senza retorica le trasformazioni del cinema e quelle della società, di una città e di un paese, esplorando mondi invisibili eppure centrali; seguendo il corso e le azioni di Antonio (uomo vero, ma anche personaggio) l’idea è stata quella di  fare un film che inizia entrando dalla porta di servizio e che finisce uscendo dal camerino degli artisti.

Cinecittà

I ricordi di Antonio Spoletini

È venuto fuori un documentario su un uomo che attraverso i suoi ricordi dietro la macchina da presa ha permesso non solo una diversa ricostruzione dei tanti, tantissimi film a cui ha preso parte ma anche una spiegazione puntuale sulle diverse trasformazioni di Cinecittà e del Cinema che, da sempre, accompagna l’evoluzione dei costumi e della società.

Cinecittà e il Centro Sperimentale di Cinematografia – che hanno appoggiato con entusiasmo la nostra iniziativa concedendoci numerose aree per le riprese –, ha affermato il produttore Cristiano Sebastianelli occupano un peso specifico rilevante nel documentario ma i “set” scelti per raccontare la vita e le esperienze sono tanti, a partire dal cuore di Roma, Trastevere, il rione in cui Antonio è nato e da cui è partita la sua avventura. Molte eccellenze dei cinema italiano e internazionale hanno voluto partecipare al documentario, i premi Oscar Dante Ferretti e Fernando Meirelles, il vincitore della Palma d’Oro a Cannes Marcello Fonte. 

 

1) Cosa significa per lei ricordare? Evocare con un sorriso e un po’ di nostalgia il passato? Rimpiangerlo?

Non rimpiango mai nulla. Mi sono capitate anche tante cose non fatte, ma se non l’ho fatte è perchè in quel momento doveva andare così.
Il passato quindi lo vivo come qualcosa di sereno. Forse a volte penso quella cosa l’avrei potuta fare in quest’altra maniera, ma è uno spirito critico che mi serve a migliorare sempre, a guardare avanti. La cosa fondamentale è che quello che faccio ancora mi diverte, cercare le figurazioni e le facce giuste per i film è ancora qualcosa che faccio con passione.

2) Il regista che le ha lasciato qualcosa di speciale?

Ce ne sono tanti. Federico Fellini, Gigi Magni, Monicelli, Visconti… ho lavorato con tutti i grandi e ognuno mi ha dato qualcosa, ad ognuno ho rubato qualcosa, anche fosse solo la simpatia. A volte faccio la battuta ‘faccio prima a dire con chi non ho lavorato…’
Con Federico ho tantissimi episodi! Uno molto personale non lo racconto perchè lo scoprirete guardando il film su di me, Nessun nome nei titoli di coda di Simone Amendola.
Vi posso però dire che io sono uno dei tre che ha visto Ingmar Bergman con gli occhi lucidi mentre Federico gli parlava.

3) “Il cinema: una donna nuda e un uomo con la pistola. Qualcosa a metà tra l’orologeria di precisione e la tratta delle bianche”, diiceva Dino Risi, lei che visione ha del cinema?

È una domanda difficile per me. Io dico che il cinema è seduzione e che la seduzione ha un limite.
Già il Decameron di Pasolini e I diavoli di Ken Russel rischiano di superarlo.
Per me il cinema coincide con le donne che fanno immaginare, come la Vitti, sia nei film di Antonioni sia nelle commedie.
Dino (Risi) è un provocatore intelligente. Un grande regista. Con lui già i miei fratelli fecero dei piccoli personaggi in Poveri ma belli e poi io ho lavorato con lui tante volte.
Una volta gli feci la domanda qual’è il tuo film migliore, lui rispose Il sorpasso e Una vita difficile. Io dissi ‘No, il sorpasso è simpatico, Una vita difficile è il tuo capolavoro’ Io ho lavorato anche con il figlio Marco, un bravissimo regista boicottato dopo che fece Il muro di gomma.

Backstage “La faccia giusta”

4) Come trova il cinema attuale, soprattutto quello italiano?

Io non sono mai stato pessimista, ma a fine anni ‘80 ho detto il cinema italiano sta a pezzi. Oggi ammetto di non seguire più tanto le nuove leve. Vado meno al cinema. Uno con cui mi pacerebbe lavorare è Garrone.

5) Che significato e valore attribuisce al successo in questo ambiente? Che rapporto ha avuto e ha con la popolarità?

La fama vale solo se hai le qualità. Se diventi conosciuto in un certo ambiente perchè vali.
Oggi mi dicono ‘c’è un film su di te, sei diventato famoso!’ La cosa non mi esalta, però mi fa piacere che siano contenti che si parli di me, che dicano ‘era ora!’

6) Cosa spera di trasmettere agli spettatori con questa pellicola? E cosa dovrebbero sapere sul cinema italiano del suo tempo?

Spero che sia uno stimolo per prendere rapporto con un certo mondo, un certo passato. Io ripeto spesso ai giovani: prendetevi qualche dvd, studiatevi come recitavano Marcello, Nino, Ugo, Gianmaria, Vittorio! Dal ’60 al ’90 abbiamo fatto delle cose enormi. Io dico che Leone ha superato John Ford.

7) Prossimi impegni?

Vengo ora da Matera, dai set di James Bond e del nuovo film a episodi di Terence Malick, siamo stati lì per quattro mesi.
Per me Matera è cinematograficamente una seconda casa. Ci sono tornato dopo Il Vangelo secondo Matteo e The Passion di Mel Gibson.
Vediamo il futuro cosa riserva. Ho avuto delle proposte, ma non so… Aspettiamo, ora non andiamo di fretta.

Anna Magnani in mostra al Vittoriano: 18 immagini per ripercorrerla

Ha preso il via il 22 luglio scorso la mostra “Anna Magnani, la vita e il cinema”, un evento facente parte del circuito de “Il Vittoriano tra musica, letteratura, cinema e architettura”. L’estemporanea, conclusasi il 22 ottobre scorso, è stata un meraviglioso omaggio ad una delle figure centrali del cinema italiano, snodandosi attraverso un percorso culturale ricco di oggetti, fotografie, materiali audiovisivi inediti che hanno ripercorso la biografia dell’attrice romana, a partire dai suoi esordi nel teatro, fino ad arrivare ai grandi successi di Cinecittà e Hollywood. Curata da Mario Sesti, regista, giornalista e critico cinematografico, la mostra è stata realizzata con la collaborazione del Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dell’Istituto Luce Cinecittà, che hanno messo a disposizione i loro archivi fotografici. (fonte: http://arte.it/calendario-arte/roma/mostra-anna-magnani-la-vita-e-il-cinema-41833)

La mostra, a cura del critico cinematografico Mario Sesti, si apre con la biografia di Anna Magnani che se per i cinefili rappresenta un vademecum per districarsi tra gli scatti, per i visitatori ancora ignari è l’occasione per conoscere l’attrice.
Procedendo, il visitatore viene attratto da questa piccola sala cinematografica: in essa vengono proiettate scene di  film della Magnani. Da qui si inaugura la sezione della mostra dedicata al mondo cinematografico.

 


(foto)1,4 La carrozza d’oro, di Jean Renoin, 1952.
2,6  Nella città l’inferno, di Renato Castellan, 1958.
3   Risate di gioia, di Mario Monicelli ,1960.
5   Made in Italy (La famiglia, III episodio), di Nanni Loy, 1965
1,4 Avanti a lui tremava tutta Roma, di Carmine Gallone,1946.
2 Camicie Rosse, di Goffredo Alessandrini, 1952.
3,5 Mamma Roma, di Pier Paolo Pasolini, 1962.
1,2,3,4 Abbasso la ricchezza, di Gennaro Righelli, 1946.
5 Il Bandito di Roberto Lattuada, 1946.
1 Vulcano, di William Dieterle, 1950.
2 Il Bandito di Roberto Lattuada, 1946.
3 Bellissima, di Luchino Visconti, 1951.
4 Teresa Venerdì, di Vittorio de Sica, 1941.
In queste foto si vede Anna Magnani al di fuori dei set.
Questa è l’unica foto della mostra che ritrae Anna Magnani con il figlio Luca, a Piazza di Siena, ad un concorso ippico.
La mostra di fotografie è arricchita dalle riflessioni  personali di Anna Magnani che, permettono al visitatore di entrare in empatia con l’attrice.
1. Anna Magnani con Roberto Rosselini
2 Con Anthony Franciosa
3. stretta a Marlon Brando
4 con Goffredo Alessandrini.
Con queste 4 foto si chiude la parte della mostra dedicata al cinema
Il visitatore dopo aver ammirato i mille volti di Anna Magnani negli innumerevoli film , ha il privilegio di  ammirarla , attraverso delle immagini inedite nell’intimità delle mura domestiche.
Qui si vede Anna Magnani in alcuni momenti della sua vita domestica.
In questa carrellata di fotografie si intravede una Anna sorridente alla sua scrivania, oppure intenta a fumare una sigaretta, durante delle interviste.  Il visitatore si appresta ad uscire da casa Magnani pensando di aver terminato il suo viaggio.
Nell’uscire il visitatore viene quasi richiamato in questa sala: sullo schermo vengono riprodotte alcuni contributi Rai ed altre parti di film che hanno visto Anna Magnani protagonista. La sua voce riecheggia al di fuori della Sala come per voler accompagnare e condurre il visitare verso l’uscita.
Il visitatore si ritrova davanti a questa sequenza di fotografie. Si tratta di una scena del film Roma città aperta, di Roberto Fellini, 1945: La ferocia dell’occupazione il cielo plumbeo della guerra su Roma, la corsa e l’urlo più famoso del cinema italiano. Alla Magnani il film deve non soltanto la leggendaria prestazione drammatica ma anche lo humor, controcanto amaro che condivide con Aldo Fabrizi. 
Proiettato per quasi due anni nel cinema di New York.
In questa trilogia fotografica è riprodotto il film Teresa Venerdì di Vittorio De Sica del 1941: in questa commedia degli equivoci che nella pasta di racconto e recitazione già, rivela la mano di un autore, c’è la prima vera messa a fuoco di ciò che la Magnani poteva dare al cinema: nel personaggio memorabile di una soubrette, Lolella, c’è già l’esperienza del varietà che catturò l’occhio, intimidito di De Sica.
In queste foto è ritratto un altro capolavoro della Magnani. Il film è Bellissima di Luchino Visconti del 1951: Maddalena sogna per la figlia il cinema che si prende gioco di lei e della bambina con disprezzo. La Magnani madre ferita e trepidante che affronta di petto ogni avversità o lusinga,prende luce anche in penombra e riempie ogni angolo dello schermo.
Questa successione di immagini ricorda un altro film di successo della Magnani: Roma di Federico Fellini del 1972. Fellini si mise in ginocchio per convincere la “pantera” a questa ultima apparizione nella quale incarna la città: il riso di scherno ,il disincanto della città eterna. L’ultima passeggiata nel cinema con la sua ombra che si allunga sui muri e il suo sorriso. Il film si chiude con Anna Magnani che rientra a Casa, a Palazzo Altieri accompagnata dalla voce di Fellini che dice”: Questa signora che rientra a casa è un’attrice romana. Anna Magnani, che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città.
Magnani: Che so’ io?
Fellini: Una Roma vista lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca, potrei continuare fino a domattina.
Magnani: A Federì, va a dormire, va’.
Fellini: Posso farti una domanda?
Magnani: No, non me fido. Ciao, buonanotte!»
Qui termina la mostra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua a leggere Anna Magnani in mostra al Vittoriano: 18 immagini per ripercorrerla

Exit mobile version