Anna Magnani in mostra al Vittoriano: 18 immagini per ripercorrerla

Ha preso il via il 22 luglio scorso la mostra “Anna Magnani, la vita e il cinema”, un evento facente parte del circuito de “Il Vittoriano tra musica, letteratura, cinema e architettura”. L’estemporanea, conclusasi il 22 ottobre scorso, è stata un meraviglioso omaggio ad una delle figure centrali del cinema italiano, snodandosi attraverso un percorso culturale ricco di oggetti, fotografie, materiali audiovisivi inediti che hanno ripercorso la biografia dell’attrice romana, a partire dai suoi esordi nel teatro, fino ad arrivare ai grandi successi di Cinecittà e Hollywood. Curata da Mario Sesti, regista, giornalista e critico cinematografico, la mostra è stata realizzata con la collaborazione del Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dell’Istituto Luce Cinecittà, che hanno messo a disposizione i loro archivi fotografici. (fonte: http://arte.it/calendario-arte/roma/mostra-anna-magnani-la-vita-e-il-cinema-41833)

La mostra, a cura del critico cinematografico Mario Sesti, si apre con la biografia di Anna Magnani che se per i cinefili rappresenta un vademecum per districarsi tra gli scatti, per i visitatori ancora ignari è l’occasione per conoscere l’attrice.
Procedendo, il visitatore viene attratto da questa piccola sala cinematografica: in essa vengono proiettate scene di  film della Magnani. Da qui si inaugura la sezione della mostra dedicata al mondo cinematografico.

 


(foto)1,4 La carrozza d’oro, di Jean Renoin, 1952.
2,6  Nella città l’inferno, di Renato Castellan, 1958.
3   Risate di gioia, di Mario Monicelli ,1960.
5   Made in Italy (La famiglia, III episodio), di Nanni Loy, 1965
1,4 Avanti a lui tremava tutta Roma, di Carmine Gallone,1946.
2 Camicie Rosse, di Goffredo Alessandrini, 1952.
3,5 Mamma Roma, di Pier Paolo Pasolini, 1962.
1,2,3,4 Abbasso la ricchezza, di Gennaro Righelli, 1946.
5 Il Bandito di Roberto Lattuada, 1946.
1 Vulcano, di William Dieterle, 1950.
2 Il Bandito di Roberto Lattuada, 1946.
3 Bellissima, di Luchino Visconti, 1951.
4 Teresa Venerdì, di Vittorio de Sica, 1941.
In queste foto si vede Anna Magnani al di fuori dei set.
Questa è l’unica foto della mostra che ritrae Anna Magnani con il figlio Luca, a Piazza di Siena, ad un concorso ippico.
La mostra di fotografie è arricchita dalle riflessioni  personali di Anna Magnani che, permettono al visitatore di entrare in empatia con l’attrice.
1. Anna Magnani con Roberto Rosselini
2 Con Anthony Franciosa
3. stretta a Marlon Brando
4 con Goffredo Alessandrini.
Con queste 4 foto si chiude la parte della mostra dedicata al cinema
Il visitatore dopo aver ammirato i mille volti di Anna Magnani negli innumerevoli film , ha il privilegio di  ammirarla , attraverso delle immagini inedite nell’intimità delle mura domestiche.
Qui si vede Anna Magnani in alcuni momenti della sua vita domestica.
In questa carrellata di fotografie si intravede una Anna sorridente alla sua scrivania, oppure intenta a fumare una sigaretta, durante delle interviste.  Il visitatore si appresta ad uscire da casa Magnani pensando di aver terminato il suo viaggio.
Nell’uscire il visitatore viene quasi richiamato in questa sala: sullo schermo vengono riprodotte alcuni contributi Rai ed altre parti di film che hanno visto Anna Magnani protagonista. La sua voce riecheggia al di fuori della Sala come per voler accompagnare e condurre il visitare verso l’uscita.
Il visitatore si ritrova davanti a questa sequenza di fotografie. Si tratta di una scena del film Roma città aperta, di Roberto Fellini, 1945: La ferocia dell’occupazione il cielo plumbeo della guerra su Roma, la corsa e l’urlo più famoso del cinema italiano. Alla Magnani il film deve non soltanto la leggendaria prestazione drammatica ma anche lo humor, controcanto amaro che condivide con Aldo Fabrizi. 
Proiettato per quasi due anni nel cinema di New York.
In questa trilogia fotografica è riprodotto il film Teresa Venerdì di Vittorio De Sica del 1941: in questa commedia degli equivoci che nella pasta di racconto e recitazione già, rivela la mano di un autore, c’è la prima vera messa a fuoco di ciò che la Magnani poteva dare al cinema: nel personaggio memorabile di una soubrette, Lolella, c’è già l’esperienza del varietà che catturò l’occhio, intimidito di De Sica.
In queste foto è ritratto un altro capolavoro della Magnani. Il film è Bellissima di Luchino Visconti del 1951: Maddalena sogna per la figlia il cinema che si prende gioco di lei e della bambina con disprezzo. La Magnani madre ferita e trepidante che affronta di petto ogni avversità o lusinga,prende luce anche in penombra e riempie ogni angolo dello schermo.
Questa successione di immagini ricorda un altro film di successo della Magnani: Roma di Federico Fellini del 1972. Fellini si mise in ginocchio per convincere la “pantera” a questa ultima apparizione nella quale incarna la città: il riso di scherno ,il disincanto della città eterna. L’ultima passeggiata nel cinema con la sua ombra che si allunga sui muri e il suo sorriso. Il film si chiude con Anna Magnani che rientra a Casa, a Palazzo Altieri accompagnata dalla voce di Fellini che dice”: Questa signora che rientra a casa è un’attrice romana. Anna Magnani, che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città.
Magnani: Che so’ io?
Fellini: Una Roma vista lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra, buffonesca, potrei continuare fino a domattina.
Magnani: A Federì, va a dormire, va’.
Fellini: Posso farti una domanda?
Magnani: No, non me fido. Ciao, buonanotte!»
Qui termina la mostra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Antonio Ligabue in mostra al Vittoriano di Roma fino a marzo 2017

Dall’11 novembre la potenza espressiva di Antonio Ligabue, uno degli artisti più interessanti e imprevedibili del ‘900, si esibisce negli spazi dell’Ala Bransini del Complesso del Vittoriano di Roma. Oltre 100 opere dell’artista svizzero raccontano la sua vita difficile e la sua produzione artistica: gli animali selvaggi, i paesaggi rurali e gli autoritratti, nei quali Ligabue rivela senza pietà la sua storia particolarmente affascinante, inquietante e stravagante, affermando così la sua identità di uomo e di artista, dove i due confini si incontrano tra l’elemento fantastico e l’elemento folle.

 

La mostra

L’esposizione, promossa e curata da Sandro Parmiggiani, direttore della Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri, e da Sergio Negri, presidente del comitato scientifico, ha l’obiettivo di far conoscere l’incredibile vicenda umana di questo singolare artista nato a Zurigo nel 1899 e che visse a Gualtieri, in Reggio Emilia, sulle rive del Po’. Pittore malato, solo, non amato, un pittore che reagiva alla sofferenza del suo isolamento con l’aggressione nella quale cercava di risolvere la propria timidezza, la propria incapacità di comunicare e di reagire ai problemi, Ligabue visse sempre in una condizione di disagio nei confronti della realtà, rifugiandosi in una condizione fantastica e irreale la quale influenzò profondamene la visione artistica senza però riuscire a garantirgli una serenità esistenziale alla quale non arrivò mai.

Fino a marzo 2017 il Vittoriano di Roma offre l’opportunità di ammirare le sue opere intense, coloratissime, espressionistiche e un po’ naif al tempo stesso in una grande mostra organizzata in tre sezioni: la prima contempla gli elementi della sua ispirazione dalle prime opere (1928 – 1939) semplici e formali, a quelle dove i soggetti, quelli che riassumono forse tutto il mondo di Ligabue, quello degli animali che vedeva nella valle padana e dei conflitti tra le fiere oppure quello più idillico- bucolico della natura dei campi dai colori accesi, spesso casuali perché Ligabue usava i colori che disponeva in quel momento (1939 – 1952), sino all’ultimo decennio (1952 – 1965), quando l’artista è colpito da una paresi che lo lascerà invalido sino alla morte avvenuta nel 1965, periodo a cui appartengono i celebri autoritratti che per potenza, devastazione fisiognomica e ossessione possono esser avvicinati a quelli di Van Gogh.

In mostra, ancora, accanto ai capolavori dipinti, come Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero (1956-1957), Tavolo con vaso di fiori (1956) e Gorilla con donna (1957-1958) – l’orango che ricorre così frequentemente nei suoi quadri, un tema che nasconde una delle ossessioni del pittore, proprio quella del rapporto con la donna –  si aggiunge una seconda sezione in cui non mancano le sculture come Leonessa (1952-1962) e Lupo siberiano (1936), ed infine una sezione dedicata alla produzione grafica con disegni e incisioni quali Mammuth (1952-1962), Sulki (1952-1962) e Autoritratto con berretto da fantino (1962).

Ligabue: l’uomo-animale che aggredisce

Se come artista ha prodotto centinaia di opere, come uomo, Antonio Laccabue (1899-1965), questo era il cognome del patrigno odiato per il quale mutò il cognome in Ligabue adottando quello materno, ha rivelato le alterazioni della sua psiche malata: selvatico, timido, solitario, insolente, sporco, soggetto a crisi depressive che lo portarono ad entrare ed uscire dal manicomio di Gualtieri, a Reggio Emilia, dove Ligabue decise di stabilirsi nel 1919 al seguito dell’invio in Italia per il servizio militare.

La sua vita fu segnata da una infanzia difficile, non conobbe il vero padre e la madre friulana emigrata in Svizzera, sposò un emigrato di Gualtieri, dal quale ebbe tre figli, riconoscendo anche il piccolo Antonio che rimase solo col patrigno dopo che la morte della madre insieme ai tre fratellini per intossicazione alimentare. Questa grave perdita gli procurò una perdita di identità, vivendo privo di una sua dimensione sociale e di una dimensione presente, ma in quella realtà di ricordi di immagini dei luoghi dove il pittore nacque e visse i primi anni della sua infanzia, il cantone tedesco della Svizzera, dove frequentava l’unico museo di San Gallo, dove visse a lungo guardando gli animali del giardino zoologico, dove frequentava l’orto botanico di San Gallo. Memoria e fantasia, appunto, è il significato della sua opera artistica che, all’inizio, gli fu  riconosciuta da Marino Mazzacurati, l’artista che lo ha scoperto e lo ha spinto a dipingere e gli ha organizzato le prime mostre negli anni ‘50. Antonio Ligabue portava i suoi deliri sulle tele, dipingendo in maniera primitiva, mostrandoci nella fissità e nella violenza degli animali feroci (egli stesso sognava di tramutarsi in un animale), spesso in lotte cruenti la rappresentazione di se stesso.

La rappresentazione della nevrosi e insieme della memoria, il paesaggio della memoria sono gli elementi che compongono un’intera sintesi di tutte le contraddizioni, l’infelicità, il destino doloroso di quest’uomo e di questo pittore di nome Antonio Ligabue, il pittore creativo che si identifica con l’animale che aggredisce.

 

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