‘Lady Macbeth’, la provocatoria ambiguità morale di Oldroyd

Gelido, spietato, serrato, ineluttabile. E’ davvero notevole Lady Macbeth che un debuttante di vaglia (il regista William Oldroyd già direttore del London’s Young Vic Theatre) ha tratto dal romanzo ottocentesco del grande narratore russo Leskov Ledi Makbet Mcenskogo uezda (Una lady Macbeth del distretto di Mcensk ) trasformata da Sostakovic in un’opera di straordinario successo popolare non a caso denigrata e censurata dal regime staliniano. Spostata l’azione nel nordest dell’Inghilterra, il film mantiene la struttura originale, ma non manca di introdurvi non trascurabili modifiche a cominciare dal rapporto tra i protagonisti e l’ambiente circostante, il cosiddetto “moorland” ben noto come sfondo misterico e selvaggio di classici cineletterari autoctoni come Cime tempestose, Orgoglio e pregiudizio o Jane Eyre.

La trasposizione, del resto, basata com’è sul rigoroso e distaccato controllo del ritmo, i dialoghi e i gesti, usa quest’opzione stilistica in contrasto con lo sviluppo degli eventi che diventano sempre più crudi fino a sfociare in una conclusione degna del fatidico e funesto riferimento scespiriano.
Il fuoco dell’anima e i tormenti della carne si scontrano, così, mirabilmente nella sfida che la diciassettenne Katherine si trova costretta a sostenere contro un marito possidente sposato a viva forza e del tutto refrattario alla sua implosa sensualità. Interpretata da una Florence Pugh (apprezzatissima all’esordio in The Falling) all’apparenza fisicamente ed espressivamente sottotono, ma poi in realtà capace di trasmettere un formidabile crescendo di emozioni, la giovane ha la temerarietà d’intraprendere una relazione adulterina tanto trascinante quanto scandalosa per l’ordine sociale che incombe sull’ordine patriarcale vittoriano.

L’affinità con Lady Chatterley si ferma, peraltro, al motivo del divario di classe travolto dalla foga degli amanti, perché al regista interessa soprattutto introdurre una forma di provocatoria ambiguità morale che tiene costantemente in equilibrio agli occhi dello spettatore –non a caso sono privilegiate le inquadrature frontali- la personalità della dark lady fra passione e follia, vendetta e malvagità, riscatto e crimine.

Lady Macbeth è, insomma, uno dei migliori film della stagione e non si capisce perché molti recensori si affannano a promuoverla ingigantendone gli indiscutibili, ma molto più scontati bonus progressisti, femministi, antiborghesi e chi più ne ha più ne metta. Quando, in realtà, la sua intensità pulp era già stata perfettamente colta dalla Pravda che nel ’36 ne stroncò la versione operistica perché “caotica, apolitica, pervertita”.

 

Fonte:

Lady Macbeth

‘Romeo e Giulietta’ all’Anfiteatro Campano il 17 e 18 settembre

Quando dopo il Sogno, si legge Romeo e Giulietta, par di non essere usciti da quell’ambiente poetico, al quale espressamente ci richiamano Mercutio, col suo ricamo fantastico sulla Regina Mab, e, quel che è più, lo stile, le rime e la generale fisionomia della breve favola. Tutti, parlando di Romeo e Giulietta, hanno provato il bisogno di ricorrere a parole e immagini soavi e gentili; e lo Schlegel  vi ha sentito «i profumi della primavera, il canto dell’usignuolo, il delicato e fresco di una rosa mo’ sbocciata», e lo Hegel ha pensato allo stesso fiore: alla «molle rosa nella valle di questo mondo, spezzata dalle rudi tempeste e dall’uragano»; ed il Coleridge, di nuovo, alla «primavera coi suoi odori, i suoi fiori e la sua fugacità». Tutti lo hanno considerato come il poema dell’amor giovanile, e hanno riposto l’acme del dramma nelle due scene del colloquio d’amore attraverso il notturno giardino e della dipartita dopo la notte nunziale, nelle quali è stato scorto da taluni il rinnovarsi di forme tradizionali della poesia d’amore, l’«epitalamio» e l’«alba». (Benedetto Croce)

 

I giorni sabato 17 e domenica 18 settembre, alle ore 19 e alle ore 21 (due repliche dello spettacolo), presso l’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, nell’arena Spartacus, si terrà l’ennesima performance teatrale che vede come protagoniste le due famiglie storicamente nemiche dei Montecchi e dei Capuleti, ossia la celebre Romeo e Giulietta. L’iniziativa, promossa per favorire il turismo culturale nel nostro territorio, è anteprima della seconda edizione del Festival della letteratura I am Spartacus. A mettere in scena l’opera sicuramente più conosciuta di William Shakespeare è la compagnia teatrale, Il Demiurgo che, in modo innovativo e del tutto originale, promuove l’approccio alla conoscenza e alla scoperta del nostro patrimonio artistico.
Proprio per questo motivo, il fondatore della compagnia, Franco Nappi, ci tiene a precisare che il costo del biglietto, pari a 15 euro, è un incentivo a partecipare a queste due serate dedicate alla cultura in un contesto più ampio che permetterà agli ospiti di vivere a trecentosessanta gradi quest’esperienza grazie anche alla presenza di Amico Bio (primo ristorante biologico nato in un sito archeologico che gestisce l’arena Spartacus) e al resto delle iniziative, enogastronomiche e non solo, collegate all’evento. Evento in cui pubblico e personaggi saranno in simbiosi, quasi come se Shakespeare accompagnasse gli spettatori e li invitasse a salire sul palco, fianco a fianco ai grandi protagonisti. Questo assieme a delle musiche scelte accuratamente e affidate alla bravura del violoncellista Luigi Visco, della soprano Ester Esposito e del flautista Antonio Ferraro. Suoni suggestivi e atmosfere che ci rimandano indietro nel tempo.
Rievoca alla perfezione questo periodo storico anche la selezione dei costumi, a cura di Monica Fiorito e della sartoria napoletana Artinà. Ci si è avvalsi, inoltre, dell’aiuto di Marco De Filippo per quanto riguarda la coreografia dei duelli.
Alessandro Balletta e Roberta Astuti sono rispettivamente Romeo e Giulietta. Andrea Cioffi, invece, è Mercuzio mentre Massimo Polito interpreta Tebaldo, in questo valido cast di attori.

A rendere ancora più entusiasmante la partecipazione del pubblico, un William Shakespeare narrante, il regista Franco Nappi, al quale spetterà il compito di narrare le vicende introducendo i personaggi.

In quest’occasione, sarà possibile visitare l’anfiteatro e l’antica Capua (dunque il museo archeologico, il museo dei gladiatori ed il Mitreo) e deliziarsi con le specialità della ristorazione biologica e biodinamica. Per gli amanti delle gite fuori porta, il bio resort La Colombaia ha pensato a convenienti pacchetti per un tour turistico, ogni week-end di settembre ed ottobre.
Null’altro d’aggiungere per presentare un evento che ci fa riflettere sul concetto di letteratura immortale grazie ad un capolavoro che, a distanza di secoli, continua ad essere letto, studiato, interpretato e continua ad emozionare il lettore da ogni punto di vista.

Una vita veloce, di Zoe Jenny

“Vorrei andarmene, il più lontano possibile. Ma lì non ci andrò, dove hanno deciso di mandarmi quando sarà arrivato il momento. Non obbedirò per niente al mondo, non farò quello che vogliono loro…” Una vita veloce della scrittrice svizzera Zoe Jenny è un inno all’amore disperato raccontato con eleganza e senza troppi giri di parole.

Le parole della protagonista della storia Ayse scorrono limpide tra le pagine del suo diario. Ayse è un’adolescente turca che cresce nella Berlino di oggi, circondata da una famiglia benestante ma ancora troppo ancorata alle tradizioni, con un fratello ossessivo e geloso che cerca di controllare anche il suo più piccolo respiro. Poi, una sera, le luci che illuminano le strade di Berlino e quegli occhi che forse l’attendevano da tutta una vita: lui è Christian, giovane tedesco cresciuto nella casa nella quale ora vive “la sua Ayse”. Un ragazzo che, con poca convinzione, frequenta un gruppo formato da giovani appartenenti all’estrema destra.

Ayse e Christian: divisi da chi non capisce il loro amore, separati da chi non accetta che quelle differenze sociali e culturali che dovrebbero tenerli lontani l’uno dall’altro, sono ciò che li rende la parte mancante l’uno dell’altra. Loro, giovani amanti legati ad un destino beffardo, crudele, inconsapevole di una realtà inaccettabile ad uno sguardo adulto.

“…c’è un tipo d’amore che si lancia dritto contro la luce e brucia, come una falena.” 

Lettere e poesie, foto rubate, scatti rapiti nella consapevolezza di un amore che nulla potrà spezzare.

La scrittrice svizzera ci accompagna nelle pagine di un diario scritto e vissuto da una dolce adolescente della Germania odierna. Una ragazza forte, capace di vivere ciò che sente anche nel silenzio e nel buio della notte. Quel buio e quel silenzio che nascondono un amore proibito che porterà i due giovani amanti ad un tragico epilogo.

Una vita veloce viene pubblicato per la prima volta nel 2003, da Fazi Editori. Nello stesso anno la giovane scrittrice incontrerà nell’istituto Mario Pagano di Napoli, un gruppo di giovani studenti. Uno sguardo profondo, due occhi che mostrano dolcezza, una dolcezza che proviene da un amore altrettanto profondo di quello raccontato, l’amore di una figlia verso il padre, a cui il romanzo è dedicato. Durante l’incontro con quei giovani studenti che avevano letto la sua opera, la scrittrice parla dei suoi amori  letterari, di quei libri che l’hanno colpita, emozionata, portandola ad amare la scrittura più di ogni altra cosa nella vita. E così, tra le prime opere lette, giunge il bardo di stratford. 

Le parole di Zoe Jenny scorrono veloci nella mente del lettore, immagini dolci ma forti, immagini che restano legate ad un sapore amaro e malinconico. Come quell’amore, quel tragico epilogo, quelle foto strappate, quel dolore che il destino ha scritto tra le sue pagine.

E così torniamo indietro, riviviamo attraverso le parole della giovane autrice svizzera, Zoe Jenny, quel momento esatto in cui William Shakespeare mostrò al mondo intero che l’amore, quello vero, reale, unico, non puoi spingerlo in una direzione diversa da quella che il destino ha scelto per lui. Ancora una volta, a distanza di anni, secoli, ritroviamo quella forza che hanno forse solo gli adolescenti, coloro

“…ancora abbastanza giovani da amare disperatamente.”

Una storia struggente ed emozionante che rende giustizia ai sentimenti dei giovani, raccontati senza luoghi comuni e con superficialità.

 

Di Gabriella Monaco

Masolino D’Amico, l’anglista che sceneggiò “Romeo e Giulietta”

Respira cultura sin da  quando era piccolissimo l’anglista, critico teatrale, sceneggiatore, traduttore e giornalista romano Masolino D’Amico (1938),  figlio della grande sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico e del musicologo Fedele D’Amico, nonché nipote di Silvio D’Amico e del critico Emilio Cecchi.

Il  percorso formativo di Masolino D’Amico comincia a Roma, dove si laurea, per poi proseguire  gli studi al Trinity College di Dublino, essendo attratto dalla cultura inglese. Diventa professore ordinario di Lingua e Letteratura Inglese presso la Terza Università di Roma fino al 1º novembre 2011. Ha insegnato presso L’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e Roma Tre, dal 1989 collabora con la testata giornalistica “La Stampa”.

Difficile stabilire un giudizio su un uomo di cultura che è  in vita e che quindi avrebbe ancora molto da dire ma non si rischia di lasciarsi prendere dalla retorica e da banali frasi commemorative che la circostanza vorrebbe. Masolino D’Amico, come Mario Praz, ha alle spalle una profonda conoscenza della letteratura inglese che ha saputo portare anche sul grande schermo un classico intramontabile come “Romeo e Giulietta”(1968) con i giovanissimi Olivia Hussey e Leonard Whiting, scrivendone la sceneggiatura insieme al regista del film Franco Zeffirelli e a Franco Brusati. La pellicola è la più riuscita trasposizione della celebre tragedia di William Shakespeare: briosa, appassionata, moderna, con una scenografia e costumi  impeccabili, molto fedele al testo inglese. I dialoghi rispecchiano la cultura del tempo, soprattutto per quanto riguarda la concezione dell’amore  e la sua relazione con il destino e con il mito.

D’ Amico dimostra la sua passione per Shakespeare anche nel saggio “Scena e parola in Shakespeare” e per il mondo del cinema in “Persone speciali” dove l’anglista passa in rassegna tutti i personaggi del grande schermo dell’epoca d’oro che aveva conosciuto di persona, da Anna Magnani a Vittorio Gassman, da Mario Monicelli a Roberto Rosellini, da Luchino Visconti a Nino Rota, Da Silvana Mangano a Ennio Flaiano. L’autore romano riesce a ritrarre efficacemente i suoi personaggi cinematografici attraverso una sola parola per ciascuno. l’ultimo capitolo del libro è dedicato alla madre Suso che ha firmato sceneggiature dei pià importanti ed indimenticabili film della storia del cinema. La sua essenzialità è presente anche ne “La commedia all’italiana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975” (2008).

Oltre al già menzionato Shakespeare, D’Amico ha tradotto Wilde, Carroll ( è stata un’impresa per molti la traduzione dell’opera “Alice nel paese delle meraviglie”, dati i numerosi proverbi e giochi di parole presenti), Lyman e Baum, ha curato le edizioni italiani di prestigiosi drammaturghi come Tennessee Williams e Arthur  Miller. Lo stile di D’ Amico è elegante, leggero e musicale, in piena sintonia con lo stile tipico inglese. Ancora inglese è anche il protagonista del suo ultimo divertente e raffinato libro: “Il giardiniere inglese” (2013), presentandosi la curiosa figura di Lancilot “Capability” Brown disegnatore di paesaggi inglesi.

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