“Abraxas”: i Santana gettano l’incantesimo

Santana-Abraxas-CBS-1970
Santana-Abraxas-CBS-1970

Prima del 16 agosto 1969, giorno in cui gli ancora sconosciuti Santana si esibiscono sullo storico palco del festival di Woodstock, il latin-rock praticamente non esiste. L’unico esempio degno di nota fino ad allora resta l’immenso Ritchie Valens che, nell’ottobre del ‘58, consegna alla leggenda la sua straordinaria versione de La Bamba, canto tradizionale messicano rivisitato in chiave rock. Nonostante il successo stellare dovuto all’indiscussa bellezza del brano ed alla prematura scomparsa dell’artista (morto nel febbraio del 1959 a soli 17 anni per un incidente aereo insieme a Buddy Holly e The Big Bopper in quello che sarà ricordato per sempre come The day the music died), i tempi non sono ancora maturi per una definitiva codificazione e consacrazione del nuovo stile. Valens si limitava ad applicare i ritmi e le sonorità rockabilly e rythm’n’blues a pezzi già esistenti e conosciuti, non esisteva un processo compositivo/strumentale che portasse alla creazione di brani originali caratterizzati da sonorità latine. Per tutto questo bisogna aspettare una decina d’anni quando i Santana, dopo numerosi esperimenti danno alle stampe il primo album omonimo.

Sebbene il sound sia ancora sperimentale, rappresenta l’innegabile atto di nascita del latin rock vero e proprio con alcuni dei più fulgidi esempi di sempre come le meravigliose Evil Ways e Soul Sacrifice. La consacrazione, sia per il genere che per la band, arriva però l’anno successivo nel 1970, con la pubblicazione di Abraxas. Un mix esplosivo di salsa, blues, rock’n’roll e jazz si sprigiona dai microsolchi, dipanandosi in infuocate jam strumentali su cui regna sovrana la lirica chitarra di Carlos Santana. Pochi gli interventi cantati, solo martellanti percussioni, bassi pulsanti e liquide tracce d’organo che sconfinano nella psichedelia se non addirittura nel progressive. La linea melodica principale è affidata alla chitarra solista usata come fosse una voce dando vita ad un caleidoscopio di suoni e colori secondo solo a quello creato da Jimi Hendrix. Un tecnica stupefacente ed una notevole ispirazione sono alla base di classici come See A Cabo, Singing Winds Crying Beasts, Incident at Neshabur, Hope You’re Feeling Better, delle fantastiche cover di Black Magic Woman/ Gipsy Queen e Oye Como Va, ma è soprattutto la meravigliosa Samba Pa Ti a diventare immediatamente uno standard per il rock chicano ed uno dei brani più popolari di tutti i tempi. Il suo incedere lento e sinuoso fino all’esplosione finale ne fanno uno dei pezzi più romantici e sensuali della storia. L’assolo di chitarra che si snoda lungo tutto il pezzo diventa talmente popolare da essere ripetuto a voce, quasi nota per nota, da tutti quei deliranti fans incapaci di riprodurlo sullo strumento.

Carlos Santana-1970

Un successo formidabile che arriva a sforare i quattro milioni di copie vendute ed a far stazionare il gruppo nelle zone alte delle classifiche internazionali per quasi sei settimane. Il valore artistico dell’album va ben oltre le mere cifre rappresentando uno dei pochissimi esempi di felice commistione tra musica tradizionale e musica rock, due universi talmente distinti da essere ritenuti per molto tempo inconciliabili. Al giorno d’oggi, in cui la tradizione e la cultura latinoamericana sono ampiamente rivalutate ed apprezzate, è d’obbligo riconoscere un pesante debito di gratitudine a Carlos Santana, la sua band ed a questo disco eccezionale responsabile di aver diffuso al grande pubblico lo spirito ed il suono di un intero continente. Va altresì riconosciuto l’enorme contributo a livello tecnico/strumentale e compositivo di quest’opera, grazie alle coraggiose commistioni ritmiche e stilistiche, che hanno portato ad aprire nuove frontiere specie nell’uso della chitarra elettrica e delle percussioni. Le sue eco sono rintracciabili un po’ ovunque nel rock (si vedano le collaborazioni di cui Santana si è avvalso negli anni) come nella musica latina (Manà, Josè Feliciano) a dimostrazione dell’immortalità di un album ancora in grado di suscitare emozioni forti dal primo all’ultimo brano.

“Deja Vù”: l’apoteosi dei CSN&Y

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CSN&Y: musicisti fantastici dotati di inarrivabile talento ma anche di un ego smisurato e di una personalità irrimediabilmente erratica. Uno dei più grandi quartetti della storia del rock è nato un po’ per caso dalla fusione di quattro temperamenti e stili musicali assolutamente diversi ma complementari. Stephen Stills, proveniente dai Buffalo Springfield, David Crosby, licenziato dai Byrds, Graham Nash, ex Hollies, decidono, nel lontano 1968, di unire le proprie forze per dar vita ad un trio basato sulla perfetta amalgama tra chitarre e voci. Dopo un ottimo debutto dall’omonimo titolo, targato 1969, i tre decidono di includere in formazione Neil Young, già compagno di Stills nei Buffalo Springfield, capace di aggiungere una notevole spinta sia creativa che vocale e strumentale alla già enorme cifra stilistica dei compagni.

Dejà Vu- Atlantic Records- 1970

Con questa nuova formazione partecipano al festival di Woodstock suscitando lo stupore e la meraviglia di colleghi e pubblico, grazie ad un repertorio sospeso tra folk e rock e grazie ad una performance strabiliante per tecnica ed affiatamento.

“Ho visto Crosby, Stills e Nash fare il culo agli altri, Fanno musica figa, da bivacchi sotto i cieli del West” (Jimi Hendrix-1969)

Lo stato di grazia prosegue per tutto il biennio 1969/1970, merito di altre esibizioni indimenticabili (come quella al festival di Altamont, non inclusa nel film ufficiale), ma soprattutto a seguito della pubblicazione di Dejà Vu, forse il loro album più compiuto. Dietro una cover che strizza l’occhio al vecchio West, si nasconde un capolavoro fatto di blues, folk, country e psichedelia. Ognuno dei membri contribuisce con pezzi di altissima qualità che, sebbene mantengano le loro intrinseche peculiarità, si adattano meravigliosamente alle caratteristiche degli altri tre. Stills fornisce l’epica cavalcata Carry On e la sognante 4+20; Crosby sfodera la sua classe con la tonante Almost Cut My Hair e la splendida Dejà Vu; Nash da il suo contributo con il delizioso folk di Teach Your Children ed Our House mentre Young mette in mostra tutta la sua personalità tormentata con l’implorante Helpless e  la caleidoscopica Country Girl (divisa in tre movimenti: Whisky Boot Hill, Down Down Down, ”Country Girl” [I Think You’re Pretty]). Tra tanto splendore, una memorabile rivisitazione di Woodstock, classico di Joni Mitchell, e Everybody I Love You, a firma Stills/Young, che fa rivivere lo spirito degli ormai defunti Buffalo Springfield. Suoni prettamente acustici, armonie vocali perfette, misurate incursioni nell’elettricità (soprattutto nei pezzi di Crosby) e collaborazioni di lusso quale Jerry Garcia (membro fondatore dei Grateful Dead) alla pedal steel guitar e John Sebastian (dei Lovin Spoonful) all’armonica a bocca, fanno di quest’opera un momento essenziale per il sound della West Coast di fine anni ’60 ed uno dei manifesti più rappresentativi della controcultura hippie. Un successo immediato che fa di quattro oscuri musicisti delle superstars.

CSN&Y in un’immagine recente

 

Una settimana di permanenza in vetta alle classifiche, tre singoli nella Top 40, plauso unanime di pubblico e critica, lusinghieri traguardi che non bastano, però, a stabilizzare il precario equilibrio del gruppo. Le spinte centrifughe non tardano a manifestarsi e, nonostante il successo, la sigla CSN&Y viene momentaneamente abbandonata per far spazio a progetti solisti (Neil Young con After The Gold Rush, David Crosby con If I Could Only Remember My Name, Nash con Song For Beginners, Stephen Stills con l’omonimo album), nuove band (Manassas per Stills e Crazy Horse per Young) e prestigiose ospitate in lavori altrui. Come l’araba fenice, però, il marchio CS&N (con o senza Young) è in grado di risorgere dalle proprie ceneri, nel momento più inaspettato, allorquando ai tre storici componenti torna la voglia di tornare ad incantare grazie alla bellezza immutabile delle loro canzoni. Dei veri e propri monumenti del rock.

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