La generazione del ’98: ribellione, protesta e ritorno alla tradizione

A coniare per primo l’espressione ‘Generazione del ’98’ è stato Azorin, pseudonimo di uno straordinario intellettuale, filosofo, scrittore, giornalista spagnolo che ha utilizzato quest’espressione in alcuni articoli del 1913 nella rivista ABC, poi raccolti in una sorta di monografia sugli autori della generazione del ’98.

Azorin si riferisce ad un gruppo di personalità diverse tra loro (Buenavente, Pio Baroja, Valle Inclan, Ruben Darìo) che riflettono sull’esigenza di un cambiamento, attraverso l’incontro con le letterature straniere e attraverso il ritorno alla tradizione. La generazione del ’98 è caratterizzata dalla protesta, dalla ribellione, dalla curiosità intellettuale per la cultura straniera e dall’attrazione verso autori che hanno promosso la critica sociale come Josè de Larra e per la rivalutazione di autori come Gongora del Siglo de oro. Data la contemporaneità dei due fenomeni e data la centralità de El desaster sia nel modernismo, che nella generazione del ’98, c’è una parte della critica che ha cercato di tenere insieme di questi due movimenti sotto l’etichetta di crisi di fine secolo.

Differenze tra modernismo e la generazione del ’98

Pedro Salinas (poeta e studioso di letteratura) è invece uno dei sostenitori della profonda divergenza tra modernismo e generazione del ’98, intesi come due movimenti molto diversi tra loro. Entrambi nascono da un’insoddisfazione nei riguardi della letteratura dell’epoca e da una voglia di cambiamento, hanno una stessa origine ma se in sud America (area modernista) l’ansia del cambiamento si manifesta in un ripensamento complessivo del linguaggio poetico, la generazione del ’98 rifletterà sulla coscienza nazionale. Pur riconoscendo quindi la stessa origine, il modernismo lavora sulla forma, la Spagna invece riflette a posteriori, guarda indietro, gli intellettuali si fermano a guardare il portato della tradizione, i modelli. Inoltre Salinas osserva come i modernisti, per questa ricerca formale, cantano gli aspetti sensuali della vita, mentre i poeti del ’98 sono interessati a riflettere sulla tradizione e dal confronto con essa cambiano le forme ispaniche, è come se lo scarto si realizzasse dall’interno.

Condividono la posizione di Salinas anche Donald Schon che in un saggio del ’75, vede modernismo e generazione del ’98 come mondi irrelati e Munoz, che nel 1996 scrive una monografia dal titolo Invenzione o realtà in cui ripete la posizione di Salinas e Schon. Sempre più negli ultimi anni si assiste ad una tendenza a negare l’esistenza della generazione del ’98 e lo stesso concetto del ’98 viene messo in discussione. Il primo a farlo è Gullion che, nel saggio Invenzione del ’98, considera questa categoria come inefficace. Mainer è dello stesso parere e in un suo studio del 1980 sostiene che è impossibile applicare un’etichetta che proviene dalla sociologia alla storia della letteratura, perché la categoria generazione del ’98 è troppo ampia. I limiti di queste teorie anti-generazioniste sono tutti sintetizzati in un saggio del 1996 di Eduardo Matteo Gambarate che avvicina il concetto di generazione a quello di localismo e provincialismo. Far riferimento ad una generazione significa far riferimento ad un certo sistema di valori e norme a cui solo un determinato gruppo fa riferimento. Siamo in epoca ancora franchista per cui l’analisi di Gambarate risente anche di un momento storico ancora molto appesantito.

Un concetto obsoleto

Il concetto di generazione è obsoleto sia in ambito sociologico, che storiografico, inoltre manca il rigore scientifico e si riferisce a fenomeni extraletterari. Infatti parlare di generazione letteraria significa fare un discorso provvisorio, che non ha specificità scientifica. Inoltre questo concetto azzera le individualità degli autori. Laura Silvestri, una studiosa che di recente è ritornata sul problema dell’etichetta generazione, afferma che il paradosso degli anti-generazionisti consiste nel fatto che esaltando le singole personalità che compongono la generazione, finiscono con l’essere provinciali. C’è stato chi ha parlato di crisi di fine secolo, come Mainer che ha stabilito le caratteristiche della crisi che avvicina la letteratura spagnola a quella europea: la messa in discussione dei generi letterari, l’abbondanza di toni intimi e confessionali di impressionismo e irrazionalismo.

Tornando ad Azorin è importante sottolineare come egli sia stato anche autore di molti romanzi, dei quali uno dei più significativi è La voluntad,  del 1902 (anno importante per la letteratura per la coincidenza della pubblicazione di molte opere), in cui il protagonista è alla ricerca di un senso delle cose che non si trova, perché il romanzo ha una conclusione molto tragica. Questo è un tratto caratteristica di molti romanzi del 98, che riflettono sulle questioni filosofiche di Kant e Schopenhauer che già il romanzo europeo aveva accolto. Azorin pensa che nel romanzo non ci debba essere favola, né racconto realista in cui seguiamo i protagonisti nelle loro avventure, insomma: non può avere intreccio perché la vita stessa non ce l’ha. Il romanzo quindi non può rappresentare qualcosa che non si trova nella vita che è diventata frammentata. Nei nuovi romanzi il lettore è chiamato a riflettere sul concetto di costruzione del romanzo.

L’importanza dell’Affare Dreyfus

Il criterio generazionale riflette molto anche sul 1898, anno di profonda crisi per la perdita delle colonie anno dello scandalo dell’Affare Dreyfus. L’affare Dreyfus fu il maggiore conflitto politico e sociale della Terza Repubblica, scoppiato in Francia sul finire del XIX secolo, che divise il Paese dal 1894 al 1906, a seguito dell’accusa di tradimento e intelligenza con la Germania mossa al capitano alsaziano di origine ebraica Alfred Dreyfus, il quale era totalmente innocente. L’Affaire costituì lo spartiacque nella vita francese tra i disastri della Guerra franco-prussiana e la Prima Guerra Mondiale: lacerò l’esercito francese, costrinse ministri a dimettersi, creò nuovi equilibri e raggruppamenti politici, spinse a un tentato colpo di Stato e portò la paranoia che condusse alla quasi catastrofica guerra Anglo-francese nel 1898. Pio Baroja e i fratelli Machado si trovavano a Parigi durante lo scandalo, che costrinse gli intellettuali (che da questo momento saranno impegnati civilmente) a schierarsi ed esprimere la propria posizione. Il gesto di Zola ebbe grandissima risonanza. Addirittura un intellettuale, Ganivet, farà della propria vita una parabola intellettuale esemplare: si suiciderà infatti nell’anno del desaster. Ganivet l’anno prima aveva pubblicato una raccolta di saggi sulla decadenza della Spagna, con una riflessione molto spietata e limpida nel definire la crisi della morale del popolo spagnolo. Ganivet aveva offerto come possibile soluzione al male morale, un ritorno alle tradizioni ispaniche e autenticità del passato. La morte di quest’autore, unita alla crisi e alla riflessione di Azorin, ha creato quella che continuiamo a chiamare generazione del ’98.

Miguel de Unamuno scrive un saggio Intorno al classicismo in cui, come uno storico, analizza i motivi che hanno condotto la Spagna alla decadenza, partendo dal glorioso passato. Il saggio si sintetizza in due concetti, quello della storia del popolo spagnolo e quello della storia delle vite dei singoli, della vita quotidiana che si ripete di giorno in giorno, confluendo nella storia del popolo. Questi due poli li ritroviamo nella poesia della generazione del ’98, i cui poeti volevano risalire indietro nel tempo appellandosi agli aspetti più semplici della vita quotidiana. Così Antonio Machado farà nella sua raccolta Campos De Castilla.

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