‘Il virus’ e ‘Gli occhi miei’. Due poesie di Veronica Manghesi

Proponiamo due poesie scritte in questo momento di emergenza sanitaria dalla poetessa pisana Veronica Manghesi. Artista e musicista, dal 2016 è Poetessa Federiciana, Accademica dei Disuniti e Consigliera della Proloco Litorale Pisano. Nel 2015 ha avuto l’onore di essere scelta dalla Direzione Generale della Fondazione Mario Luzi Editore per essere pubblicata nell’Enciclopedia di Poesia Contemporanea. Premiata in molti importanti concorsi cittadini e nazionali, è stata pubblicata in numerose antologie poetiche pregevoli e partecipa attivamente agli eventi per la valorizzazione culturale ed intellettuale del suo territorio, incluse le letture pubbliche dei grandi classici a cura della Scuola Normale Superiore di Pisa, recite teatrali ed avvenimenti dell’Associazione degli Amici di Pisa per la promozione della città, oltre che giurata in concorsi letterari ed artistici di rilievo. Ha pubblicato nel 2014 la sua prima raccolta di poesie, “Il mio mare all’improvviso” (MdS Editore). A primavera 2020 presenterà il suo secondo testo poetico “I pesci non urlano” (Giovane Holden Edizioni).

Le due poesie racchiudono il germe della speranza che si trova nella Natura stessa che dopo una malattia si rigenera e la bellezza che scaturisce da un volto stanco, bardato, offuscato da una protezione ma che continua a sorridere con gli occhi.

IL VIRUS

Declina l’inverno in narcisi chiassosi,
campane piangono stonate la coda
di asciutti feretri, non un bianco fiore,
non un lamento ad accompagnar la fine.
E la muta rabbia schiuma in saliva,
il fragore del morbo tutto dilacera,
frena abbracci, separa sguardi e affetti
che nudi affogano in brande senza aliti.

Qualcosa di bello si forma di nuovo
nelle mie mani, stormenti rondini,
tu credi siano sperse, lassù nell’aria,
ma sull’orlo del cielo trasaliscono
di primavera, intatte vibrano nel vento
con cui soffolcere nostalgie carponi,
quando intatte libravano nell’intimo
fremere, di libero gioco assunte.

Sono nel vento, ti colgono rapide
tu che in un livido giaciglio resti,
tu che aspetti solo alla muta finestra,
padre, portano il loro succhio di vita,
ti svolgono dal virus che costringe
aprendo il sorriso alla speranza viva,
resisti, che l’affanno nelle mie mani
finalmente nelle mie mani più non sia.

GLI OCCHI MIEI

Guarda gli occhi miei
vedi, ti sto sorridendo;
con essi scavalco la benda
che cela le mie labbra
e offusca parole umide
di cordoglio e smarrimento.

Dovrebbe proteggermi dal morbo
e salvare l’uomo dal contagio;
per ora è un vessillo di resa
all’incognita dell’abbraccio,
un filtro all’acribia della mente,
all’olezzo del petricore marzòlo.

Ti sto sorridendo, eccomi,
ostacolista degna di Olimpia,
raccogli il laccio di questo giacchio
che affamata di luce ti lancio,
perché tutto potranno togliermi,
tutto, fuorché il getto degli occhi miei.

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