‘Viera. Un’italiana del ’23’, il romanzo memoriale di Paola Mattioli

La scrittrice bolognese Paola Mattioli, classe 1962, inizia a scrivere giovanissima. Per motivi lavorativi la passione per la scrittua per un lungo periodo di tempo, per poi riprendere dopo la morte della madre, avvenuta nel 2006. Paola Mattioli pubblica le opere “Al di là del cielo” (Pendragon, 2015), “A piccoli passi” (Pendragon, 2017), “Viera. Un’italiana del ‘23” (Pendragon, 2018) e “Vorrei…” (Europa Edizioni, 2019).

La trama di Viera. Un’italiana del ’23: «Un giorno trovai nella libreria un quaderno in pelle verde, profilato di camoscio, tenuto bene e avvolto scrupolosamente all’interno di un’agenda. Lo aprii lentamente per paura di rovinarlo. Riconobbi subito la calligrafia di mia madre e il cuore mi balzò nel petto. Le prime righe mi portarono indietro nel tempo, ai ricordi di una vita passata, a pensieri e parole mai detti, racchiusi in un quaderno dimenticato, o lasciato per essere ritrovato».

Queste poche righe sono molto più esplicative di qualsiasi spiegazione. Viera è una biografia, pubblicata con fotografie dell’epoca e il commento della figlia. Il libro di Paola Mattioli non è un tomo noioso e corposo, ma un libricino smilzo che contiene una testimonianza preziosa perché è allo stesso tempo l’esempio di una donna che ha superato molte vicissitudini e tragedie, al contempo è un’opera in cui si intrecciano la Storia con la S maiuscola e la storia di una donna su cui di ripercuotono i grandi eventi.

La storia non è autofiction. Non c’è niente di inventato. Talvolta vengono pubblicate biografie romanzate che hanno un quid di adulterato e che finiscono per mistificare la realtà. La scrittrice non si accontenta di inventare qualcosa di realistico, ma riporta fedelmente gli avvenimenti così come sono accaduti, trascrive le memorie della madre, mettendo in bella copia e in bello stile la sua vita.

Nel 1991, su iniziativa del Comune di Pieve Santo Stefano, nasce la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, divenuta poi una Onlus e riconosciuta con Decreto Ministeriale il 7/6/2000. L’importanza dei diari in Italia è stata riconosciuta anche dalle istituzioni. La stessa cittadina Pieve Santo Stefano è stata denominata “città del diario”.

È legittima ogni forma di libertà di espressione, così come è doveroso ricordare ogni storia, anche quella che può apparire più inutile e insignificante, magari perché troppo ordinaria. Ma nel caso di questo libro la vicenda narrata è singolare, anzi eccezionale sia perché ricorda la sofferenza di una generazione di fronte all’errore e alla brutalità della guerra, sia per la elevata qualità letteraria della narrazione, una narrazione sobria, mai sopra le righe, mai eccessiva, mai pretenziosa e senza alcuna voglia di strafare.

L’intreccio del romanzo è anche tra la memoria della madre e quella della figlia, che ricorda che ogni persona scomparsa è stata una enciclopedia di ricordi e allo stesso tempo che ogni defunto esiste fino a quando c’è qualcuno che raccoglie il suo testimone, che fa da staffetta, che lo ricorda e col ricordo lo tiene in vita.

Talvolta perché troppo indaffarati, per damnatio memoriae, per rimozione ci scordiamo di qualcuno. Ma non è questo il caso. La vita di Viera, la protagonista, era esemplare e degna di essere ricordata. Doveva riemergere dalle nebbie del passato ed essere riportata alla luce, ovvero essere divulgata e essere portata alla conoscenza degli altri. Pubblicare una biografia così significa anche ricordare tutti i sacrifici fatti, tutti gli stenti patiti da parte della madre e significa rendere onore.

Viera non è solo una presa di coscienza delle difficoltà vissute dalla madre; ma anche un atto che testimonia la narratività, lo stile impeccabile e scorrevole della scrittrice, che dimostra versatilità perché scrive anche poesie ed articoli. Probabilmente proprio la forma più breve della lirica e degli articoli hanno aiutato Paola Mattioli ad esercitarsi e a riuscire in una prosa caratterizzata dalla linearità e dalla capacità di sintesi.

Viera è un libro che si legge tutto di un fiato. Sono solo 63 pagine ma molto dense, incisive, pregnanti. Ci sono molti contenuti significative in questa biografia. La protagonista è del 1923. Vive una infanzia spensierata. Quindi il terrore e la miseria della Seconda Guerra Mondiale. Era una sfollata. Si riparava continuamente dai bombardamenti.

Così scrive l’autrice:

«Cominciò una specie di Via Crucis. I bombardamenti, o per meglio dire gli aerei, cominciarono a sorvolare Bologna spingendosi anche fino in Romagna per fare voli di ricognizione; suonava così l’allarme e fu imposto il coprifuoco: non si poteva uscire dopo le otto di sera».

Siamo all fine della guerra. Molte italiane che prima giacevano negli accampamenti con i tedeschi iniziarono ad offrirsi per pochi tozzi di pane ai liberatori, agli americani. Molti fascisti della prima ora dopo la guerra cambiarono casacca e diventarono comunisti.

Come scrive Bukowski “Nessun uomo ė forte come le sue idee”. In quei momenti di grave difficoltà era facile cedere a compromessi e ricatti, piegarsi al più forte. Ma la protagonista riesce a rimanere fedele a sé stessa, riesce a mantenersi onesta. In modo emblematico si trova scritto:

“La ripresa fu lenta, ma la speranza di migliorare sempre ci dava ogni giorno più forza”. Queste parole riassumono ottimamente la voglia di fare, di riprendersi degli italiani di quegli anni.

Tuttavia il “romanzo memoriale” è importante perché descrive in modo magistrale la storia di una donna, che ha fatto parte dell’ultima generazione che ha vissuto da adulta la guerra.

È una testimonianza perciò molto preziosa e valida, intrisa di ottimismo e di slanci vitali, che dovrebbero infondere vitalità a giovani, che spesso nella bambagia o comunque nella loro comfort zone si abbattono per nulla. Usando una parola assai inflazionata e usata fino allo sfinimento si potrebbe dire che questo diario è la prova provata della resilienza di una donna e con essa della sua generazione, che dimostrò volontà,  coraggio, determinazione, abnegazione, dedizione alla causa.

Ė da ricordare che molti dopo aver vissuto eventi così tragici si sentivano in colpa di essere sopravvissuti. Per tutte queste ragioni andrebbe letto e servirebbe per far capire ai più giovani quanto la follia di alcuni dittatori ha influito molto negativamente sulla vita di molti incolpevoli e inermi.

 

Davide Morelli

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