Emilio Radius, Piero Nardi, Corrado Alvaro, Filippo Sacchi: maestri di scrittura spesso dimenticati, ma che invece faremmo bene a riscoprire e rileggere

Vi sono almeno quattro nomi che in questo periodo ci preme preservare alla memoria: Emilio Radius, Piero Nardi, Corrado Alvaro, Filippo Sacchi. Sono stati uomini di scrittura capaci di segnare con opere proprie e un infaticabile esempio di disponibilità personale il loro Novecento che è diventato anche il nostro nella modesta azione di seguirne la eminente produttività leggendone solo in parte pagine comunque destinate a restare.

L’approccio con Radius è avvenuto fortuitamente attraverso Guido Piovene in un volumetto di ritratti indimenticabili nel quale spiccava un vibratile tratto dedicato a Maria Callas che aveva conosciuto come pochi partendo dalla sua voce, dal suo corpo ardente come una torcia da palcoscenico tutto proteso verso la libertà totale – come scriveva Radius – in direzione di una progressiva agilità che la scaldava lentamente. Timido e riservato quanto alacre, Radius ha diretto La lettura già condotta da Giacosa e Simoni in uno dei momenti alti della cultura borghese italiana. Era uomo di lettere ma anche di macchina, di giornali, di titoli, di lettori di qualsiasi età, come ricorderanno gli ormai antichi lettori del Corriere dei piccoli. Sodale di Buzzati con il quale era capace di rendere commestibili e digeribili le veline del regime, Radius ha lavorato tra gli altri con Filippo Sacchi, uno dei critici cinematografici più intelligenti della stampa italiana (basterebbe rileggere Al cinema con il lapis, un’agile ma pregnante raccolta di un biennio di recensioni dei primi cinquanta del novecento per rimanere stupiti del livello di scavo psicologico di un cronista che fu pure romanziere, poco ricordato peraltro).
La squadra dell’Europeo salpato nel novembre 1945 deve molto a Radius, alle sue intuizioni, come del resto in seguito Oggi, Il Mondo, ma la casa sua fu il Corriere già negli anni venti in una scuola di giornalismo dove si fece ossa ancor più robuste dopo il fugace esordio alla Tribuna-Idea Nazionale. Nelle pagine provinciali in coppia con Buzzati cresceva una professionalità che diventava amicizia (il ricordo di Radius sopra Buzzati è magistrale quanto affettuosamente discreto, una discrezione calorosa e competente appare la cifra dell’autore che brilla per misura, chiarezza, energia contagiosa).

Una cinquantina di libri accompagnano un vitalismo calibrato: saggi, romanzi, migliaia di pezzi propri e corretti ad hoc per altri, prefigurano una persona d’eccezione, ben al di là del giornalista scrittore, capace persino di dedicarsi a una enciclopedia della musica a più mani in quattro volumi. Un manzoniano doc fu Radius (Paura di che?, Vita di Manzoni, sono i titoli per il commento dei Promessi Sposi e della biografia) che fa ancora testo e che rappresenta al meglio una divulgazione di qualità, con pagine compulsate da illustri critici manzoniani. Una storia della donna poi attraversa il secolo scorso e costituisce una delle migliori letture per finezza espositiva e tatto, gusto letterario calato nella concreta vicenda umana e storica, così ricco di sottigliezze in grado di descrivere segnatamente il cambiamento di un ethos con levità rispettosa e ironica.

Così come l’affresco di fine ottocento di una Roma narrata sino all’avvento del regime fascista rimane un vero viaggio conoscitivo da riproporre senza indugio. Ma Radius non si privò dell’esperienza del romanzo (Nati per vivere, Raffaella e Vittoria, Giorni e peccati), senza dimenticare Amici di mezzanotte che nel 1933 venne lodato da Cardarelli, un godibile viaggio tra autori nell’incontro notturno e giovanile della lettura (Robinson Crusoe, Don Rodrigo, Faust e Mefistofele, D’Artagnan, Pinocchio, Aladino, Giulietta, Don Giovanni). I ricordi di un giornalista ci hanno donato anche una storia della professione lungo i suoi primi cinquanta anni, ancor prima della sua istituzionalizzazione più tradizionale e anche qui lo sguardo dell’autore è nitido, calzante, indispensabile per tracciare la storia di stanze, ambienti, luoghi ma soprattutto caratteri pronti a edificare una prima forma di opinione pubblica consolidata. Emilio Radius fu davvero un maestro di giornalismo e scrittura, appare doveroso tenerne vivo il ricordo aprendo i suoi libri, reperibili attraverso la rete in misura copiosa quanto fu il suo impegno e la sua dedizione a una vocazione mai tradita.

Piero Nardi

Nell’ambito dello spettro biografico Piero Nardi costituisce una delle punte di diamante degli studiosi capaci di scrivere biografie critiche di straordinario fascino anche per il lettore odierno. Uno studioso che si presta magnificamente alla comprensione di un’intera epoca, nella meticolosa ed avvincente ricostruzione degli stati d’animo, nelle differenti temperie. Se nel 1924 il saggio dedicato alla Scapigliatura suscitò notevole interesse, appaiono ancora di ampio apprezzamento gli affreschi dedicati a Boito, al Giacosa di cui fu intimo amico, a Fogazzaro, ma soprattutto le due formidabili e diverse edizioni (1947 e 1971) atte a rivivere la parabola di D. H. Lawrence, un autore dall’esistenza tarantolata non solo nell’opera che il Nardi riesce a documentare e ad evocare rifondando a distanza di tempo una amplissima indagine pioneristica e valutata benevolmente anche all’estero.
Nato a Vicenza il 6 agosto 1891 studiò a fondo Ariosto, Tasso, Goldoni, Verga ai quali si dedicò con intento di finissimo mediatore in particolar modo per il mondo scolastico grazie alla fruttuosa collaborazione con la casa editrice di Arnoldo Mondadori. Uomo di gusto e di rara profondità psicologica trovò il tempo di coordinare l’attività editoriale della Fondazione Cini alla quale donò un oscuro lavoro di magistero presso una delle migliori istituzioni italiane con l’ausilio di un nutrito numero di allievi. Leggendo la biografia che interessa la figura di Arrigo Boito si rimane attoniti a fronte della ricchezza che animava la cosiddetta Italietta o almeno quel circolo culturale ristretto ma fino a un certo punto capace di sembrare quasi brulicante di fremiti culturali. Nardi fa rivivere ambienti, luoghi, diverse personalità (si pensi solo a Verdi, Giacosa, Verga, la Duse, Ricordi…) ma al di là della stupefacente raccolta dei fatti e dell’intensità psicologica delle citazioni e delle interpretazioni si rimane abbagliati dalla curatela delle opere, organica e fluviale. Solo per David Herbert Lawrence si tratta tra biografia, poesie, romanzi, racconti, libri e pagine di viaggio (tra cui il bellissimo Mare e Sardegna), teatro, opere filosofiche, critica e epistolario di ben quattordici volumi alla quale si aggiunge la monumentale biografia in seconda versione del 1971 di ben 1251 pagine, rispetto alle già rutilanti 898 della princeps.

Corrado Alvaro

Corrado Alvaro è tra gli scrittori più importanti del novecento italiano forse il meno in evidenza, eppure la sua densità di scrittura, la sua riflessione profonda e prolifica offrono una così variegata opportunità di scelta in grado di non scontentare ogni palato. Tra romanzi, racconti e novelle, una sostanziosa qualità di saggi, il teatro, sceneggiature cinematografiche, traduzioni, ci si può muovere come raramente capita nel tempo odierno. La solidità di Alvaro è una garanzia che sorprese anche il lettore statunitense nel romanzo L’uomo è forte, un testo che trovò una diffusione importante grazie ad un editore di peso, ma l’incontro con Alvaro per noi è giunto tramite Lorenzo Giusso, per via filosofica saggistica, fedele sodale in quel di Napoli. E certo Quasi una vita, Il nostro tempo e la speranza, Roma vestita di nuovo, secondo volume dei tre preziosi costituenti Itinerario italiano, sono tutte pagine di una palestra che ci pare adatta a un primo approccio all’autore, esemplare pure in una mirabile cronaca sulle bonifiche pontine, un pezzo di vero giornalismo documentario.
Ma il Corrado Alvaro saggista dispiega con vigore quella tensione introspettiva in grado di sciogliere il pensiero più recondito e sorprendente anche nell’appunto più innocente e breve. Quasi una vita, Giornale di uno scrittore (1950) in questo senso è un florilegio di frammenti più o meno estesi che ricordano la forma dell’arabesco compiuto caro ai romantici tedeschi. Tra il 1927 e il 1947 Alvaro detta a se stesso come fosse un sismografo di eccezionale sensibilità sensazioni, percezioni, minime scosse di un’esistenza a scopo d’officina interna, un giornale di viaggio, dove a bordo della memoria sale qualsiasi parola possa tramutarsi nel viluppo elaborato di un rovello da estendere in un secondo tempo. Un non disperdere assoluto, rigoroso, ordinato. Quasi una vita. E così ben congegnata che da appunto diventa qualcosa di proponibile nella compattezza possibile e ritrovata, della vita in forma di libro.

Il nostro tempo e la speranza, Saggi di vita contemporanea (1952) potrebbero essere letti oggi con la medesima freschezza di allora, perché sono intrisi di un’umanità eterna, circonstanziata, toccano il centro delle cose, la vita nella sua tensione più accesa, nello spazio-tempo, nel cronotopo, dove il sangue scorre nelle vene, mentre l’adrenalina muove il senso e il significato attraverso il corpo e l’attrito trova un avversario degno. Conflitto con il padre, Cos’è la felicità, La confusione dei sentimenti, Per nozze, Fatalità moderna, Il male e la sua ombra, sono solo alcuni titoli di saggi anche brevi ma così coscienziosi da risultare in ogni riga carichi di significato, di buon senso, cosa ben diversa dal senso comune. Vi è un profondo stare con i piedi per terra, un saper vivere che corrisponde ad un civile guardarsi attorno con educazione e cortesia, un rispetto attento a osservare ogni percettibile mossa della giovinezza e delle maturità più articolate a fronte di un’umanità mossa da una società frantumata.

Volume appena postumo (1957) ma disposto ancora dall’autore in vita, Roma vestita di nuovo occupa la seconda sezione dell’Itinerario italiano, un trittico che come pochi rammenta a chi vive in questa nazione il paesaggio umano, civile, lo spirito di un popolo e di un’umanità che Corrado Alvaro sa cogliere da più punti vista: con la penna ferma ma impreziosita da continuo scandaglio mai domo nel descrivere in aspetti spirituali e morali, consuetudini, evoluzioni di persone e luoghi resi in molteplici prospettive attraverso un tempo storico mosso. Il passo dello scrittore ha la padronanza ma anche il genio di chi si pone con tale umiltà a fronte della realtà da poterne osservare con attenzione speciale e con occhi sempre nuovi l’Italia d’anteguerra, della fase bellica, della ricostruzione. Sono pagine che compongono un quadro di straordinario valore ben al di là dell’esclusivo piano letterario.

Roma è il fulcro del volume, Milano, Venezia, Genova, Volterra, Nomadelfia, Ortona, Fiume e Pescara in pagine dannunziane eminenti che riportano il vate sulla terra fanno cornice a uno stile precipuo di scrittura ricchissimo di sfumature, folgoranti intuizioni, senza mai tralasciare il racconto, ciò che sfila come in uno speciale cinematografo ( e Alvaro ne scolpisce più volte i limiti e la misura non esaltante della nuova arte) d’ironia piena, dove la parola è sì ricca d’immagini ma sedimentate nella compattezza della mente di una memoria mobile e fantasiosa, personalissima. Sono pensieri critici, luminosi, argomentati. Prendiamo una battuta in apertura di Roma vestita di nuovo :

Sonetti e amore non hanno mai formato il pericolo d’una società. Cinema e reginette di bellezza, che ne sono l’equivalente moderno, neppure. È un fortunato incontro tra l’essenza sessuale protestante, cinematografica e fotografica, e l’essenza romanesca. Il loro paganesimo coincide stranamente. Hanno molta strada da percorrere insieme. Una civiltà di continuo fuggente da se stessa, è facile che cada al rango coloniale. Con la scienza moderna si può spiegare tutto, e si può rendere scientifico il mondo più esoterico e che di spiegazioni non avrebbe bisogno; che anzi sarebbe meglio non spiegare. Ma l’americanismo ha per base la pubblicità. La vita è in sostanza meno religiosa che mai; ma, disperata di tutti i poteri, scettica della stessa legittimità e stabilità di ogni potere, troverà nell’apparato religioso una vaga garanzia di stabilità, qualcosa che sarà vantaggioso non poter discutere.

Oppure osservazioni che riguardano la medesima arte con un taglio del tutto diverso, intrise di quell’umile umanità che è un tratto peculiare di Alvaro, che abbraccia realmente nella sua vastissima opera una amplissima varietà di ingegno:

Gli americani hanno lasciato a Roma, tra i loro atteggiamenti, quello di tenersi per mano, uomo e donna, camminando per la strada. Il cinema italiano ne ha introdotto un altro, quello di far coppia o gruppo tra ragazze, a braccetto o abbracciate. Ho veduto per qualche tempo, alla finestra due ragazze che parteciparono a uno dei film da cui nacque questo modo di fare gruppo. Poi la padrona della sartoria le licenziò, ed esse andarono a ricorrere dal regista di quel film, ignorando la memoria particolare che presiede al cinematografo e che è uno dei fenomeni curiosi del mondo moderno. Perché, autori e regista, regista e attori, lavorano insieme molte ore al giorno, finiscono col conoscersi da cima a fondo, ingegno, fantasia, cultura, tendenze, abitudini, linguaggio: terminato il lavoro, non si vedono più a volte per anni. I rapporti del regista con l’attrice sono pieni di una speciale tenerezza, quella di due persone che si creano a vicenda e il cui successo è legato scambievolmente; terminato il lavoro, è come un grande amore esaurito per stanchezza.

Filippo Sacchi

Filippo Sacchi fa parte ufficialmente della vasta schiera dei critici cinematografici ma in realtà è stato anche un romanziere, un divulgatore di alta qualità nel delicato campo dell’educazione civica, un conoscitore delle nostre città, lui veneto ma forse prima italiano (notevole tra le sue opere è persino Un’idea di Milano, un libro che non sfigura nemmeno di fronte a Roma moderna di Insolera). Fu collega di Radius al Corriere dove si distingueva per affabilità, competenza, utilizzo di un linguaggio scritto e parlato esatto, preciso, efficace, munito di una sottile ironia e una sensibilità istrionica nello studio delle psicologie più sofisticate. Era consapevole di tutto ciò ma non lo faceva certo pesare di fronte ai suoi interlocutori. Intelligenza acuta ma leggera la sua penna anche nello schizzo breve di un film, di una critica appena sufficiente a delineare un quadro di massima, era pungente, spiazzante, mai scontata. Informata quel tanto da sorprendere il lettore che quasi mai prevedeva dove si andava a parare senza seguire alla lettera il discorso. Non era certo temuto nei suoi giudizi ma contavano assai proprio perché dotati di un prestigio riconosciuto e stabile.

Leggendo la biografia di Caterina Boratto si può cogliere addirittura il pianto della stessa a fronte di una impuntatura del Sacchi che la coglieva in fallo. Inezie. Sta di fatto che anche Sacchi appartiene a quel genere di cronista specializzato capace però di possedere una cultura tale da passare tranquillamente a produrre un’edizione commentata della nostra Costituzione per Mondadori in grado di difendersi da sola ancora oggi, ma è solo un esempio. Vicentino di nascita ebbe una visione sempre liberale della società italiana a tal punto che nel 1941 una critica a Doris Duranti, compagna di Pavolini, lo portò alla esautorazione dal Corriere. Fu anche una colonna di Epoca dove scrisse a lungo come a La Stampa nel dopoguerra.
Un quadrivio di nomi, un quadrifoglio di ripescaggi possibili, una piccola operazione di archeologia letteraria che potrebbe riservare qualche sorpresa ulteriore.

 

L’intellettuale dissidente

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