‘Gli stati molteplici dell’essere’ di Guénon: é «il conoscere” e l’“essere” sono le due facce di una medesima realtà»

Con l’opera del 1932 Gli stati molteplici dell’essere Guénon espone la sua visione dei vari livelli di realtà che si giustappongono nella totalità dell’esistenza. A ciascuno di questi livelli corrisponde uno “stato” e lo “stato” umano vi apparirà come “uno stato della manifestazione” accanto a tanti altri. La visione tradizionale, propria di Guénon, rivela in queste pagine l’impalcatura metafisica che la sorregge: un’impalcatura ancora una volta in piena consonanza con la dottrina vedantica, della religione induista, che fra tutte le forme della tradizione sembra essere stata per Guénon la più capace di esporre discorsivamente tale ordine di verità.

La visione tradizionale, propria di Guénon, rivela in queste pagine l’impalcatura metafisica che la sorregge: un’impalcatura ancora una volta in piena consonanza con la dottrina induista appunto, che fra tutte le forme della Tradizione sembra essere stata per Guénon la più capace di esporre discorsivamente tale ordine di verità. E l’orizzonte che qui si spalanca è quello di una conoscenza totale, poiché «”il conoscere” e l’“essere” sono le due facce di una medesima realtà».
Non solo, ma la nozione di conoscenza si distacca da quella usuale in Occidente, sempre «teorica e rappresentativa», per offrirsi invece come «perfetto adeguamento alla Possibilità totale».
Infatti «nell’Universale non dobbiamo distinguere tra intelletto e conoscenza, né, di conseguenza, tra intelligibile e conoscibile: poiché la conoscenza vera è immediata, l’intelletto è rigorosamente una cosa sola con il suo oggetto».

La fusione tra pensiero e atto, tra idea in forma di potenza e azione immediata sul livello della realtà del divenire è il principale tema affrontato dall’esoterista Guènon. La dicotomia tra essere ed apparire, tra l’essere e le sue tantissime manifestazioni – divisione che nasce con il pensiero egizio prima e con l’ermetismo poi -, viene dolcemente ripianata con una nuova quanto antica coscienza di sé, tratta dalle alte speculazioni teoretiche fatte da Guènon sul Vedanta.

Per capire la dottrina della molteplicità degli stati dell’essere, è necessario risalire, come afferma lo stesso autore nel primo capitolo del suo libro, prima di ogni altra considerazione, alla più primordiale delle nozioni, quella dell’Infinito metafisico, considerato in rapporto alla Possibilità universale. L’Infinito, secondo il significato etimologico del termine, è ciò che non ha limiti: e per conservare il suo reale significato bisogna riservarne rigorosamente l’impiego a tutto ciò che non ha assolutamente alcun limite, escludendo quanto può sottrarsi a certi limiti particolari, pur essendo soggetto ad altri, essenzialmente inerenti alla sua stessa natura, come ad esempio è il caso, da un punto di vista logico (che in fondo è il riflesso di quello che potremmo chiamare un punto di vista «ontologico»), di quegli elementi che intervengono nella definizione stessa di ciò di cui si tratta. Quest’ultimo caso, che già altre volte abbiamo preso in considerazione, è in particolare quello del numero, dello spazio e del tempo, e vale anche quando questi elementi vengono concepiti nel modo più generale ed esteso, cosa del resto assai rara [È importante osservare che diciamo «generali», e non «universali», trattandosi di condizioni speciali di certi stati di esistenza; ciò è sufficiente a far comprendere che in tal caso non si può parlare di infinità, essendo queste condizioni evidentemente limitate, come gli stati a cui si applicano e che concorrono a definire]; esso non sfugge, in realtà, al dominio dell’indefinito.

Ma cos’è l’Essere per Guènon? Volendo definire l’Essere, in senso universale, come principio della manifestazione, e come comprendente nello stesso tempo l’insieme di tutte le possibilità di manifestazione, dobbiamo subito precisare che l’Essere non è infinito, dal momento che non coincide con la Possibilità totale; tanto più che l’Essere, come principio della manifestazione, comprende sì tutte le possibilità di manifestazione, ma soltanto in quanto si manifestano. Al di fuori dell’Essere vi è dunque tutto il resto, e cioè tutte le possibilità di non-manifestazione, ed inoltre tutte le possibilità di manifestazione allo stato non manifestato; e l’Essere stesso vi si trova incluso, poiché non può appartenere alla manifestazione in quanto ne è il principio, ed è quindi non-manifestato. Per designare dunque quanto è fuori e al di là della manifestazione, in mancanza di un altro termine , non ci rimane che usare quello di Non-Essere; e questa espressione negativa, che per noi è ben lungi dall’essere sinonimo di «nulla» (come appare talvolta nel linguaggio di certi filosofi), oltre ad essere ispirata dalla terminologia della dottrina metafisica estremo-orientale, è sufficientemente giustificata dalla necessità di trovare un’espressione qualsiasi che ci permetta di parlarne; vale inoltre l’osservazione da noi già fatta in precedenza, che le idee più universali, anche perché sono le più indeterminate, non possono esprimersi, nella misura in cui sono esprimibili, che per mezzo di termini a forma negativa, come abbiamo visto a proposito dell’Infinito. Si può dire che il Non-Essere, nel senso ora indicato, è più dell’Essere, o anche che è superiore all’Essere, intendendo con questo che ciò che esso comprende è al di là dell’estensione dell’Essere, è contiene nel suo principio l’Essere stesso. Non dimentichiamo inoltre che, opponendo in questo modo il Non-Essere all’Essere, o anche solo distinguendoli, ne deriva che nè l’uno nè l’altro sono infiniti, poiché, sotto questo aspetto, in certo qual modo si limitano l’un l’altro; l’infinità appartiene dunque all’insieme dell’Essere e del Non-Essere, è quest’insieme è identico alla Possibilità universale.

Il fondamento della teoria degli stati molteplici: se si considera infatti un essere qualsiasi nella sua totalità, esso dovrà comportare, almeno virtualmente, stati di manifestazione e stati di non-manifestazione, poiché soltanto in questo senso si può parlare di «totalità»; in caso contrario, ci troviamo di fronte a qualcosa di incompleto e frammentario, che non può certo costituire l’essere totale [Come abbiamo detto all’inizio, volendo parlare dell’essere totale dobbiamo chiamarlo ancora, per analogia, «un essere» in mancanza di un termine più adeguato, e pur non essendo più quest’ultimo propriamente applicabile]. Solo la non-manifestazione, come abbiamo detto, possiede il carattere di permanenza assoluta; è dunque da essa che la manifestazione, nella sua condizione transitoria, trae la sua realtà, e da questo fatto si vede come il Non-Essere, lungi dal rappresentare il «nulla», ne sia esattamente il contrario, ammesso che il «nulla» possa avere un contrario, poiché ciò supporrebbe ancora in esso un certo grado di «positività», mentre invece si tratta della «negatività» assoluta, e cioè della pura e semplice impossibilità [Il «nulla» non si oppone dunque all’Essere, contrariamente a quanto solitamente si pensa; si opporrebbe invece alla Possibilità, se potesse entrare come termine reale in un’opposizione qualsiasi; ma dato che non è così, non vi è nulla che possa opporsi alla Possibilità, il che è facile a capirsi se si considera che in realtà la Possibilità è identica all’Infinito]. l’essere assimila più o meno completamente a se stesso tutto ciò di cui prende coscienza; la sola vera conoscenza, in qualsiasi campo, è infatti quella che ci permette di penetrare più o meno profondamente nella natura intima delle cose, ed i gradi della conoscenza consistono proprio in una penetrazione più o meno profonda ed in una assimilazione più o meno completa. In altri termini, non vi è vera conoscenza se non quando sia ha identificazione del soggetto con l’oggetto, o, volendo considerare il rapporto in senso inverso, assimilazione dell’oggetto da parte del soggetto [Deve essere ben chiaro che i termini «soggetto» ed «oggetto» vengono qui intesi nel loro senso più abituale, per designare rispettivamente «colui il quale conosce» e «ciò che è conosciuto» (v. L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, cap. XV)], e nella precisa misura in cui essa implica tale identificazione o assimilazione, i cui gradi di realizzazione rappresentano dunque i gradi della conoscenza stessa [Abbiamo già ricordato altre volte che Aristotele aveva posto come principio l’identificazione per mezzo della conoscenza, ma quest’affermazione, tanto nella sua opera che presso i suoi continuatori scolastici, sembra essere rimasta puramente teorica, non essendo mai stata tratta da essa alcuna conseguenza per ciò che riguarda la realizzazione metafisica (v. in particolare Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, 2° parte, cap. X, e L’Uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, cap. XXIV)].

Il libro del filosofo francese si conclude con una riflessione sul concetto di libertà per il quale essa non è solo una possibilità, nel senso più universale, ma anche una possibilità d’essere o di manifestazione; ed è sufficiente, per passare dal Non-Essere all’Essere, passare dalla «non-dualità» all’unità: l’Essere è «uno» (l’Uno essendo lo Zero affermato), o piuttosto, è l’unità metafisica stessa, prima affermazione ma anche, proprio per questo, prima determinazione [v. ibid. cap. vi]. Ciò che è uno è manifestamente esente da ogni costrizione, e questo significa che l’assenza di costrizione, e cioè la libertà, si ritrova dunque nel dominio dell’Essere, in cui l’unità si presenta per così dire come una specificazione della «non-dualità» principiale del Non-Essere; in altri termini, la libertà appartiene anche all’Essere, ed è anzi una possibilità d’essere.

In conclusione Gli stati molteplici dell’essere non è un libro di facile lettura e per tutti e probabilmente non ci conduce alla Verità Assoluta.

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