Figlio di Arnoldo Mondadori, fondatore dell’omonima casa editrice, e fratello maggiore di Giorgio, Alberto Mondadori (Ostiglia, 8 dicembre 1914 – Venezia, 14 febbraio 1976), entrato in azienda da ragazzo nel 1927, oltre ad essere un importante editore (Il Saggiatore ha svolto una lungimirante opera di scoperta e di sprovincializzazione, nell’ambito di una concezione del libro come mezzo di crescita civile, come hanno dimostrato la pubblicazione di testi classici e moderni fuori da ogni etichetta di genere, da Saffo a Chagall, da Kierkegaard a Borges; coniugando archeologia, filosofia, antropologia, psicoanalisi, sociologia, critica letteraria, linguistica), è stato anche giornalista e scrittore. Trasferitosi con la famiglia da Ostiglia a Verona e poi definitivamente a Milano, frequenta con scarso profitto le scuole elementari, il ginnasio e il liceo, e si iscrive alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia senza però conseguire la laurea.
Insofferente verso il rigore e lo studio, Alberto è invece molto preso da altri interessi; nel 1932 fonda a Milano la rivista politico-culturale Camminare…, appartenente alla vivace e contraddittoria area del cosiddetto fascismo di sinistra, che verrà soppressa dal regime. Dopo alcune esperienze cinematografiche come regista e aiuto regista con Mario Monicelli (il lungometraggio I ragazzi della via Paal è stato presentato e premiato alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia del 1935), nel 1938 Mondadori fonda a Roma la società di produzione Montedoro Film, con risultati non molto soddisfacenti. Proprio in questo periodo matura in lui un conflitto tra la soggezione, ammirazione, emulazione verso la potente personalità del padre-presidente, e una sofferta volontà di liberazione.
Le poesie di Alberto Mondadori, pubblicate con il titolo Quasi una vicenda sono precedute da un’introduzione di Giacomo Debenedetti; introduzione che serve ad orientare il lettore sulla situazione e sull’andamento della poesia italiana, arrivata su un punto dove si congiungono due poetiche, quella dell’ermetismo e quella di questo periodo che ancora non ha raggiunto una chiara definizione, ma che tende a reintegrare i valori umani dello spirito poetico, la presenza di nuovi contenuti cercando di conferire ad essi validità espressiva.
Infatti, conclusa la stagione ermetica, quella nuova che si è aperta tende a riarticolare la parola in un discorso poetico, suggerendo una realtà etica nel suo svolgersi e in questo senso Quasi una vicenda di Mondadori allude alla condizione nuova, come già si può capire dal titolo, che va assumendo la poesia post-ermetica. Mondadori chiude il contenuto sensibile nella parola poetica in maniera personale e autentica. Ma la sua poesia non risulta di difficile comprensione. Essa nasce da una condizione di angoscia, non tanto di natura esistenziale, quanto dalla solitudine e da una chiusura interiore che cerca di colmare la distanza tra il proprio io e il mondo degli altri, volta alla conquista di una intimità colloquiale, di anima piuttosto che di sensi, che permette al poeta di uscire dal proprio mondo e di unirsi al resto del mondo. Da questo punto di vista, quindi, Mondadori è sulla stessa lunghezza d’onda di Ungaretti che ha superato in questo modo la tormentosa coscienza di non potersi esprimere.
Non è un caso che nelle poesie dello scrittore lombardo ricorre frequentemente l’immagine di una donna che rappresenta la sua liberatrice, la sua Beatrice. Tale donna, tuttavia, non è la solita donna cui chiedono soccorso i poeti,è una persona precisa, una donna compiuta non una fata, alla quale corrisponde il nome di Virginia che illumina l’angosciosa esistenza del poeta, facendo da lieve contraltare al suo lamento.
Mondadori arriva molto spesso a una validità poetica attraverso i contatti e i colloqui con la natura, con i suoi mari, i suoi cieli, le sue terre, in cerca di una interiore riappacificazione col mondo. Il poeta quindi è preso dolcemente per mano da Virginia e dalla natura che lo conducono verso una “redenta stagione”:
“Ma tu-pietosa verrai-alfine-Virginia-come sull’orme di un sentiero erboso-senza stupore di me-teneramente-con spietato cuore-a sereno rifugio ricondurmi-in comune salute-aridità vincendo”.
Innovatore, generoso, velleitario, disordinato, incostante, Alberto Mondadori non è mai diventato quell’imprenditore-intellettuale che tanto desiderava suo padre Arnoldo, ma l’editore-scrittore si è sempre scontrato con “l’ordinato” mondo della strategia di mercato e di catalogo. Gli eccessi nelle spese e negli investimenti, la moltiplicazione di collane e titoli, e il carattere elitario della produzione hanno purtroppo portato la casa editrice ad un disastroso deficit e alla liquidazione dell’azienda.
Ma i meravigliosi ed irripetibili anni de Il Saggiatore sono andati ben al di là dei bilanci in rosso e del fallimento del suo appassionato e sperimentale promotore.