Dal trionfo del Movimento 5 Stelle alla débâcle del Partito Democratico, dal successo della Lega al tonfo di Forza Italia: come cambia lo scenario politico italiano dopo le elezioni del 4 marzo? A guardare le mappe spennellate di colori politici, l’Italia è divisa in due: Lega Nord e Lega Sud. Il meridione e le isole sono macchiati del giallo del Movimento 5 Stelle, il settentrione è zona targata Lega. I veri vincitori sono loro, i partiti cosiddetti populisti, i partiti della realtà. I perdenti? Innanzitutto il Partito Democratico dell’ex-premier in bicicletta Matteo Renzi, che ha dimezzato i consensi, insieme alla fotogenica e onnipresente Emma Bonino e ai colonnelli fuoriusciti (dalla casa democratica e dalla storia) Bersani, D’Alema, Grasso e compagnia. Non se la passa bene nemmeno Forza Italia, che guadagna la seconda posizione all’interno della coalizione del centrodestra.
Un tempo l’avremmo chiamata propaganda, ma abbiamo rilegato il termine ai totalitarismi. La politica è anche narrazione, non soltanto decisioni, norme, compromessi, fatti e così via. Ogni movimento, ogni partito, talvolta ogni singolo uomo politico costruisce il suo racconto, diluendo i fatti in un universo di valori, aspettative, illusioni, emozioni con cui si affrontano gli sviluppi della vita politica. Ci domandiamo: quali narrazioni hanno vinto e quali hanno perso?
Ciò che salta agli occhi è certamente il successo del M5S. Deriso, osteggiato, sbeffeggiato, considerato un partito di ebeti fascisti, una metastasi temporanea della politica italiana, messo in ridicolo (a volte dai suoi stessi adepti), il Movimento ha fatto breccia con una narrazione tanto banale quanto semplice, lineare, facilmente condivisibile: il luogo della discussione, il Parlamento, è la sala in cui il maggiordomo uccide il sovrano, in cui gli eletti tradiscono gli elettori. Con le loro norme contorte e i loro inciuci prendono la tua fiducia, caro cittadino, e la scaricano nel letamaio. Contro tali abusi, contro tutto ciò, contro tutto, contro nemmeno-noi-sappiamo-cosa, il Movimento ti difenderà. Ed eccolo lì, il Movimento, a macinare percentuali incredibilmente assurde per un partito senza storia, con i consensi che superano il 40% e sfiorano il 50 (al Sud, al Centro e sulle isole). Con queste percentuali, non potranno che ricevere la seconda o la terza carica dello Stato in sede parlamentare.
La Lega di Matteo Salvini è la medaglia d’oro delle elezioni. Se il M5S guida il primo partito in termini di voti, la Lega guida la prima coalizione. Ciò si traduce, nel nostro assetto istituzionale, in un privilegio non da poco, cioè nella verosimile preminenza che il Presidente Mattarella accorderà, in ipotetici incarichi, a Salvini. La trasformazione della Lega da partito regionalista a forza populista su base nazionale è stato definitivamente compiuto al Nord, dove spicca come primo partito in assoluto, ma è frenata dalla vittoria dei pentastellati al Centro e al Sud, dove Salvini incassa comunque ottimi risultati (9 punti percentuali in Molise, da 15 a 17 in Lazio e Abruzzo, intorno al 5-6 in Sicilia, Calabria, Campania, Basilicata, Puglia, 10 in Sardegna, dove ha giovato l’alleanza con gli autonomisti storici del Partito Sardo d’Azione). Sfonda anche nelle regioni rosse, storici fortini della sinistra, dall’opulenta Emilia-Romagna, dove la Lega raggiunge la quota di 19 voti ogni 100, all’operaista Toscana, dove si attesta al 17% (20-21 nei collegi di Pisa, Grosseto, Lucca). Nota di merito per Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che conferma le aspettative in una forbice tra il 4 e il 5%.
Berlusconi tradisce le attese, e più che un gourmet si dimostra essere un avanzo del giorno prima. Ha abituato il paese a vederlo grande vincitore o grande sconfitto, protagonista della gran commedia o della gran tragedia. Le elezioni lo hanno inchiodato a quel 13-14% che potrebbe davvero essere la sua fine. Il Cavaliere è un mostro da palcoscenico, capace della più forte empatia con gli italiani, che lo vogliono vedere ora Achille ora Ettore, nell’eterno duello con se stesso da cui esce vivo o morto. Le percentuali suddette, invece, lasciano Forza Italia dove mai dovrebbe trovarsi, a metà tra la sconfitta (interna alla coalizione del centrodestra) e la vittoria (esterna). Fine delle trasmissioni?
Emergenza Casapound, si diceva. Ci siamo già dimenticati Auschwitz?, domandavano. Voilà, i pericolosi neri, attestarsi ben al di sotto dell’1%. Un colpo al cuore per gli uni che paventavano il ritorno delle camicie nere e si impegnavano in marce anti-qualcosa, e per gli altri, i casapoundiani, che si ponevano come vera alternativa al sistema e veri difensori del popolo italiano il quale, evidentemente, nemmeno sa chi siano. Andavano dicendo che votando Casapound avremmo impedito il ritorno di Renzusconi. Eccoci qui, nessuno ha votato Casapound e i numeri dicono che non ci potranno essere le larghe intese tra centrodestra e centrosinistra. Avranno tempo per vittimizzarsi. Chapeau, kameraden, narrazione perfetta.
I feticci e la realtà
Arrivano, sono loro. Le aspettative individuali e sociali, il demone con cui la politica deve forzatamente fare i conti. Perché puoi costruire e pompare una narrazione in cui l’Italia torna a essere grande e rispettata, in cui il lavoro riparte, in cui i diritti civili sono finalmente conquistati, ma arriverà inarrestabile la realtà a mostrarti che no, l’industria italiana è stata progressivamente ridotta in macerie, il lavoro non riparte bensì si trasforma in sfruttamento precarizzante, i diritti civili sono un feticcio morale con cui non si pranza. “Voto di pancia”, dicono. Viveteci voi, cari diritticivilisti, con una pensione misera, con uno stipendio da fame, con tasse da capogiro. La pancia sarà sempre il primo strumento a intonare la colonna sonora della vostra disfatta. Come se i bisogni primari dell’uomo fossero indegni della politica. Perché c’è un Italia che non vuole trucchi per rifarsi l’anima bella, non sente in sala i vostri racconti strappalacrime se lì fuori un martello pneumatico distrugge l’esistenza rendendo instabile il lavoro, i legami familiari, i momenti di festa, tutto ciò che riguarda la ciclicità dell’esistenza e che dà senso e significato al nostro vivere. Il Partito Democratico, con le sue battaglie di civiltà – quale? – cade al 18%, Liberi e Uguali del tandem Grasso-Boldrini viene ridotto a partitello da 3%, riuscendo per un soffio a entrare in Parlamento. Un abbraccio compassionevole.
Il Presidente della Repubblica non avrà avuto un buon risveglio. Nel momento in cui scriviamo, non ci sono percentuali per alcuna maggioranza gialla, né per un governo blu, né per una transizione a guida PD-FI, come magari auspicava qualcuno quando ha votato il Rosatellum pensando di far fuori i Cinque Stelle. Gli scenari più plausibili sono due, un accordo parlamentare in grande stile per la stesura e l’approvazione di una nuova legge elettorale, oppure un governo delle forze cosiddette populiste. M5S, Lega e FdI, che nella precedente legislatura hanno costituito l’opposizione, insieme totalizzano il 60% dei consensi, oltre che la stragrande maggioranza degli eletti nei collegi uninominali. Un accordo è possibile su pochi punti chiave quali l’abolizione della Legge Fornero, l’abolizione del Jobs Act, riordino del fisco e della giustizia. Non c’è però convergenza sui cavalli di battaglia elettorali – Flat Tax leghista e reddito di cittadinanza pentastellato – né sulle cruciali questioni dell’uscita dall’Euro e dall’Unione Europea, misure imprescindibili secondo il gruppo di destra, secondarie se non superflue per i grillini.
Alessio Mulas-L’intellettuale dissidente