La vita interiore: la dissacrazione dei valori borghesi

“Questo è il mio ultimo romanzo” (A. Moravia).

Alberto Moravia

Alberto Moravia si dedica alla stesura de La vita interiore, pubblicato nel 1978,  per ben sette anni. Diviso in tre parti (La casa di appuntamenti, Gli anni criminali e Il gruppo e l’orgia) si presenta come un’incalzante intervista, un discorso a due tra la protagonista e l’autore.

Questa storia atemporale, ci viene raccontata da Desideria. A dominare le sue azioni è una voce interiore che le dice cosa fare e la interroga, la induce alla riflessione e la sprona ad agire per tutto il tempo della lunga intervista. Il suo stile, che abbraccia una vastissima diversità di forme narrative,  appare ora oggettivo, freddo e lucido.
Desideria vive in una famiglia ricca, presso il quartiere romano Parioli, con una madre ostile alla quale sente sin da piccola di non appartenere. Desideria è una bambina grassa e come tale, subisce umiliazioni di ogni tipo da chi dovrebbe, invece, garantirle protezione. Assiste agli incontri consumati dalla madre nella loro abitazione, osserva, si pone delle domande, tace. Non vive certamente bene la sua condizione di bambina grassa,(ogni avvenimento le tornerà poi alla mente come qualcosa di irrisolto, un momento incompiuto, in cui non potendo reagire, non le restava altro che covare). La madre adottiva, Viola, non perde occasione per ricordarle quanto sia sbagliata, diversa da lei, lontana dai suoi canoni di figlia perfetta; allo stesso tempo nutre uno strano amore materno. Desideria non vuole sentirsi un peso, sa di non meritarlo, di non avere colpe, eppure non puo’ difendersi, o almeno non da subito. Come in un continuo infinito flashback abbiamo modo di penetrare nella sua infanzia, quasi di assistere agli episodi di cui fu protagonista.
Risparmierò, metterò da parte e quando mi sembrerà di avere una somma sufficiente, andrò dalla signora  che adesso chiamo mamma e le dirò: quanto hai speso finora per me? Tanto? Bhé, ecco i soldi che hai speso, né più né meno. Adesso siamo pari, non ti debbo più nulla. Ti ringrazio di tutto e ti dico addio. Ma quando credi che potrai fare la puttana? Penso che prima passerò l’esame di maturità e poi prenderà una decisione.” “Ma le puttane devono essere belle. Tu, secondo me, sei troppo grassa per fare la puttana”.
In questo modo, si confessa.  Il male di cui ci parla è indelebile. Desideria rivede sempre Viola e tutto ciò che rappresenta.
Paragonata a Giovanna D’Arco, Desideria fa un voto di castità, promettendo di salvare la sua verginità fino al giorno in cui sarebbe sparita la Voce dalla sua testa .
Ad  un certo punto cambia, per volere suo, per volere della Voce, si trasforma non solo fisicamente e comincia, così, la sua Rivoluzione. La voce stessa è la rivoluzione. La madre finisce per essere attratta dal nuovo aspetto assunto dalla figlia, come se non esistessero più limiti e freni nella condotta di vita di questi borghesi senza scrupoli e Desideria non fa altro che dissacrare ad uno ad uno quei valori inesistenti ed effimeri che le famiglie borghesi del tempo avevano fatto propri. Condanna la morale di cui erano, nonostante tutto, vittime, poiché vista come un ostacolo ed un impedimento e la denuncia che ne fa di quel mondo è davvero spietata.
Durante questi nuovi giorni di rinascita, cerca l’appoggio di altri ”compagni d’avventura”, li trova;  si innamora di Giorgio,  lo studia, ma poi se ne separa.Riportiamo un dialogo tra Desideria e Giorgio che sottolinea l’audacia dello scrittore: Il tuo segreto è che, dopotutto,  anche tu hai una coscienza, magari sepolta sotto un monte di merda, e questa coscienza consiste nel fatto che sai di essere corrotto fino al midollo e siccome lo sai desideri morire, non esistere più, tornare ad essere quello che eri prima di nascere, vale a dire un feto, un embrione, nulla. E sai come me ne sono accorta? Me ne sono accorta dal modo con il quale quel giorno hai fatto l’amore orale. Mentre stavo supina, con le gambe spalancate e tu inginocchiato davanti a me mi baciavi il sesso, ho sentito con precisione che non cercavi il tuo piacere, ma volevi semplicemente morire, sì, morire  dentro il mio ventre che per te, in quel momento, era il ventre di tua madre, cioè rifare a ritroso il cammino che avevi già fatto venendo al mondo, acciambellarti dentro di me,  come il feto, con le braccia conserte e gli occhi chiusi, e poi regredire indietro indietro, tornare ad essere un embrione, un grumo di vita, un nulla.
 
In seguito alle esperienze più estreme vissute in nome di ciò che le dettava la Voce, arriverà, in fine, a pianificare il sequestro della madre e ad uccidere sia il suo amante,  Tiberi, che un altro dei protagonisti, Quinto. Come se, in fondo, tutte le lotte portate avanti avessero solo condotto al nulla. Il romanzo resta come inconcluso, “sospeso”.
In realtà, questa contrapposizione tra mondo popolare e borghese non è così netta : Tutti i personaggi di cui ci parla sono caratterizzati da una stessa “atonia spirituale”, sono come fermi, congelati nel loro ruolo, all’ossessiva ricerca di sesso e denaro. I rapporti umani sono spinti da questi due motori, nulla è autentico. Ad interessare l’autore sono gli atteggiamenti psicologici  dei suoi personaggi. Moravia resta, in questo senso, un pessimista che prende coscienza della realtà e l’analizza servendosi di nuovi strumenti come la psicoanalisi e le scienze sociologiche. E così facendo, non fa altro che descriverci la società sessantottina e fornircene un disegno.
Considerato da alcuni critici scandaloso e addirittura “privo di contenuto”, resta sicuramente uno dei romanzi più letti dello scrittore, che parrebbe non aver mai abbandonato le idee su cui si è poggiato il suo più grande romanzo: Gli Indifferenti , proprio come se non avesse mai finito di scriverlo.
Di Anna Vitiello.

 

Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani: storia di una salvazione

<<Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno e della signora Olga – e di quanti altri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Ma l’impulso, la spinta a farlo veramente, li ebbi soltanto un anno fa, una domenica d’aprile del 1957>>. (Incipit Il giardino dei Finzi-Contini)

Il giardino dei Finzi Contini si può senz’altro considerare uno dei capisaldi della lettaratura moderna, sia per la qualità della narrazione, sia per una trama semplice, ma, come il più delle volte accade, fortemente evocativa che permette al lettore di immedesimarsi nei personaggi e nelle situazioni. Un romanzo della memoria, una storia di salvazione che ha avuto non pochi denigratori come non pochi sostenitori dato il grande successo di pubblico alla sua uscita.

Giorgio Bassani dà alla luce questo libro nel 1963: il romanzo è raccontato da una voce narrante che ripercorre gli anni dell’adolescenza e dell’università del protagonista. La storia si articola attorno alle vicende di una ricca famiglia ebraica di Ferrara. Bassani è molto abile a dipingere le storie dei protagonisti sullo sfondo degli eventi della metà del novecento: l’avvento del fascismo, le leggi razziali, la guerra. L’epilogo della storia sarà molto breve (due pagine), quasi a voler conferire un immagine di improvvisa morte e dolore, visto come terminano le sorti dei protagonisti.

All’interno della storia de Il giardino dei Finzi-Contini trovano spazio vari personaggi, alcuni dei quali molto emblematici. Uno di questi è il padre dell’io narrante (ovvero di Bassani, anche se non si rivelerà mai),  persona dotata di una grande umanità, che si preoccupa dei figli e fa di tutto per farli studiare. Sarà una figura fondamentale per il figlio, al quale consiglierà di allontanarsi dal giardino dei Finzi Contini, e soprattutto dalla bella Micol, perché, a suo dire, vivono in mondi troppo diversi.

Una delle figure principali, attorno alla quale si snoda la trama principale del racconto, è  l’enigmatica Micol: una ragazza allegra, dinamica, che dice di amare il  dolce passato e il presente, ma afferma il contrario di quello che pensa, anela al futuro ed è aperta alla vita e al diverso, nonostante la sua famiglia  tenda a sopprimere i suoi istinti di apertura verso il mondo esterno, motivo che l’ha spinta alla conoscenza con la voce narrante.

L’amore non corrisposto è forse il grande tema di questo romanzo: l’autore-personaggio dopo aver percorso un labirinto di emozioni contrastanti e difficoltose, arriverà poi a confessare il suo amore a Micol, che, impunemente, inizierà ad allontanarsi da lui. Ne nasce un vero e proprio gioco delle parti: il ruolo decadente svolto dai Finzi-Contini che guardano al passato e quello positivo rappresentato da Malnate, personaggio che nutre profonde convinzioni politiche ( è comunista e lavora in fabbrica) al centro vi è Giorgio.

Nell’atto di scavalcare, come la prima sera fece per entrare, il muro di cinta del giardino, l’autore-protagonista si rende conto che per tutto quel tempo è soltanto stato attore passivo del suo amore per Micol: è come se lei continui a stare in quel giardino, coperta come da un vetro che fa trasparire l’immagine, ma che non ne renderà mai possibile il contatto reale. Il ricordare, strategia fondamentale con cui è costruita la narrazione, ha l’obiettivo di rendere tutta la storia velata di una doppia malinconia: da un lato le amare vicende sentimentali del protagonista, dall’altro le cupe vicende della guerra e della distruzione che in quegli anni flagellavano l’Europa intera.

Dall’inizio alla fine del libro si respira aria di salvazione, quella riservata, slealmente,dallo scrittore al suo protagonista Giorgio: Bassani esercita violenza nei confronti di tutti gli altri personaggi, i quali incarnano la buona e la cattiva cosicenza del protagonista, per creare un’aurea di positività e speranza intorno a Giorgio, operazione portata avanti non senza uno spiccato autocompiacimento. Secondo lo scrittore Bruno Barilli quindi, Bassani compie una sorta di sopraffazione per agevolare a Giorgio la strada verso la salvezza, riempendo, da ultimo, la scena. In questa cornice, diventa funzionale anche il problema ebraico: Bassani fa delle persecuzioni razziali “uno strumento catartico, per la propria elevazione morale”.

La forza del romanzo sta nel saper unire motivi neorealisti a motivi lirici, decadenti. L’età dell’innocenza, come direbbe Edith Wharton, è immediatamente e bruscamente seppellita, anche letteralmente, dai morti e dalla morte che si respira alla fine del libro. Il giardino, luogo in cui i protagonisti si “rifugiano” dalla guerra che imperversa, forse non è riuscito a mantenere lontano dai loro animi, un altro tipo di guerra, ugualmente struggente: la guerra che ognuno di noi è chiamato a combattere con le proprie emozioni e sentimenti. Il difetto maggiore invece, risiede in un certo narcisismo con il quale l’autore vuole dire che solo chi è moralmente superiore può e deve salvarsi.

L’accusa principale che venne  mossa a Bassani fu quella di aver realizzato un romanzo di provincia che non si può inserire nella neoavanguardia italiana. Tuttavia il romanzo  è suggestivo  e avvincente che non può essere liquidato come un banale romanzetto provinciale per sole donne. Il giardino dei Finzi-Contini  come ha notato ancora Barilli, non ha in sé i “difetti più evidenti della narrativa italiana contemporanea, che stanno in un ingenuo documentarismo, in un recupero delle vecchie strutture del naturalismo, in una piatta trascrizione del parlato quotidiano”; il rapporto dello scrittore bolognese con la realtà è obliquo non univoco e razionale. La memoria, in questo senso, serve a Bassani non tanto per illuminare  cose, persone e ambiente, ma per dare loro una carica sentimentale, in questo modo è garantita una chiara ricostruzione di quel periodo storico sebbene gli attacchi in riferimento ad una carenza di coscienza storica nel romanzo dicessero il contrario. A tal proposito ci sembra opportuno riportare l’opinione dello stesso Giorgio Bassani in “Il mestiere di scrittore” di F. Camon:

“Io sono storicista e lo dimostro con le analisi di tipo storiografico in cui immergo la realtà umana dei miei personaggi. Il giardino dei Finzi-Contini è, da un punto di vista storicistico, un saggio, che mi permetto di giudicare obiettivamente valido, sull’Italia tra l’Ottocento e il Novecento..”

Il giardino dei Finzi-Contini è stato trasposto cinematograficamente da Vittorio De Sica nel 1970 provoncando un forte dissenso in Bassani.

 

 

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