Peccato che non abbia vinto “Il corriere – The Mule”. Ah, già, il film di Eastwood agli Oscar non era neppure candidato. Dimenticavamo che quando si srotola il red carpet del Dolby Theatre Hollywood non ammette deroghe: anche quest’anno, infatti, una volta fatto fuori il maestro poco incline a conformarsi ai diktat ideologici, le statuette s’accomodano sotto l’ala del politicamente corretto.
Perlomeno, però, con un certo garbo: “Green Book” è un film solido e scaltro, gratificato dal fascino vintage dei film di Capra e impreziosito oltre i suoi meriti da un duetto recitativo d‘alta classe, mentre “Roma”, di gran lunga superiore, permette a Cuaròn di mettere a segno la memorabile accoppiata migliore regia/miglior film straniero. Non solo: il messicano, che non è uno schizzinoso autore all’europea visto che appena cinque anni fa con il kolossal fantascientifico “Gravity” incamerò sette statuette, sdogana definitivamente proprio nel tempio del cinema-cinema Netflix, la piattaforma streaming forte di 125 milioni di abbonati nel mondo peraltro ormai orientata a trattare sulle reciproche convenienze con gli ex arcinemici produttori, distributori ed esercenti.
Siccome c’è sempre uno più puro che ti epura, è significativa anche la notizia che il grande Mortensen di “Green Book” nelle more del trionfo è stato accusato di razzismo (al regista Singer di “Bohemian Rhapsody” è andata peggio: protestato perché denunciato per molestie sessuali). Sempre riguardo ai buoni sentimenti, che non fanno male ma non determinano il quoziente artistico, troppo poco risalto è stato pour cause concesso a “La favorita”, il magnifico apologo in costume in cui la migliore attrice Colman fa a gara in perfidia e morbosità con la Stone e la Weisz sconfitte nella categoria delle non protagoniste dalla King del flebile “Se la strada potesse parlare” (peraltro superiore a “Blackkklansman”, migliore sceneggiatura grazie a uno dei peggiori film di Lee che si ricordino).
Inevitabile, invece, il premio al super-imitatore di Mercury Malek perché piace immensamente al pubblico a cui, però, sui trasgressivi Queen per colmo di mistificazione è stato confezionato un biopic edificante. Come del resto quello a “Shallow”, la canzone strappamutande di Lady Gaga insuperabile per come s’esalta abolendo anziché indossando i trucchi e le mise del proprio personaggio.
Alla fine, tra le immancabili polemiche, l’ha spuntata “Green Book” di Peter Farrelly nella corsa per il titolo di miglior film alla 91ª edizione degli Academy Awards a Los Angeles, cerimonia sempre più imbalsamata di buonismo premi Oscar del cinema statunitense assegnati dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences. “Green Book” ha sbaragliato i concorrenti più agguerriti, in primis “Roma” e “La favorita” (forti di 10 nomination). Non ci sono stati grandi dominatori nel corso della serata ma le statuette sono state distribuite in maniera pressoché omogenea. Il bottino più ricco è andato a “Bohemian Rhapsody” (4 premi, tra cui l’attore Rami Malek), “Green Book” (3 Oscar: film, attore non protagonista Mahershala Ali e sceneggiatura originale), “Roma” (3 titoli: regia, film straniero e fotografia) e al colossal Marvel “Black Panther” (3 premi tecnici). Una cerimonia senza conduttore, dall’andamento composto ma poco incisivo, con una staffetta di star a conferire i premi. Preziose le performance musicali live, tra cui la scarica rock dei Queen in apertura di serata e il sontuoso duetto di Bradley Cooper e Lady Gaga.
Solido e tradizionale, “Green Book” ha tenuto testa nella roulette degli Oscar ai favoriti “Roma”, “Bohemian Rhapsody” e “Vice”. Il punteggio più alto lo conquista, come spesso succede anche nel declinante cinema americano d’oggi, grazie all’impareggiabile duetto tra i protagonisti, capaci di conferire intense e divertenti sfumature al classico incontro/scontro tra due personaggi in tutto e per tutto opposti. La trama si basa su un vecchio episodio dell’America razzista, per la verità ancora attuale in un paese che ne continua a subire le drammatiche conseguenze, permeato, però, da un senso liberal di ripulsa che non assomiglia allo stile urlato caro, per esempio, all’altro candidato alle statuette Spike Lee: per il regista Farrelly, stavolta separato dal fratello Bobby, lo spunto diventa esemplare non tanto per l’accuratezza –peraltro encomiabile- dei costumi, le scenografie e, in particolare, le poliedriche musiche, quanto per l’acclusa metafora dei più nobili sentimenti umani che dovrebbero essere e purtroppo non sono universali e trasversali.
Insomma un film che ancora una volta affronta il tema del razzismo in maniera stereotipata, come ha dichiarato il regista Spike Lee, anche se può gioire per il premio per la miglior sceneggiatura di BlacKkKlansman, che gli ha consentito di regalare al pubblico il discorso più politico di questi Oscar.
Gli Oscar di “Green Book” coronano dunque una serata di grande attenzione alla questione delle discriminazioni razziali e alla condizione degli afroamericani. Una cerimonia di fatto all’insegna del cinema “black”, a cominciare dalle vittorie per i gli attori non protagonisti Mahershala Ali e Regina King (“Se la strada potesse parlare”). Non vanno poi dimenticati, su questa linea, i 3 Oscar di “Black Panther”, film sul primo supereroe di colore dai fumetti Marvel. A rimarcare inoltre il tema dell’integrazione sociale è stato anche Alfonso Cuarón con il suo “Roma” prodotto da Netflix (già Leone d’oro al Festival di Venezia), che ha ritirato le statuette per regia, film straniero (Messico) e fotografia.
Già alla scorsa Mostra di Venezia, dove ha ottenuto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione, la strepitosa Olivia Colman era data come probabile vincitrice dell’Oscar per il ruolo della regina Anna Stuart, nel graffiante e disturbante “La favorita”di Yorgos Lanthimos, che avrebbe forse meritato più di tutti l’ambito Oscar. Neanche la veterana Glenn Close in “The Wife” (alla sua settima nomination) ha potuto arrestare la corsa di questa straordinaria attrice inglese, che presto vedremo nei panni di un’altra sovrana, la regina Elisabetta II nella terza stagione di “The Crown” su Netflix.
Miglior attore si è confermato come da pronostici Rami Malek, per la sua incredibile performance del cantante Freddie Mercury in “Bohemian Rhapsody”, biopic musicale sulla band britannica Queen.
Come da attese la miglior canzone è “Shallow” di Lady Gaga e Mark Ronson per il film “A Star Is Born”; la cantante con il regista-attore Bradley Cooper ha regalo un’emozionante performance live sul palco del Dolby Theatre. Standing ovation. La miglior colonna sonora è invece quella di “Black Panther” firmata da Ludwig Goransson.
L’Oscar per l’animazione è dell’innovativo “Spider-Man. Un nuovo universo” prodotto dalla Sony-Marvel, che batte i Disney-Pixar “Ralph spacca Internet” e “Gli incredibili 2”. Tra i disegnatori del nuovo Spider-Man, del ragazzo afroamericano Miles Morale, c’è l’italiana Sara Pichelli, originaria di Porto Sant’Elpidio. Inoltre, miglior documentario è lo statunitense “Free Solo” di E. Chai Vasarhelyi e J. Chin. Nella serata, nel toccante momento di ricordo degli artisti scomparsi nel corso dell’ultimo anno, omaggio anche ai registi italiani Ermanno Olmi, Bernardo Bertolucci e Vittorio Taviani; a dirigere l’orchestra il maestro venezuelano Gustavo Dudamel.