‘Capolavori della Johannesburg Art Gallery Dagli Impressionisti a Picasso’ in mostra al Forte di Bard

Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso, a cura di Simona Bartolena, è la mostra che il Forte di Bard ospiterà dal 14 febbraio al 2 giugno 2020. In esposizione, una selezione di 64 opere dallo straordinario valore artistico, provenienti dalla Johannesburg Art Gallery, il principale museo d’arte del continente africano.

La collezione nel suo insieme conta oltre cento opere tra olii, acquerelli e grafiche, che portano la firma di alcuni dei grandi maestri della scena artistica internazionale tra Ottocento e Novecento, da Degas a Dante Gabriel Rossetti, da Corot a Boudin e Courbet, da Monet a Van Gogh, da Mancini a Signac, da Picasso a Bacon, Liechtenstein e Warhol, fino ai più recenti protagonisti del panorama artistico sudafricano, primo fra tutti William Kentridge. Una serie inaspettata di capolavori che permettono di percorrere un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte del XIX e XX secolo, spaziando dall’Europa agli Stati Uniti, fino al Sudafrica.

L’esposizione al Forte di Bard inizia con un’opera di Antonio Mancini, un ritratto a Lady Florence Phillips, fondatrice della Johannesburg Art Gallery e prosegue con le opere dell’Ottocento inglese tra cui i lavori del grande protagonista del romanticismo britannico Joseph Mallord William Turner, dei Preraffaelliti Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais e di Sir Lawrence Alma-Tadema.

Un nucleo di opere francesi della seconda metà dell’Ottocento sono le protagoniste della sala successiva: in esposizione la veduta delle falesie normanne di Étretat di Gustave Courbet, un piccolo gioiello che ben rappresenta la fase più vicina ai barbizonniers di Camille Corot e opere di François Millet e Henri-Joseph Harpignie.

Il percorso continua con la straordinaria novità del linguaggio impressionista delle opere di Monet, Sisley, Degas e Guillaumin e con alcuni protagonisti della scena postimpressionista, artisti che seppero prendere le distanze dalla lezione di Monet e compagni, suggerendo nuove ipotesi espressive e nuove strade alle generazioni successive. Notevole spazio ha in mostra il pointillisme, lo stile nato dalla radicalizzazione delle teorie impressioniste, grazie alla presenza di due capolavori di Paul Signac (un acquerello e lo splendido La Rochelle), un paesaggio di Lucien Pissarro, figlio dell’impressionista Camille, in bilico tra nuove ricerche e memorie della pittura paterna, e un importante lavoro di Henri Le Sidaner.

Segnano, invece, il passaggio al XX secolo i disegni di due grandi scultori: Auguste Rodin e Aristide Maillol. L’arrivo nelle collezioni della Johannesburg Art Gallery di opere datate al Novecento è piuttosto tardivo grazie ad acquisizioni e donazioni successive. In mostra, al rigore del ritorno a una figurazione dagli accenti tradizionali di André Derain fanno da contrappunto l’approccio già avanguardista di Ossip Zadkine, in bilico tra sintesi cubista e recupero di una rinnovata solidità classica, e l’inconfondibile eleganza del segno di Amedeo Modigliani. Quattro grafiche e una significativa Testa di Arlecchino a matita e pastello raccontano la ricerca di Pablo Picasso.

Il percorso nelle avanguardie prosegue con la ricerca sensuale e luminosa di Henri Matisse, presente in mostra con tre notevoli litografie.
La collezione storica dedicata al secondo Novecento è frutto di acquisizioni e donazioni recenti e comprende, oltre che lavori di artisti locali, anche opere di europei e statunitensi. La mostra ne ospita quattro significativi esempi: un tormentato ritratto maschile di Francis Bacon, un intenso carboncino di Henry Moore, e due capolavori pop di Roy Lichtenstein e Andy Warhol.

L’ultima sezione della mostra è dedicata all’arte africana contemporanea che ricopre un ruolo importante nel percorso espositivo: una vera scoperta, un’occasione per incontrare una realtà pittorica ben poco nota al pubblico europeo.

La collezione della Johannesburg Art Gallery 

Aperta al pubblico nel 1910, la Johannesburg Art Gallery è il principale museo d’arte del continente africano e ospita una collezione di altissima qualità.

Principale protagonista della nascita e della formazione della collezione fu Lady Florence Philips. Nata a Cape Town nel 1863, si trasferisce a Johannesburg dopo il matrimonio con Sir Lionel Philips, magnate dell’industria mineraria. La galleria, finanziata da investimenti del marito e di alcuni altri magnati, nasce con l’obiettivo di dotare la sua città di un museo d’arte, convinta di voler trasformare quello che all’epoca era un centro minerario in una città improntata al modello delle capitali europee. La nascita di una galleria d’arte pubblica sarebbe stata inoltre un’opportunità di crescita culturale per tutta la popolazione oltre che fattore di prestigio per l’alta società locale.

Altra personalità che ebbe una parte rilevante nella fondazione del museo fu Sir Hugh Percy Lane, esperto d’arte e mercante anglo-irlandese. Già curatore per la Municipal Gallery of Modern Art di Dublino, fra i primissimi estimatori e collezionisti dell’Impressionismo francese, aiutò Lady Philips nell’impresa, consigliando possibili acquisizioni.

Fino dalla sua apertura, il museo presenta una selezione di opere di straordinaria qualità e modernità, un nucleo arricchitosi negli anni, grazie a nuove acquisizioni, lasciti e donazioni.

 

La collezione d’arte Rockefeller andrà in questa primavera all’asta per beneficenza

La collezione d’arte del magnate David Rockefeller andrà all’asta nella tarda primavera. Christie’s si occuperà della vendita di più di 2.000 oggetti del banchiere filantropo, inclusi pezzi di arte moderna, porcellane cinesi, quadri americani e mobili europei. Il ricavato dell’asta, considerata una delle più importanti del secolo, sarà distribuito fra una decina di organizzazioni di beneficenza legate a cause culturali, educative, mediche e ambientali a lungo sostenute da David e Peggy Rockefeller. Secondo alcune stime preliminari, con la vendita potrebbero essere raccolti fino a 500 milioni di dollari, una cifra superiore ai 484 milioni di dollari dell’asta della collezione di Yves Saint Laurent, definita finora l’asta del secolo. I Rockefeller continuano così la loro lunga eredità di filantropia. Raccolti da una vita e tramandati dalle generazioni precedenti, gli oggetti della collezione riflettono la profonda e lunga passione di tutta la famiglia per opere d’arte impressioniste, post impressioniste e moderne, dipinti, opere d’arte asiatiche, ceramiche europee.

Data l’assoluta eccezionalità dell’occasione, Christie’s ha organizzato un tour mondiale della collezione che a partire da Londra (dal 21 febbraio all’8 marzo) passerà per Pechino (dal 6 al 7 di aprile) per tornare negli Usa e in Cina, fino alla data in cui verrà sottoposta al martello del battitore in tarda primavera al Rockefeller Center di New York.

Si sa, il ruolo delle case d’asta è fondamentale per tutto l’andamento del mercato e del sistema dell’arte contemporanea, considerando che il timone è retto dal trio Christie’s, Sotheby’s e Phillips de Pury. Innanzi tutto per le loro dimensioni in termini quantitativi e geografici – attirando acquirenti da tutto il mondo ed avendo sedi dislocate in più paesi (le principali a New York, a Londra e in Cina) -, e in termini di fatturato, il quale determina la concorrenza e la predominanza di una casa e una piazza rispetto all’altra. Il loro carattere e il loro potere è di fatto internazionale, o meglio mondiale, e contribuisce a rinforzare il fatto di essere la leva per il successo di determinati autori e correnti artistiche.
I risultati d’asta, anche delle altre case minori, sono pubblici e consultabili dalle banche dati. Risulta così possibile poter conoscere qual è il prezzo di aggiudicazione di un’opera e poterne fare un confronto con i prezzi del mercato primario e delle gallerie. Dato un numero sufficiente e costante di transazioni, si può calcolare l’indice di un artista e iniziare a ragionare, con dati alla mano, anche in termini di investimento economico.

David Rockefeller è il nipote di John Davidson Rockefeller, il primo billionare d’America, detentore di quel monopolio del petrolio che aveva permesso al Paese di prosperare assicurandogli energia a un costo relativamente basso. La famiglia era proprietaria del famoso Standard Oil Building, definito dagli americani The world’s most famous business address, che si trovava al numero 26 di Broadway. L’edificio passò di mano durante la crisi del ’29, quando la famiglia soffrì di alti e bassi finanziari, che mai riuscirono però a intaccare del tutto la sua fortuna. Essere miliardari nell’America del secolo scorso significava coniugare la ricchezza con la filantropia e con la condivisione a favore della collettività. Si deve al padre di David la costruzione della Riverside Church, celebre per le prediche di Martin Luther King, e il notissimo Rockefeller Center nel centro di Manhattan: gli uffici della compagnia di famiglia si spostarono nel dopoguerra al Rockefeller Plaza, conosciuta come 30 Rock, dove l’azienda occupava tre piani, chiamati da tutti Room 5600.

Se la storia dei Rockefeller fa sognare, lo fa ancora di più la sua splendida collezione. La fortuna ereditata permise a David di accumulare nel dopoguerra una collezione comprendente opere della migliore arte europea (dagli impressionisti francesi ai cubisti), dell’arte moderna americana, per arrivare a includere anche pezzi d’arredamento assolutamente eccezionali, dalle porcellane cinesi, agli argenti, ai mobili vintage statunitensi. La tradizione culturale della famiglia d’altro canto era eccellente: la madre di David aveva messo parte delle sue energie e dei suoi capitali nella costruzione di una cultura rivolta all’arte contemporanea nel suo Paese. A questo scopo aveva fondato il primo museo ad essa dedicata nella storia degli Usa, ovvero il Moma, in uno degli edifici della famiglia al 10 West della 54esima strada.

David non poteva non figurare nella lista dei principali donors del Moma. La leggenda vuole che grazie all’amicizia con l’ex direttore del museo, Alfred Baar, poté costruire gran parte della sua collezione personale, in cui entrò anche l’arte d’avanguardia europea. Il collezionismo di David Rockefeller si configurava innanzitutto come attività privata, ma anche pubblica, che avvalorava l’immagine dell’uomo dotato sì di grande abilità negli affari, ma anche di grande lealtà e serietà. La filantropia era una parte integrante della figura pubblica, in cui egoismo e capacità di essere benefattore costituivano due facce della stessa medaglia. E la beneficenza era anche il viatico per amicizie politiche di rilievo, fra le quali quelle con Henry Kissinger e George H.W. Bush.

Una delle famiglie più potenti del mondo, che da secoli, con i Rothschild, plasmano in silenzio il mondo così come lo conosciamo, influenzando le decisioni politiche, l’economia e le guerre tra le nazioni, nascondendosi dietro una maschera eroica, ha scritto un’altra bella pagina di filantropia che ricorda quella utilitaristica, non caritatevole, praticata da donna Prassede, moglie di Don Ferrante, nei Promessi Sposi.

La collezione messa all’asta presenta alcuni lotti di pittura dal valore inestimabile: come un’opera di Eugène Delacroix, Tiger playing with a Tortoise del 1862, stimata dai 5 ai 7 milioni di dollari, di rara e eccellente fattura; oppure un’opera di John Singer Sargent, di soggetto veneziano, (San Geremia del 1913) stimata valere dai 3 ai 5 milioni di dollari. Di assoluta eccellenza è infine la collezione nelle porcellane cinesi, tra cui un servizio da cena Tobacco leaf del 1775, valutato attorno ai 200-300 mila dollari. Il catalogo completo dell’asta sarà consultabile all’inizio della touring exhibition.

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