Véronique Ovaldé ci parla in esclusiva del suo nuovo romanzo Ragazza arrabbiata su una panchina di pietra

Pubblicato nel gennaio 2023 per Flammarion, Fille en colère sur un banc de pierre (Ragazza arrabbiata su una panchina di pietra) è l’ultimo lavoro della scrittrice francese Véronique Ovaldé nel quale c’è anche un po’ di Italia, ed in particolare la Sicilia.

Autrice prolifica ed editrice instancabile, è nota in Italia per le traduzioni a cura di “Ponte alle Grazie” che nel 2011 ha pubblicato “Quello che so di Vera Candida” – premio Renaudot nel 2010 – e l’anno successivo, “Vivere come gli Uccelli”, edito in Francia nel 2011.

È nel quadro della settima edizione del festival letterario marsigliese Oh, les beaux jours! che un gruppo di lettori ha intervistato la scrittrice a proposito del suo ultimo romanzo: una storia che attraversa due generazioni e una terribile tragedia familiare. Con grande ironia ed abilità narrative, Ovaldé racconta ancora la famiglia attraverso una lente d’ingrandimento universale: il silenzio che abita i rapporti.

Dopo quindici anni trascorsi lontana dalla sua famiglia, Aïda torna a Iazzia, l’isola della sua infanzia, che immaginiamo si trovi al largo della Sicilia, per seppellire suo padre, Salvatore, “Sua Signoria”. Aïda è la terza in una famiglia di quattro ragazze: Violetta, Gilda, Aïda e Mimì, questi i nomi che le ragazze devono alla passione per la lirica del padre, “uno di quegli uomini scontrosi e arrabbiati che trovano solo una parvenza di entusiasmo quando ascoltano Verdi”.

Il dramma si consuma durante la notte di carnevale quando la sorellina Mimì scompare, fatto di cui Aida è ritenuta responsabile. Al suo ritorno sull’isola, sua madre Silvia la prende per Mimì la scomparsa, alla quale non ha rinunciato dopo tanti anni di attesa. Le altre due sorelle, Violetta e Gilda, la accolgono con freddezza.

Aïda riallaccia i rapporti con Leonardo, che fu suo amante all’inizio del suo esilio palermitano. Nel programma di questo soggiorno ci sono la sepoltura dell’anziano, la visita al notaio, e soprattutto un grande flashback per Aïda, che ricorda i protagonisti della sua infanzia.

Il ricordo la conduce alle origini della sua famiglia. Cosa era successo a Mimì quella notte di carnevale in cui Aïda l’aveva accompagnata nella sua fuga notturna? È questo il mistero che muove il nuovo romanzo di Véronique Ovaldé.

Segreti, rimpianti, gelosie, sensi di colpa caratterizzano il romanzo, tratteggiando con incisività una famiglia ferita, completamente minata dalla scomparsa di uno dei suoi membri.

Avrebbe potuto rinunciare. Avrebbe dovuto rinunciare. Lo ripeté a se stessa un milione di volte in ogni anno successivo. Anche lei ebbe un’esitazione, forse era meglio restare, sdraiarsi nella stanza, ascoltare le altre due sorelle che gesticolavano nel sonno…

 

 Come nasce l’ispirazione? Qual è stata la scintilla che le ha permesso di scrivere questo libro?

Ho visto un’immagine. Una notte mi sono svegliata, come sempre faccio quando scrivo – perché io essenzialmente scrivo di notte – ed ho visto due bambine che tenendosi per mano sgattaiolavano fuori di casa. La più grande ha 8 anni, la piccola ne ha 6. Vogliono andare al Carnevale che da una settimana va avanti in quest’isola al largo della Sicilia. Un’isola immaginaria che pure è tipicamente mediterranea. Un’isola in cui il tempo è rallentato, dove il senso d’immobilità e d’inerzia è costantemente presente e pesante. Credo di aver immaginato una fuga. Infatti, il carnevale è proibito in questa famiglia classicamente patriarcale, composta da un padre austero, una madre accomodante e quattro figlie femmine. Le piccole fanno la bravata, ma al mattino ne ritornerà una sola che di lì in poi sarà ritenuta responsabile della sparizione dell’altra e vivrà come esiliata fino alla fuga vera e propria a Palermo. Rientrerà alla morte del padre.

Fondamentalmente, volevo parlare della famiglia, dei rapporti che si innescano in questo nucleo sociale che ci accomuna tutti, anche nell’assenza, se ci pensi. Ci ho messo quattro anni a scrivere questo libro e nel mentre, mio padre è morto.

 

Come ha lavorato sulla voce narrante, così intrusiva e presente che alla fine del libro lascia al lettore la libertà di decidere le sorti dei personaggi?

Devo dire che con questo libro ho autorizzato me stessa a dire “io” senza farmi personaggio. Credo si tratti di questo. Ho sempre dato vita, nella mia scrittura, a quella voce interiore che tutti abbiamo nel cervello e che ci dice cosa fare non fare e che commenta ogni cosa. Ecco, in questo romanzo forse le ho dato più spazio che al solito. Come dicevo, poi, io scrivo di notte. Verso le 3:00 o 4:00 del mattino. Un’ora in cui il silenzio ed il torpore mi lasciano una libertà che di giorno non riesco a vivere. Certamente, poi correggo e revisiono. Ma il cuore della mia scrittura è notturno.

Nei suoi romanzi è stata smesso rintracciata una componente di realismo magico. In “Fille en colère” abbiamo la mitologia familiare attraverso I capitoli  “Racconti e leggende Della famiglia Salvatore”. Cosa rappresenta, per lei il racconto come genere letterario?

Onestamente, in passato mi infastidiva essere definita narratrice piuttosto che scrittrice. Poi ho realizzato che i racconti fanno parte della vita di ciascuno di noi, ben Al di là dell’esercizio della lettura. Abbiamo I racconti familiari, I racconti prima di andare a dormire. La vita stessa è un racconto ed io ci tengo che sia chiaro che quando scrivo, sono io che sto raccontando una storia.

Interessante, dal momento che il sentimento che si scatena una volta terminato quest’intreccio familiare è che di tutti gli scambi che i personaggi hanno intrattenuto non resta che un profondo non-detto. Posto che il romanzo voglia raccontare di una sparizione, della fine dell’infanzia, denunciare una violenza psicologica, non è forse vero che lei parla soprattutto di silenzio?

Mi piace quest’interpretazione. Beh, parlo dei segreti, di come nascono e di come restano tali. Certamente con la sparizione di Mimi sparisce anche l’infanzia, ma non solo la sua. Infatti un confronto vero e proprio non avviene mai, nemmeno alla fine, quando i nodi familiari si sciolgono o forse si intrecciano ancora di più. Ma l’ho voluto io questo silenzio finale, che pure è pungente. In fondo, per quanto archetipici siano, questi personaggi sono soprattutto complessi.

 

Traduzione  dal francese a cura di Fortuna Maiolini.

‘Fuochi’, o degli specchi di Marguerite Yourcenar: una felice fusione tra moderno e miti classici

«Spero che questo libro non venga mai letto» è l’incipit di uno dei testi più intensi e famosi di Marguerite Yourcenar, Feux- Fuochi. Un libro che l’autrice francese non avrebbe mai voluto far leggere per i contenuti personali, una vera e proprio ricerca dell’anima umana messa al rogo da un amore non ricambiato, una crisi passionale della trentaduenne Marguerite, innamorata perdutamente del suo editore, André Fraigneau, che, a sua volta è innamorato di altri uomini. Ed è così che l’autrice inizia a comporre collages come in uno stato di trance, e sotto la spinta di una visione interiore attinge al mito, approccio all’assoluto.

Infatti al centro di Fuochi, una raccolta di prose liriche scritte nel 1935, si susseguono una serie di ritratti interiori, come riflesso di una violenta esperienza d’amore da Fedra a Saffo, riproposti alla maniera del grande Racine . E’ un libro indelebile e leggerlo significa attraversare e farsi attraversare dall’amore: “Amare a occhi chiusi significa amare come un cieco. Amare a occhi aperti forse significa amare come un folle: accettare a fondo perduto. Io ti amo come una folle”.

Viene ripresa dunque la storia di Fedra, figlia di Pasifae e Minosse, moglie di Teseo re e fondatore di Atene, che presa da amore travolgente per il figliastro, perde sé e lui. In questa tragedia Fedra rivelava senza ritegno il suo amore al figliastro il quale inorridito si copriva il capo.“Dinanzi alla freddezza d’Ippolito imita il sole quando urta un cristallo: si trasforma in mostro. Non abita più il suo corpo se non come il suo stesso inferno….”

Yourcenar e Fedra, o della disperazione

L’amore incestuoso e non corrisposto, impossibile da realizzare condurrà Fedra inevitabilmente a un dolore atroce che consuma l’anima fino a culminare nella morte. Nella tragedia raciniana il dolore di Fedra diviene fragilità nevrotica, del tutto incapace di emergere dal disordine della regressione. Racine critica Seneca perché troppo severo nel giudicare così empia la colpa di Fedra: “elle n’est pas tout coupable”. Anche la Yourcenar sosterrà che “come ogni vittima, è stato lui il suo boia”. Fedra non ha che da accusare se stessa per aver fabbricato tutto ciò che ama di Ippolito e la stessa odiata Aricia. “È per causa di lui che lei è morta; è per causa di che lui non ha vissuto. Lui non le deve che la morte; lei gli deve i soprassalti di un’inestinguibile agonia”. Nella prefazione della raccolta l’autrice stessa precisa che, da un lato, ha voluto esprimere l’ardore delle sue emozioni, dall’altro, ha avuto l’occhio attento alla realtà contemporanea e attraverso quello specchio deformante ha letto le antiche storie. Così in Saffo viene ripreso e assunto nella contemporaneità il mondo della poetessa, la cui descrizione dei sintomi della passione amorosa ebbe forte influenza per più di un millennio: “Ecco che Amore di nuovo/ mi dà tormento;/ Amore che scioglie le membra,/ Amore dolce e amaro,/ fiera sottile e invincibile…(”Trad. di M. Valgimigli)

Ecco che nell’invenzione letteraria della Yourcenar, Saffo assume le sembianze di un’artista del Circo, “un’acrobata alle prese con le bestie del circo che se la divorano con gli occhi…”. Antico e moderno si fondono quindi, si conservano e ci accompagnano anche nello spazio, come una via in cui si sono dischiuse tutte le operazioni successive. Appunto per questo “se l’umanità è destinata a sopravvivere, la civiltà di domani, come lo fu quella di ieri, sarà evidentemente costruita nel solco tracciato in gran parte dalla Grecia”.

Clitennestra attinge alla tragedia greca Orestea. In Aulide era stato imposto ad Agamennone il tremendo dovere di sacrificare la figlia Ifigenia per placare la collera di Artemide e calmare i venti contrari. Agamennone fa la sua scelta , sacrifica la figlia e permette alla sua spedizione di partire. Nella moglie però fa divampare la fiamma dell’odio che spinge la donna nelle braccia di Egisto e la induce a uccidere il marito. La Clitennestra della Yourcenar si ritrova a dover spiegare le motivazioni del suo atto in un tribunale dei nostri giorni. Una serva e un padrone si sposano. Il padrone deve conquistare il mondo e va in guerra. La serva aspetta il suo ritorno. Il padrone ritorna. La serva uccide il suo padrone. L’uomo ritorna.

Fuochi dunque è traversamento dell’Ade che non esclude la verticalità nella visione creatrice con ineludibile tensione verso il nuovo. L’autrice per compensare un vuoto troppo doloroso e per lenire la ferita dell’abbandono ha dato corpo ai personaggi della leggenda greca elevati ad archetipi eterni con l’obiettivo di una ricomposizione poetica nel Tutto, dunque frammentazione e integrazione si configurano come momenti di ascesa.

Maria Maddalena o della salvezza

Maria Maddalena o delle salvezza è la versione della Yourcenar di Maria di Magdala , una donna che non riesce a concepire al di là della carne e del sangue “Ho dovuto amarti per capire che la peggiore e la più mediocre delle persone umane è degna di ispirare lassù l’eterno sacrificio di Dio…Dio non mi ha salvata né dalla morte, né dai mali, né dal delitto, poiché è grazie ad essi che ci si mette in salvo. Mi ha salvata dalla felicità”.

Come si legge nei Dialoghi con Leucò di Pavese,“[…] Siamo convinti che il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo, un vivaio di simboli […] La poesia non è un senso ma uno stato, non un capire ma un essere”. Nei dialoghetti gli uomini vorrebbero le qualità divine; gli dei le umane. Non conta la molteplicità degli dei – è un colloquio tra il divino e l’ umano”. Dunque la funzione del mito è quella di rafforzare la tradizione e di darle maggiore valore e prestigio connettendola alla più alta, migliore e più soprannaturale realtà degli eventi iniziali come dice Bromslaw Malinowski.

In Fuochi i racconti tratti dalla leggenda e dalla storia dunque sono destinati a offrire un sostegno alla giovane donna, innamorata di un uomo che non è attratto dal suo corpo, quel corpo vivo e vero senza più trascendenza. Ed è per questo che l’anima di Marguerite che, solo nell’amore può sussistere, scrutandosi davanti allo specchio, passa dalla condizione di colei che scruta per cercare la propria immagine vera , i suoi confini e la sua storia a scrutare e tracciare storie che trascendono la sua personale e divenire un paradigma conoscitivo imprevedibile e complesso. La Yourcenar rielabora così e tesse monologhi preziosissimi della classicità , confessioni di donne che emergono dall’inconscio e diventano visioni e sono queste donne che attraversandoci con le loro forme personalizzate ci offrono la possibilità di comprendere le nostre pulsioni. Una scrittura che, attraversando il tempo, diviene fuoco dell’assenza e, nel contempo, slancio a dimenticare e a non sperare, anche se dalle sensazioni ancestrali riemergono ricordi mai sopiti che pesano come macigni con la consapevolezza di una sistematica e ineluttabile sconfitta. La poesia recupera la configurazione mitologica rimasta celata nel corso del tempo. Anche nei Dialoghi con Leucò, opera pubblicata dodici anni dopo, in tutt’altro contesto letterario, Pavese ha intrapreso la strada del mondo classico per proiettarvi i conflitti eterni dell’uomo e nel periodo in cui vennero scritti i Dialoghi. Pavese era profondamente innamorato di Bianca Garufi, con cui scrisse a quattro mani il romanzo Fuoco grande.

Alternati alle prose, in Fuochi ci sono riflessioni sulle diverse forme della passione: uno sfogo lirico che aggiunge alla raccolta solo qualche rimando autobiografico: “Cassandra urlava sulle mura, in preda all’orribile travaglio di far nascere l’avvenire”.
Ogni personaggio bruciando nel proprio tormento la propria missione: disperazione, menzogna, destino, scelta, segreto, salvezza, vertigine, crimine, suicidio. Un filo sottile accomuna chi ha sofferto ma ha anche compreso l’essenziale accettando con umiltà il limite e soprattutto l’ombra che ci portiamo dentro..

Fuochi è da leggere e da rileggere, un porto sicuro a cui tornare. Impossibile non farsi coinvolgere dalla narrazione scorrevole e diretta, una narrazione temporalmente ambientata nel passato e nella nostra odierna realtà.

 

Fonti

Marguerite Yourcenar: Fuochi ed. Bompiani, traduzione di Maria Luisa Spaziani
Albin Lesky: Storia della letteratura greca vol. 1 ed. Il Saggiatore
R.M.Rilke: Prima Elegia in Elegie duinesi, a cura e trad. di Franco Rella, Bur Rizzoli, Milano
M.Jacoby: individuation and Narcissum, Routledge,London, New York, 1990

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